Vai al contenuto

Il Perugino

Siamo abituati a leggere l’inconfondibile stile del Perugino attraverso le prime opere di Raffaello, stile che quest’ultimo apprese proprio all’interno della sua bottega. Se l’enfant prodige ha nel tempo obnubilato la fama del suo maestro è per colpa del genio precoce dell’urbinate, tranquillo e prepotente allo stesso tempo, e non per un demerito di uno dei più grandi artisti di quel momento dell’arte che il Vasari definisce, caratterizzandolo definitivamente, “maniera moderna”.

Pietro Vannucci detto il Perugino (Città della Pieve, 1450 ca. – Perugia, 1523), Autoritratto, 1496-1500 – Collegio del Cambio, Perugia

Alle soglie del Rinascimento maturo Pietro di Cristoforo Vannucci “è il meglio maestro d’Italia” secondo Agostino Chigi, che nel novembre del 1500 lodava con queste parole il Perugino, in una lettera indirizzata al padre Mariano. Come dargli torto? La sua arte, che lo rende il più grande protagonista delle tendenze artistiche italiane del periodo, è placida, scevra da drammaticità, quasi riverente ai canoni del classicismo, verso il quale i suoi personaggi si pongono a mani giunte nell’armoniosa compostezza delle forme, cui contribuiscono paesaggi idilliaci, fatti di una natura quasi contemplata. I caratteristici monti speculari e convergenti al centro dei suoi dipinti si abbandonano sullo sfondo a contorni incerti, alla maniera leonardesca, a confondersi gradualmente nei colori di un cielo sempre sereno, immobile e imperturbabile. Ad un occhio superficiale la pittura del Perugino sconta il prezzo dell’ovvietà della tensione alla perfezione, propria di quella ricercata e scrupolosa attenzione allo stile, della vocazione al puro formalismo. Eppure non si può cogliere il carattere dell’opera del Perugino semplicemente sfogliando un volume a lui dedicato. I suoi dipinti abitano un contesto, vivono dietro i portali di una chiesa, nell’oratorio di un inaspettato borgo umbro, nella maestosità di un soffitto. Vivono per essere visitati, non solo visti.  L’innamoramento accade solo nelle sue terre: da Panicale a Città della Pieve, fino a Perugia, Spello, Trevi e Fontignano, che vede l’artista consumare qui i suoi ultimi mesi di vita. Checché ne dica l’appellativo tanto amato dal pittore, il Perugino era però originario di Chastro plebis, districtus Perusii (Città della Pieve, del distretto di Perugia), come si legge nel contratto per una pala d’altare destinata alla città di Fano risalente al 1488. È per questo motivo che al Vasari piacque accentuare quel provincialismo che colorava la biografia del Vannucci di un aspetto da homo novus dell’arte, ma che in realtà rendeva la sua crescita artistica ancor più sorprendente. Una provincialità che però poco si riscontra nelle opere dell’artista, le quali anzi mostrano la scolastica attenzione ai dettami del classicismo, complice la formazione fiorentina del Perugino. Persino quando le sue commissioni non vantano più i nomi delle grandi famiglie dei Medici, o della corte papale, non viene meno il suo credo artistico. È lo spettacolo del classicismo ricercato del Martirio di San Sebastiano a Panicale, datato circa al 1505.

Perugino, Martirio di San Sebastiano, 1505 – Chiesa di San Sebastiano, Panicale (PG)

Ci troviamo nel contado umbro: Panicale si affaccia dall’alto sulla valle del Trasimeno, ma è novembre, e un mare di nebbia avvolge il borgo rendendolo fiabesco, impedendo di godere della panoramica sul Lago e donando una sensazione di sospensione dal tempo e nello spazio. Aprendo la porta della piccola chiesa di San Sebastiano si è invasi dalla luce dell’affresco, nella parete di fronte all’ingresso: San Sebastiano è un corpo chiaro e seminudo al centro della raffigurazione, trafitto dalle frecce dei suoi aguzzini che gli stanno intorno tendendo l’arco e muovendosi con gesti artificiosi, in maniera speculare, quasi a mettere in scena una danza. È invece l’atto del suo martirio, in sé estremamente violento, eppure privo di tensioni emotive: le sofferenze e i patimenti non ci toccano, ci sono, li percepiamo, ma è come se non fossero avvenuti. Il Santo è posto su di un piedistallo come una statua greca, e il suo volto angelico è rivolto al Padre Eterno che grandeggia nella struttura a timpano che sovrasta la piazza nella quale avviene il martirio. Interni ed esterni si confondono in un ambiente quasi surreale, eppure rassicurante: così il portico si apre, in prospettiva aerea, su un paesaggio che sfuma impercettibilmente all’orizzonte, portando il visitatore appena entrato nel piccolo ambiente, in tutt’altra dimensione, al di là della fisicità della parete.

