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In Mongolia

Sono nato in una ger respirando fumo di sterco. Penso alla steppa come alla mia culla. Quando guardo, attraverso la nebbia blu, le vaste distese in lontananza la mia anima si riempie di orgoglio e di gioia. Il vento che soffia è come un bacio o una carezza della mia madre misericordiosa … 

(Bi Mongol Hum, Sono Mongolo, Ch. Chimed, 1959)

Ogni bambino in Mongolia conosce a memoria i versi di questa poesia. Ogni turista di ritorno dalla Mongolia, se li ricorderà.

Tavola 1 | Itinerario. Atterrai ad Ulan Bator una mattina di metà agosto. Il Nadaam, i “giochi”, la maggiore festa nazionale, si era da poco concluso.  Attraversate le porte scorrevoli del Chinggis Khaan International Airport alzai lo sguardo, ma invece dei cieli azzurri della Mongolia vi trovai un nulla opaco. Ad Ulan Bator l’inquinamento supera di venti volte i limiti stabiliti dall’OMS. Salii su un taxi. Ecco le prime ger o iurte: molto diverse da come le immaginavo, le antiche abitazioni dei popoli nomadi dell’Asia Centrale erano ammassate tra baracche di lamiera in una sconfinata periferia urbana.  Ad Ulan Bator vive e lavora la metà della popolazione del paese ed ogni anno migliaia di persone vi si trasferiscono dalle steppe. Pastori nomadi costretti ad abbandonare la terra dei loro antenati a causa degli effetti del cambiamento climatico: i pascoli sono sempre di meno ed il bestiame muore di fame.

Tavola 2 | L’Eroe Rosso. La capitale Ulan Bator, letteralmente “Eroe Rosso”, celebra nel suo nome Damdiny Sükh, detto Sükhbaatar, l’Eroe dell’Ascia che nel 1921 dichiarò l’indipendenza della Mongolia dalla Cina. Il suo ritratto si alterna a quello di Gengis Khan su tutte le banconote del tugrik mongolo ed una sua statua a cavallo sorveglia la piazza del Parlamento, anch’essa a lui dedicata, Sükhbaatar Square. Passeggiando per le spaziose strade del centro, tra luminosi grattacieli vetrati e solidi palazzi di cemento, raggiunsi il Monastero di Gandantegchinlen Khiid, un complesso di templi buddhisti di tradizione mahayana. Il Monastero Gandan fu uno dei pochi in tutto il paese a non essere distrutto dal governo comunista durante la repressione religiosa degli anni ‘30 del Novecento che causò la morte di 17.000 monaci, deportazioni di massa, e migliaia di vittime. La Mongolia è sempre stata una terra contesa: prima dall’Impero Cinese, poi dai monaci lamaisti ed infine, ad inizio Novecento, dal totalitarismo sovietico. Ottenne l’indipendenza solo negli anni Novanta, dopo il crollo dei regimi comunisti nell’Europa Orientale.  All’interno di uno dei templi del Monastero Gandan, Nachin, una guida locale guardava con occhi stanchi la statua di Avalokitesvaradi, il Bodhisattva della grande compassione, 26 metri di rame ricoperto d’oro, la più alta statua al chiuso del mondo. Mi si avvicinò mentre ero intenta a disegnarla e mi raccontò con voce bassa e a tratti malinconica di come i mongoli non rivolgano più le loro preghiere a Gengis Khan, preferendo ormai da secoli i monasteri buddhisti ed i ritratti del Dalai Lama. Non riuscì a celare il suo disappunto nel farmi notare come la statua di Sükhbaatar l’Eroe non raggiunga neanche il ginocchio dell’imponente Bodhisattva del Monastero Gandan. Mi suggerì di andare nella piazza del Parlamento per raffigurare anche la statua bronzea di Gengis Khan seduto sul trono, seppur alto “solamente” 15 metri! Gli promisi allora che sulle pagine del mio carnet le due statue sarebbero state alte uguali e me ne tornai in albergo, pronta a ripartire l’indomani mattina per la steppa.

