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Felice Beato e la Scuola di Yokohama

Nel 1853 la flotta americana guidata dal commodoro Matthew Perry entrò nella baia di Tokyo, sancendo così l’apertura del Giappone all’Occidente. Il Paese fu costretto a mettere a disposizione alcuni porti per gli scambi commerciali internazionali creando in tal modo i primi insediamenti occidentali. Fu certamente la presenza di stranieri, per lo più inglesi e italiani, ad avere un ruolo decisivo nell’introduzione dell’arte fotografica nel Paese del Sol Levante. L’autore delle prime riprese fotografiche del Giappone, effettuate con la tecnica del dagherrotipo, fu l’americano Eliphalet Brown Junior (1816-1886), fotografo ufficiale del commodoro Perry durante la spedizione nell’Estremo Oriente tra il 1853-54. Sarà però con l’introduzione della fotografia al collodio umido, succedutasi al dagherrotipo, che la fotografia diverrà per il Giappone una vera e propria realtà commerciale. Nel 1868 con l’insediamento dell’imperatore Meiji, il Giappone abbandonerà del tutto la struttura feudale per assurgere al rango di potenza militare e industriale. L’introduzione della fotografia nel Paese, durante il periodo Meiji, fu quindi saldamente connessa al processo di costruzione e di industrializzazione di una moderna nazione giapponese. Con l’attenuazione delle restrizioni all’ingresso degli stranieri, i turisti aumentarono facendo nascere così un florido mercato di fotografie legate al settore.

Wistaria flower at Nagaoka (Data della ripresa 1868-1908)

Gli avventori infatti erano affascinati non tanto dalla profonda trasformazione politica, sociale e culturale che il Paese stava attraversando, quanto dalle tradizioni che già allora stavano scomparendo. Per molti viaggiatori il Giappone apparve come un rifugio da una società moderna e industrializzata. Volevano fotografie che confermassero l’immagine esotica che essi avevano del Sol Levante, antitetica alla cultura del mondo occidentale. Le immagini che raccoglievano, avevano lo scopo di documentare i cosiddetti meisho, ovvero i “luoghi celebri”, come templi buddhisti, santuari scintoisti, panorami naturali come il Monte Fuji, le cascate di Nunobiki, i meravigliosi viali circondati da alberi di ciliegio in fiore; ma anche ritratti di geishe e samurai.

Vedute di Nagasaki (Data della ripresa 1868-1908)
Iris garden in Horikiri, Tokyo (Data della ripresa 1868-1908)

Tra i fotografi più attivi e che hanno partecipato al rinnovamento culturale giapponese ricordiamo l’italiano Felice Beato che nel 1863 aprì un suo studio a Yokohama creando una vera e propria scuola di fotografia, la più importante del Paese fino al XX secolo. È  generalmente riconosciuto che egli abbia reso popolare nella fotografia giapponese la pratica di colorare a mano le fotografie, utilizzata dopo di lui da molti altri fotografi del periodo Meiji (1868-1912). Introdotta in Europa nel 1840, la colorazione a mano delle fotografie conobbe in Giappone la sua massima espressione e raffinatezza estetica, diventando una caratteristica distintiva della fotografia turistica nipponica.

Takashima’s garden at Yokohama (Data della ripresa 1868-1908)

All’interno dell’atelier, gli artisti-pittori avevano il compito esclusivo di colorare le fotografie che ebbero presto un successo straordinario essendo fra le prime “d’aprés nature” a giungere in Occidente e a far conoscere “dal vero” quei luoghi esotici, misteriosi, che il gusto orientalista di quegli anni rendeva ancora più affascinanti e improbabili. Nonostante l’arte fotografica fosse approdata in Giappone solamente un decennio più tardi dalla sua invenzione, ciò che distinse stilisticamente la versione nipponica da quella europea, fu essenzialmente la capacità di utilizzare un linguaggio visivo che racchiudeva in una sintesi iconografica perfetta, la storia, le tradizioni e la cultura millenaria di un popolo ancora poco conosciuto dal mondo occidentale. Ciò si spiega con il fatto che l’introduzione della fotografia nel Paese nipponico fosse strettamente legata alla stampa xilografica Ukiyo-e, propria della tradizione giapponese. Non è un caso, infatti, che i soggetti proposti nelle fotografie turistiche, fossero perfette imitazioni delle stampe giapponesi. Durante la restaurazione Meiji, il nascente mercato della fotografia mise in crisi la produzione xilografica Ukiyo-e tanto che molti artisti si ritrovarono ben presto disoccupati. La fotografia offrì loro la possibilità di applicare il proprio talento.

Wisteria brossoms Kameido at Tokyo (Data della ripresa 1868-1908)

Gli splendidi fototipi qui proposti furono acquistati da un componente dello Stato Maggiore della Regia Nave “Vesuvio” e inseriti con altre testimonianze iconografiche nei due album donati alla Società Geografica Italiana quale suggestivo racconto per immagini della campagna oceanica in Estremo Oriente, durata per quasi tre anni. Partita da Venezia il 12 settembre 1906, la nave (circa 92 metri di lunghezza, 308 marinai a bordo) fece rotta per il canale di Suez, diretta a Massaua; dopo una sosta in Aden proseguì la navigazione verso la costa indiana fermandosi brevemente (30 ottobre – 1 novembre 1906) a Bombay (oggi Mumbai), chiamata la porta dell’India e in varie località del Giappone tra cui Yokohama. La Regia Nave “Vesuvio” giunse, infine, al porto di Vladivostok nell’ottobre del 1908 e si mise sulla rotta per il rientro in Italia che avverrà l’8 giugno del 1909.

Shell Picking (Data della ripresa 1885 ca-1908)

di Davide Chierichetti e Susanna Di Gioia – Società Geografica Italiana

Fotografie: Archivio fotografico Società Geografica Italiana

Immagine di copertina: Un musco giapponese colla mamasan (Data della ripresa 1868-1908)