Dante arriva a Ravenna nel 1318 proveniente da Verona, una città che lo ha accolto ma non amato, dove è entrato nelle grazie e nella stima degli Scaligeri, Signori della città, ma non nel cuore dei cittadini e degli uomini di cultura veronesi che gli preferiscono un filosofo pseudo sconosciuto per il posto di insegnante presso la locale Università. Secondo alcuni studiosi, gli anni precedenti potrebbe aver trascorso parte del suo esilio a Noli: Globusrivista.it/nuovi-studi-ipotizzano-che-sia-stato-a-noli-lesilio-di-dante/
La Ravenna dell’epoca di Dante non è una città importante nel frastagliato panorama politico italiano; è una nobile molto decaduta. Passati da più di cinque secoli gli splendori e la gloria dell’epoca bizantina, è un luogo tranquillo ma non salubre per via della malaria cresciuta enormemente a causa della scarsa manutenzione dei canali del territorio, in gran parte paludoso.
Invece Dante trova a Ravenna il suo personale paradiso, dove potrà vivere in serenità ed agiatezza, riunito ai familiari e finalmente stimato sia dai cittadini che dai Da Polenta, signori della città e suoi grandi estimatori, nonostante fossero parenti di quella immortale Francesca che, per colpe d’amore, Dante aveva già inserito nell’Inferno. Il Poeta approfitta della serenità di quest’ultima parte della sua vita per completare la Divina Commedia e, nello specifico, la Cantica del Paradiso nella quale inserirà molti luoghi e scenografie della città e del territorio ravennate.
Ma per scoprire e conoscere la presenza di Dante a Ravenna, occorre iniziare dal capitolo finale: la sua Tomba. Dante muore a Ravenna il 15 settembre del 1321, di ritorno da una ambasceria fatta alla Repubblica di Venezia, per conto di Guido Novello da Polenta, Signore di Ravenna. È un cittadino amato, onorato e rispettato e per questo la città gli tributa solenni esequie e si impegna a realizzargli una tomba all’altezza della sua grandezza. In attesa, Dante viene sepolto nella Chiesa di San Francesco, la chiesa di famiglia dei Da Polenta.
In realtà il tempietto che ospita la tomba di Dante, fu realizzato soltanto nel 1781, e le spoglie di Dante, nei secoli precedenti furono spesso oggetto di onore ma anche di lotte e contese. Furono specialmente i Fiorentini che nel 1519, forse per tardivo senso di colpa, si diedero da fare per ottenere da Papa Leone X, fiorentino anche lui, l’autorizzazione alla traslazione del corpo di Dante a Firenze. Ottenuta l’autorizzazione e arrivata la delegazione fiorentina a Ravenna per traslare le spoglie del famoso concittadino, furono beffati dai frati francescani del Convento annesso alla Chiesa, che nascosero le preziose ossa e fecero trovare agli ospiti la tomba inutilmente vuota. Più di due secoli dopo, nel 1780 l’architetto ravennate Camillo Morigia realizzò il tempietto neoclassico che avrebbe ospitato in via definitiva la tomba di Dante e “miracolosamente” le ossa del Sommo Poeta riapparvero. Per poi risparire nel 1810 a causa della soppressione napoleonica del Convento e riapparire, questa volta in via definitiva, nel 1865, durante i lavori di manutenzione del Quadrarco di Braccioforte, adiacente al mausoleo del poeta.
Oggi la Tomba di Dante, il Quadrarco e la Chiesa di San Francesco sono al centro di un’area di silenzio e rispetto che permette ai visitatori di vivere al meglio la propria esperienza di visita ed omaggio al poeta. Dal 14 settembre del 2020 si svolge in questa particolare area di fronte alla Tomba del Poeta, una speciale manifestazione denominata “L’ora che volge al disio” in cui una qualsiasi persona, prenotandosi, può partecipare alla lettura quotidiana di un canto della Divina Commedia.
Dante però non ha lasciato a Ravenna solo ricordi “fisici” del suo passaggio (la tomba, il portico, la chiesa che frequentava, una casa tradizionalmente attribuita ai Da Polenta, ecc.) ma anche ricordi letterari, traslando alcuni luoghi ravennati tra le terzine della sua Commedia, rendendoli di fatto immortali. Tra questi, i policromi colori preziosi dei mosaici ravennati, in particolare della Basilica di San Vitale, che vengono utilizzati dal poeta per descrivere la Valletta dei Principi, nel VII canto del Purgatorio. O la sapiente descrizione del corteo delle anime del Purgatorio del XXIX Canto, che riproduce fedelmente il corteo dei martiri e dei santi tuttora visibile nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo. Appena fuori Ravenna, ma ben conosciuta da Dante, che vi passeggiava abitualmente, anche la Pineta di Classe riceve l’onore di essere citata dal Poeta nel canto XXVIII del Purgatorio, come la bella selva del Paradiso terrestre che diventa per il Poeta l’opposto di quella selva oscura e dolorosa dove aveva iniziato il suo doloroso cammino infernale, similmente alla serena Ravenna, contrapposta alla ingrata Firenze, dove Dante finalmente trova, per sempre, onore, stima e pace. Il 2021 celebriamo i 700 anni dalla sua morte: Globusrivista.it/il-sommo-poeta-visto-attraverso-il-dante-historiato-di-zuccari/
di Lamberto Funghi – blogger & storyteller www.giroviaggiandoblog.com