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Ivrea. La città industriale diventata patrimonio UNESCO

All’interno del naturale anfiteatro morenico, la città di Ivrea fa bella mostra di sé tra paesaggi naturali, architettura storica, archeologia industriale e vigneti terrazzati, rivelandosi una meta perfetta per chi vuole sentirsi ancora un esploratore contemporaneo.

La scoperta di questo territorio inizia dal centro urbano e dal punto più alto della città, nel posto esatto dove sorge il castello del 1358 per volere di Amedeo IV di Savoia, detto il conte Verde per la sua passione verso questo colore, e collocato tra il Palazzo Vescovile e il Comune ossia Palazzo della Credenza. Nato con finalità difensive, il castello di forma trapezoidale, realizzato in mattoncini rossi dalle singolari tre torri cilindriche merlate, è di certo il punto di riferimento dal quale partire alla scoperta della città. In un percorso dall’alto verso il basso, e dal passato al moderno, si dà il via proprio dall’omonima piazza antistante al castello. Lo scenario attorno è suggestivo, in quanto il paesaggio urbano è avvolto dalle imponenti montagne, dalla Serra Morenica, che abbraccia il territorio per 25 chilometri e dall’attraversamento della Dora Baltea.

Perdendosi tra le strade acciottolate di sassi di fiume, ripide scale, strade strette dove le finestre degli antichi palazzi sembrano chiacchierare come vecchie comari, si arriva davanti al “punto di partenza” dell’Ivrea contemporanea, ovvero la casa dei bisnonni e nonni di Adriano Olivetti. Un cognome che a partire dagli inizi del ‘900 con Camillo, padre di Adriano Olivetti, è diventato un sostantivo, strettamente legato alla macchina da scrivere. Oggetto ormai iconico, la macchina da scrivere Olivetti con la M1, fu la prima ad essere realizzata in Italia e presentata nel 1911 all’Esposizione Universale di Torino, rivoluzionando non solo il mondo della scrittura, ma anche un territorio.

La storia lungo un viale

Dalla prima fabbrica di mattoni rossi, la ICO (Ingegnere Carlo Olivetti) tutt’ora ben conservata in via Jervis, al primo ampliamento, il passo è breve. Non a caso i due edifici sono collegati da un passaggio in vetro, materiale che caratterizza tutta l’architettura olivettiana e grazie all’utilizzo del quale giungono fino a noi i tre elementi guida della filosofia di Camillo e Adriano Olivetti. Tutto si caratterizza per: funzionalità della fabbrica, quale luogo di lavoro pensato a misura d’uomo, capace di unire esigenze produttive e benessere collettivo; bellezza dell’estetica finalizzata a racchiudere in sé efficienza, correttezza progettuale, rispetto delle norme, dei luoghi e delle persone;  attenzione all’ambiente paesaggistico creando un insieme armonico che, a distanza di decenni continua a essere ancora avanguardista.

Innovazione dei materiali, sperimentazione delle forme e dei volumi, utilizzo delle risorse naturali come la luce, furono alcuni degli elementi che a partire dalla fine degli anni ’30 usarono architetti come Pollini, Figini, Gabetti, Isola e Vittoria. Che si sia appassionati d’architettura o curiosi viaggiatori, il mondo olivettiano regala grandi emozioni, che si amplificano contestualizzandole nel periodo storico in cui tutto è nato. Negli anni di crescita per l’industria in Italia, la figura di questo imprenditore illuminato, portava sul tavolo degli architetti delle richieste progettuali inusuali. I progettisti erano chiamati a tener conto della qualità degli ambienti di lavoro, affinché gli operai e le risorse, molte delle quali provenienti dal mondo dell’agricoltura piemontese, non sentissero lo sradicamento con le proprie radici. Non a caso gli spazi interni, grazie alle grandi vetrate dialogano con l’esterno, permettendo di vedere le montagne circostanti. La biblioteca poi, proprio di fronte alla fabbrica, doveva essere funzionale alla crescita umana degli operai, proprio come viene ricordato all’ingresso con una frase di Olivetti:”L’uomo che vive la lunga giornata nell’officina non sigilla la sua umanità nella tuta da lavoro”. Le altre forme in cui si lavorava alla costruzione del benessere sociale si esprimevano anche dando la possibilità, per chi lavorava qui, all’accesso alle case messe a disposizione dall’azienda, di differente tipologia a seconda del ruolo in azienda o della grandezza della famiglia. Per chi invece desiderava una casa di proprietà, le archistar dell’epoca che collaboravano per lo sviluppo dell’architettura olivettiana, sarebbero state a disposizione per realizzare la dimora dei propri sogni, dando al tempo stesso continuità e bellezza paesaggistica urbana. L’attenzione al benessere dei lavoratori, viene ancora oggi ricordata dalle “Spille Oro”: coloro che hanno lavorato in Olivetti ricevevano questo oggetto, simbolo di legame ed appartenenza con l’azienda, attraverso il ricordo degli incontri culturali dopolavoro con personaggi del calibro di Gassman, Pasolini, Moravia o i concerti di Gaber. Crescita culturale e benessere sociale, un mondo che sembrerebbe quasi utopico, se non fosse che qui è stato realizzato davvero.

La casa che c’è ma non si vede

Se ci si ferma ad osservare il contesto urbanistico, non si può non rimanere stupiti di come queste forme dell’architettura, nonostante siano passati più di 60 anni, rimangano contemporanee non solo per le linee pulite, la funzionalità, il basso impatto energetico, ma soprattutto perché continuano ad essere un esempio dal quale lasciarsi ispirare. Tra gli edifici più singolari, c’è sicuramente quello che viene chiamata Talponia, ovvero l’Unità Residenziale Ovest, progettata da Roberto Gabetti e Aimaro Oreglia d’Isola con Luciano Re.

L’edificio, impossibile da vedere giungendo dal viale principale, si caratterizza dalla pianta lunga 300 metri completamente interrata e dagli 81 alloggi, ai quali si accede da una strada coperta interamente percorribile, individuabile all’esterno dal posizionamento delle cupole di plexiglass. Una progettazione sorprendente, che sa stupire catapultando il visitatore in un’atmosfera irreale. Era domenica 1 luglio del 2018, quando alle ore 11.30 a Manama capitale del Bahrain il World Heritage Committee dell’UNESCO inserì ufficialmente nella Lista del Patrimonio Mondiale “Ivrea, città industriale del XX secolo”.

Scoprire tutto il mondo dell’architettura Olivetti è possibile grazie ai tour organizzati dal Visitor Center di Ivrea (https://www.ivreacittaindustriale.it) che con due tipologie differenti di tour rendono comprensibile e accessibile negli spazi interni questo prezioso patrimonio, che per ragioni di sicurezza non è visitabile se non con guide specializzate. Tuttavia la particolarità della città e del territorio circostante, sia dal punto di vista naturale che agricolo, merita un soggiorno per vivere appieno non solo la storicità ma anche la calorosa ospitalità ed enogastronomia.

di Barbara Perrone