Tavola 3 | UAZ – 452. Non ha mai avuto problemi! Questo è lo slogan della UAZ – 452. Questi veicoli sono conosciuti come Buhanka, ovvero “pagnotta di pane”. Durante i lunghi spostamenti in auto tra un campo ger e l’altro, nonostante gli scossoni dovuti alle asperità del terreno, spesso crollavo addormentata in mezzo alle valigie, alle buste di noodles istantanei ed alle taniche di benzina. Questa mia capacità di prendere sonno in qualsiasi situazione ed il mio costante appetito, mi procurarono la stima dell’autista. You’re a good sleeper, and a good eater! mi diceva ridacchiando ad ogni sosta.

Tavola 4 | On the road to Kharkhorin

Tavola 5 | Sarnai ed il galateo mongolo. Mi ricordo molto poco di Sarnai, la nostra guida. Parlava poco e le piaceva il parmigiano. Mi disse che si riteneva priva di qualsiasi talento e più volte ebbi la sensazione che avrebbe preferito essere altrove. Una delle prime mattine nella steppa, il sole non era ancora sorto all’orizzonte quando fummo svegliati da un coro di voci roche, ancora impastate dal sonno, che intonavano La Marcia dei Volontari, l’inno nazionale della Repubblica Popolare Cinese. A seguire, Tai Chi e colazione all’aperto. Erano i nostri vicini di ger, una comitiva di circa una quindicina di uomini, arrivati dopo di noi nel campo durante la notte e pronti a ripartire alle prime luci dell’alba. La nostra guida, già sveglia, stava cucinando il riso per il pranzo. La raggiunsi per prepararmi del tè. Sarnai era molto legata alle tradizioni e mi spiegò che l’ospite è di casa in Mongolia. I visitatori sono rari e sempre i benvenuti e come dice un proverbio mongolo “Come i pali sostengono una ger, gli amici sostengono un uomo in difficoltà”. Per Sarnai il galateo mongolo era fondamentale e spesso mi ricordava i comportamenti più adatti alle diverse situazioni. Ecco, per esempio, cosa fare e non fare se si è ospiti di una famiglia mongola:

  1. Un saluto abituale quando ci si avvicina ad una ger è nokhoi khor (= tieni i cani) perché i cani da guardia sono spesso i primi ad apparire.
  2. Bussare alla porta di una ger è considerato maleducato, ma calpestarne l’uscio è addirittura un tabù.
  3. Entrando in una ger i visitatori dovrebbero andare a sinistra e sedersi per terra, su uno sgabello o su un letto. La famiglia ospitante si siede sulla destra.
  4. Non rimboccarsi mai le maniche, ciò implica che si vuole combattere. Se si hanno le maniche corte non esporre i polsi.
  5. Cercare di non rifiutare mai ciò che viene offerto e prenderlo sempre con la mano destra.

Tavola 6 | Kharkhorin ed Erdene Zuu. Per 40 anni Kharkhorin (o Karakorum = Montagne Nere) fu la capitale dell’Impero Mongolo. Venne abbandonata dopo il trasferimento della nuova capitale a Beijing e distrutta dai soldati manciù nel 1388. Dalle sue macerie fu costruito Erdene Zuu Khiid (= 100 tesori), il primo monastero buddhista stanziale della Mongolia. Inizialmente i monasteri venivano costruiti imitando la struttura tipica delle ger e seguivano gli spostamenti nomadi stagionali degli accampamenti. Negli anni Trenta del secolo scorso solo 3 templi su 100 rimasero intatti, venendo astutamente convertiti dai monaci in granai o in depositi alimentari. Lungo le rive del fiume Ongi, nel distretto Saikhan-Ovoo della provincia del Dundgovi, Mongolia centro-meridionale, visitammo le rovine di due complessi monastici, chiamate collettivamente Ongiin Khiid. Il monastero, uno dei più grandi della Mongolia, in grado di ospitare più di 1000 monaci, dopo quasi 300 anni dalla sua fondazione fu raso al suolo nel 1939 durante le Grandi Purghe. Più di 200 monaci furono uccisi, ed i sopravvissuti dovettero scegliere tra rinnegare la propria religione o la prigionia.

