Vai al contenuto

Nelle stanze dei libri la cultura d’impresa

Un luogo “vivo” di memoria, studio e lavoro. Raccordo culturale del mondo delle imprese, con le sue radici, il territorio, la sua capacità di esprimere bellezza, qualità dei manufatti, capacità tecniche. E sguardi puntati oltre i confini locali e nazionali. Storia e vocazioni della cultura d’impresa, insomma. È anche questo la Biblioteca della Camera di Commercio di una provincia del profondo Sud, quella di Catanzaro, aperta al pubblico dopo un attento lavoro di catalogazione e aggiornamento. Il luogo sorprende innanzitutto perché il suo patrimonio librario e archivistico comprende un prezioso documento del Tardo Medioevo, i “Capitoli, Ordinationi et Statuti dell’Arte della Seta” disposti da Carlo V nel 1519 allo scopo di regolare le attività tessili e di commercio della seta per la città di Catanzaro, divenuta centro di produzione serica di importanza non solo nazionale. In quella fase critica di passaggio tra il medioevo e l’età moderna la gelsicoltura e l’arte serica calabrese e soprattutto catanzarese, già apprezzate dai grandi casati mercantili fiorentini – gli Strozzi, i Salviati, i Serristori, i Corsi –  avevano reso, infatti, la regione snodo nevralgico di una nuova Via della Seta. Il fiorire dell’Impero Ottomano e la sua espansione nel vicino Oriente rendevano necessario colmare il vuoto lasciato dalla difficoltà di gestione dei mercati orientali spostando le rotte mercantili su nuove piazze commerciali. Altro che Sud arretrato e parassita!

Capitoli Ordinazioni et Statuti da osservarsi da quelle Persone, che esercitano la nobilissima Arte della Seta, particolare della copertina – Manoscritto conservato preso la Camera di Commercio di Catanzaro (Fotografia A. Cilurzo)

La biblioteca camerale catanzarese sfata tanti luoghi comuni. Il suo patrimonio di circa 20.000 volumi, oltre a rassegne e riviste, è un punto di riferimento per studiosi e quanti hanno necessità di reperire documentazione economica e legislativa. Niente di statico, nessuna parentela con la raccolta “di libri vecchi e polverosi”. Prevalentemente orientata e specializzata su tematiche giuridiche, statistiche ed economiche, da tre anni è inserita nel Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN), quindi consultabile anche da remoto. Chi si aspetta gli scaffali logori e stantii della tradizione, rimarrà deluso. Giri per le belle sale e crollano le immagini prevenute del santuario, della “cella funeraria”. Il patrimonio squisitamente librario – oltre il materiale eterogeneo, volumi statistici, raccolte di periodici, atti di convegni, documenti ufficiali  –  conta circa 20.000 titoli e non si tratta di libri imbalsamati. Ma non è solo il contenuto degli scaffali: la gestione con una nuova impronta spinge alla mobilità, a una vitale apertura con iniziative che propongono la biblioteca come luogo di riflessione e confronto col territorio, la società e l’intellettualità. Sono anche gli stessi libri presenti a risultare stimolanti, proprio come gli Statuti dell’Arte della seta. In biblioteca sono documentate coraggiose e lungimiranti iniziative imprenditoriali – non tutte fortunate e stabili – che risalgono a due secoli fa e anche oltre. Un dettagliato libro documenta ad esempio, il progetto estimativo per la realizzazione di uno “Sbarcatojo” a Catanzaro Marina per aprire la Calabria ai commerci navali verso l’Oriente. E non basta. Forse non tutti sanno che Menotti Garibaldi  (primogenito dell’Eroe e di Anita) insieme al colonnello garibaldino calabrese Achille Fazzari e al friulano Eugenio Petrucco avviarono nel 1870 un’attività di produzione e commercio di olio d’oliva e altri prodotti alimentari calabresi che arrivò ad occupare circa 140 addetti a Catanzaro, con un indotto legato a legname, tegole, mattoni e cancellate in ferro.

Operai delle Officine Meccaniche Calabresi
OMC mod. 175

Ma la Calabria ebbe anche nei primi decenni del secolo scorso un discreto, quanto dimenticato, boom di industria meccanica.  Vincenzo Bruzzese, giovane ingegnere originario di Grotteria (RC) tornò da Milano nella terra natìa per impiantare un’industria meccanica. Cominciò nel ’24 con una produzione di bulloneria di alta qualità. E già alla fine degli anni ’20 la OMC (Officine Meccaniche Calabresi) contava 200 dipendenti (fra i quali 40 donne) e vinse l’appalto per la fornitura di bulloni del celebre transatlantico Rex, reso mitico da Fellini. Piovvero commesse (dalla Marina e dalle Ferrovie) e nel 1931, a sorpresa, iniziarono a produrre motociclette. La OMC 175, interamente autoprodotta, motore compreso, fu un successo. Mentre già l’ingegner Bruzzese lavorava ai nuovi motori da 500 cm³, a un misterioso velivolo a decollo verticale e ad un motore per aerei, venne accusato ingiustamente di un ammanco di sei milioni di lire. Immediatamente arrestato, l’industriale fu condannato e dichiarato fallito. Poi venne totalmente scagionato ma intanto, nel lasso di poche settimane, un curatore nominato per riavviare la produzione aveva smembrato l’azienda, venduto i macchinari e licenziato le maestranze. Terminava così, dopo un decennio di successi, la breve esperienza delle Officine Meccaniche Calabresi.