Perugino, Natività, 1497-1500 – Collegio del Cambio, Perugia

Nella sua galleria fatta perlopiù di soggetti religiosi, di Santi, Madonne e natività, è da annoverare un’opera per così dire “fuori dagli schemi”. Si tratta degli affreschi della sala dell’Udienza nel Collegio del Cambio a Perugia: è il trionfo dell’arte quattrocentesca, il connubio felice della sapienza pagana e di quella cristiana, che vicendevolmente si giustificano ed intersecano i propri simboli, così come voleva Francesco Maturanzio, uno dei più illustri umanisti dell’epoca, per il quale la civiltà pagana aveva il compito di annunciare quella cristiana. Egli collaborò al progetto con il suo apporto e supporto filologico, strumento di lettura indispensabile per apprezzare la bellezza del contenuto degli affreschi. Ne consegue un complesso programma iconografico a cominciare dalla decorazione della volta, la quale non poteva che rispecchiare quella celeste: in una geometrica suddivisione in sette vele, si alternano le allegorie dei pianeti ai segni zodiacali, ed ogni spazio è colmato da preziose grottesche e da un ricco repertorio di soggetti antropomorfi, putti, sirene e altri esseri mitologici. Lo spettatore, sovrastato dal turchese e dall’oro della volta, si trova circondato dagli exempla delle virtù cristiane sulle pareti della sala, all’interno delle lunette: qui sono raffigurati alcuni personaggi classici che hanno incarnato in vita i principi e le virtù che appaiono personificate sopra di essi, ciascuna con i propri attributi. Da una parte la Prudenza e la Giustizia, cui corrispondono le figure di Fabio Massimo, Socrate, Numa Pompilio, Furio Camillo, Pittaco e Traiano, dall’altra la Fortezza e la Temperanza, con Lucio Sicinio Dentato, Leonida, Orazio Coclite, Publio Scipione, Pericle e Cincinnato. A completamento delle quattro virtù cardinali ci sono le tre virtù teologali, che lo spettatore può leggere in altrettanti episodi della vita di Cristo: la Natività, la Trasfigurazione e la raffigurazione dell’Eterno fra gli angeli sopra un gruppo di Profeti e Sibille. L’umanità gloriosa rappresentata dal Perugino non reclama nel suo aspetto l’eroicità dei grandi condottieri, o l’austerità dei maggiori filosofi e sapienti, è smussata piuttosto nell’equilibrio dei sentimenti come in quello degli spazi e delle forme. Il Berenson dirà che «una compostezza, uno statuario riserbo fermano queste figure in un’aria di solitudine, danno loro qualcosa di intatto e di illibato». Ce ne accorgiamo a Città della Pieve, che diede i natali al Vannucci e per la quale egli dipinse “chome paisano”. Il calore del rosso brunito tipico dei laterizi che danno forma alle sue facciate contrasta con il verde generoso della Val di Chiana che le si distende intorno. Qui l’Oratorio di Santa Maria dei Bianchi fa da scrigno alla famosa Adorazione dei Magi, capolavoro ed esempio della maestria del Perugino, opera terminata sul finire del 1504. Il rigore prospettico di questo affresco è segnato dalla monumentale capanna che funge da perno, accogliendo al suo interno la scena centrale dell’adorazione. A destra e a sinistra si affollano una varietà di personaggi dai panneggi più diversi e colorati, tutti trattenuti nella loro espressione imperturbabile, serena come la luce che inonda l’intera composizione.

Perugino, Trasfigurazione, 1497-1500 – Collegio del cambio, Perugia
Perugino, Adorazione dei Magi, 1504 – Oratorio di Santa Maria dei Bianchi, Città della Pieve (PG)

L’atmosfera edenica, l’armoniosa fusione delle figure con il paesaggio, quella preziosità dello stile e quella paziente ricerca della perfezione sembrano perdersi nell’ultima pittura del Perugino, quella dal tratto veloce, meno ponderato: i contorni vengono meno, i colori si fondono, perdono la loro brillantezza e la loro omogeneità e le figure risultano meno levigate: è il tramonto dello stile più accademico che si infrange proprio sulle passioni più umane, come il dolore per la morte, le sofferenze della vita. La caduta di un muro laterale della chiesa dei Serviti a Città della Pieve, alla quale si arriva quasi oltrepassando i confini della città, ha svelato la Deposizione dalla croce, forse uno degli ultimi dipinti del Vannucci: era il 1834. Datato al 1517 circa, questo dipinto murale, o meglio ciò che ne resta, rappresenta la deposizione del corpo di Cristo dalla croce, al cospetto, fra gli altri, della madre. Una possibile lettura è che la Madonna sia stata rappresentata due volte: in piedi, incinta, sofferente perché già conscia del dolore che l’attende, e accasciata a terra, nell’attimo di svenimento, dopo aver visto il figlio crocifisso. Lo stile, ora, dà spazio al sentimento.

Perugino, Deposizione dalla croce, 1517 – Chiesa di Santa Maria dei Servi, Città della Pieve (PG)

L’occhio paziente di chi si fa pellegrino fra le meravigliose colline umbre, solleva lo strato epidermico dell’ovvio e si accorge che nei dipinti del Perugino tutto è sublimato in una luce rasserenante, che eleva la materialità dei corpi e della natura ad uno stato quasi divino, senza smentirla: “semplicemente non c’è tenebra, nessun errore. Qualsiasi colore risulta seducente e tutto lo spazio è luce. Il mondo, l’universo, appare divino: ogni tristezza rientra nell’armonia generale; ogni malinconia nella pace”, scriveva Ruskin. Ogni sentimento viene smorzato in potenza, nella serenità e nell’imperturbabilità di una composizione che altro non poteva essere se non così armoniosa, perché riflesso di una bellezza superiore.

Perugino, Prudenza e Giustizia sopra sei savi antichi, 1497-1500 – Collegio del Cambio, Perugia
Perugino, Fortezza e Temperanza sopra sei eroi antichi, 1497-1500 – Collegio del Cambio, Perugia

di Ilaria Starnino – filologa