Tavola 7 | Monastero di Shankh. Per un periodo Shankh giunse ad avere fino a 1500 monaci, oggi non più di una dozzina. Nel 1937 il Monastero venne chiuso, i suoi templi bruciati e la maggior parte dei suoi monaci arrestati, giustiziati o inviati nei campi di lavoro in Siberia. Solo cinque monaci, a quel tempo bambini, furono risparmiati e riportati alle loro famiglie. Per 50 anni questi cinque monaci tennero vivi gli insegnamenti che avevano ricevuto e dopo il crollo dell’Unione Sovietica riaprirono il monastero e ne restaurarono il tempio principale.

Tavola 8 |  Non puoi mettere due selle sullo stesso cavallo (Proverbio mongolo)

Tavola 9 | Airag e Morin Khuur. L’animale più importante per i mongoli è il cavallo e l’airag, il latte di cavalla fermentato, è la loro bevanda tradizionale. Da luglio ad ottobre le giumente vengono munte, il loro latte filtrato e versato in una sacca di pelle (khukhuur), solitamente posta all’ingresso di ogni ger. Una delle ultime sera nella steppa ascoltai un suonatore di morin khuur, lo strumento musicale nazionale della Mongolia, sorseggiando airag con Sernai. Dopo lo spettacolo, il suonatore si unì a noi, raccontandoci la leggenda legata al morin khuur. Un malvagio khan (principe)  uccise il cavallo preferito di un ragazzo e durante la notte, nel sonno, lo spirito del cavallo  disse al ragazzo di creare uno strumento musicale dal suo corpo: le ossa per l’arco, i peli della coda per le corde e le pelli per il rivestimento del corpo principale. Così i due rimasero inseparabili. Ancora oggi le due corde del morin khuur vengono realizzate con peli di cavallo: 130 peli dalla coda di uno stallone per una corda, e 105 peli dalla coda di una giumenta per l’altra. Tradizionalmente, questo strumento veniva suonato dagli sciamani per accompagnare i racconti di gesta epiche o poesie.

Tavola 10 | Camelus bactrianus

Tavola  11 | Giochiamo? Lo shagai, un gioco le cui pedine sono realizzate con le ossa della caviglia di una pecora, viene utilizzato anche per predire il futuro. Ogni lato di queste ossa ha una diversa forma ed ognuna di esse rappresenta un animale: cavallo, cammello, pecora e capra. Basta lanciare quattro ossa e vedere su quale lato cadono… giochiamo?

Tavola 12 | Il mercato del formaggio

Tavola 13 | Tsagaan Suvarga. La formazione rocciosa di Tsagaan Suvarga (= Stupa Bianco) nella provincia del Dornogovi, nel sud della Mongolia, sembra una città in rovina, una straordinaria struttura creata dal vento nel corso di migliaia di anni.

Tavola 14 | Temüjin. Temüjin, “fabbro” in mongolo, era il nome di nascita di Genghis (o Chinggis) Khan. Tornata ad Ulan Bator dopo una decina di giorni nella steppa, mi ricordai della promessa fatta a Nachin, la guida che incontrai il primo giorno al Monastero Gandan. Andai allora in piazza Sükhbaatar per un ultimo disegno prima della partenza: il ritratto a Gengis Khan seduto sul trono. Decisi di disegnarlo a piena pagina, ricco di dettagli, imponente. Chiusi il taccuino e mi guardai intorno. Il sole era quasi tramontato. Mi sarebbe piaciuto salutare Nachin e fargli vedere il mio taccuino! Tornai in albergo, la mattina seguente sarei partita molto presto per proseguire il mio viaggio con la Transmongolica, destinazione Pechino…  ma questo sarà un altro carnet!

Tavola 15 | La Transmongolica

Сайн яваарай! Buon viaggio!

Testo e disegni di Maria Virginia Moratti