La prima opera realizzata da Gerardo Sacco fu una collana di cuticchie, piccole pietre marine dalle forme più varie, che l’acqua modella e trasforma in sassolini lisci

Per fortuna nella biblioteca dell’ente camerale catanzarese non mancano i libri che, smentendo i più vieti luoghi comuni, documentano storie di aziende di successo. Brilla su tutte, ça va sans dire,  quella del maestro Gerardo Sacco, uno degli orafi italiani più famosi al mondo, raccontata da Francesco Kostner nel saggio Sono nessuno! – Il mio lungo viaggio tra arte e vita (Rubbettino, 2017). Artefice di opere che sono anche testimonianze di arte e cultura mediterranea e italiana, Sacco è stato capace di conquistare il mondo del palcoscenico, della moda, del cinema e del buongusto. Artista-artigiano di lusso dell’oro e delle gemme, maestro orafo naturalmente, per inclinazione ed istinto, è diventato raffinatissimo e ha creato, tanto per ricordare, gioielli di scena sfoggiati da Elisabeth Taylor nel Giovane Toscanini ma anche da Glenn Close e da Katia Ricciarelli nell’Otello. Grande amico, tra l’altro, del compianto Franco Zeffirelli (oltre che di Gianni Versace) che ebbe a scrivergli un messaggio che Sacco conserva gelosamente: “Tu sei uno dei nostri migliori ambasciatori nel m ondo – si legge sul cartoncino vergato con grafia elegante –per come sai riunire miracolosamente insieme la tradizione dell’Arte italiana dell’oreficeria e l’intelligenza del nostro tempo”.

Nel sec. XIX la mattanza era anche uno spettacolo al quale veniva invitata ad assistere l’aristocrazia locale. Particolare di un olio su tela di Paolo de Albertis, Museo Nazionale di San Martino, Napoli

Quella della Callipo 1913 – come testimonia un saggio edito nel 2018 da Rubbettino – profuma di mare. Tra le prime in Italia e in Europa ad inscatolare il pregiato tonno rosso, l’azienda del Vibonese ha saputo raccogliere l’eredità di una millenaria tradizione mediterranea, quella delle “tonnare fisse”, radicata in Calabria già in epoca romana. Filippo “Pippo” Callipo, che guida il gruppo, è convinto come Adriano Olivetti che l’azienda non debba creare solo utili ma anche cultura ed essere comunità, famiglia per i suoi dipendenti oltre a restituire una parte del valore generato al territorio. Lungo il Novecento cinque generazioni della famiglia di imprenditori Callipo sono riuscite a conciliare tradizione con resistenza sul mercato e innovazione, creando così un marchio leader che è diventato uno dei “volti nobili” del Mezzogiorno italiano.

Scena di una storica mattanza nelle acque di Pizzo, anni ’50

E non mancano le vicende legate alla terra e ai vigneti. Un altro bel libro illustrato, Un secolo di passione (Mondadori, 2016), narra l’arte distillatoria dei Caffo, la famiglia-impresa entrata nel novero delle big internazionali. La loro storia inizia a fine ‘800 quando il Mastro Distillatore Giuseppe Caffo cominciò a lavorare le vinacce e rilevò una distilleria a Santa Venerina (Catania). Poi i Caffo, guidati da Sebastiano (1901), si spostarono nel “Continente” dove acquisirono uno stabilimento a Limbadi, nel Vibonese. È la svolta che innesca il trend di crescita che, dopo oltre cento anni, ha reso il Gruppo Caffo una tra le più importanti realtà operanti nel campo dei liquori e dei distillati. Arcinota per il successo planetario del Vecchio Amaro del Capo e per l’acquisizione di marchi storici come Petrus, Bisleri, Mangilli vede oggi, tra l’altro, Sebastiano “Nuccio” Caffo presidente del Consorzio nazionale Grappa.

Una foto storica della Cantina Librandi

Quella dei Librandi di Cirò Marina (a loro è dedicato un altro saggio edito da Rubbettino nel 2020) si staglia come un “caso” di rilievo di un Meridione positivo, fatto di impegno, coraggio, serietà, qualità e rigore, che guarda ai mercati globali senza complessi. Valorizzando l’enologia locale, i Librandi l’hanno svecchiata cambiando la percezione che si aveva del vino calabrese e affermando un’immagine di qualità in Italia e all’estero. Il libro è il viaggio intergenerazionale di una delle più importanti famiglie di vitivinicultori del Sud, all’avanguardia per viticoltura di precisione, ricerca sulle varietà autoctone e certificazione di sostenibilità ambientale. Ricostruisce il percorso di un’azienda che dai primi anni del ‘900 ha fatto dei vigneti e dei vini un’occasione di crescita e progresso anche per il territorio diventando una realtà italiana stimata dalla critica e dal mercato nel mondo.

Cantina Librandi, Cirò Marina (KR)

Le storie delle aziende calabresi di successo negli scaffali della biblioteca camerale catanzarese, in fondo si somigliano. Scandite da figure capaci di guardare oltre, col coraggio di lanciarsi in nuove e ambiziose sfide e, nello stesso tempo, con l’umiltà di confrontarsi e imparare, sempre. E il legame con i libri e con la ricerca sono imprescindibili. Non ci sarebbe, infatti, sviluppo economico se le imprese non fossero connotate da una robusta base culturale. Così diventa chiaro che la chiave dell’innovazione, come ha rilevato Antonio Calabrò, sta non tanto in un binomio «impresa e cultura» ma in una sintesi «impresa è cultura».

di Gianfranco Manfredi – giornalista