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Lia Drei. Forme e geometrie di luce

Il cammino creativo di Lia Drei (1922-2005) può definirsi uno straordinario ”viaggio nella ricerca”, una ricerca mai sazia, mai doma che ne ha indirizzato i passi nei territori dell’arte, fino alla fine.  Due termini,  viaggio e ricerca che, nell’intento di delinearne lo spessore artistico e umano sostanziale, risultano complementari: l’uno amplifica le connotazioni storico-culturali proprie di un’esistenza, ne qualifica le coordinate operative che di volta in volta ne hanno caratterizzato il  lavoro; l’altro identifica l’assunto conoscitivo fondamentale  di un discorso sull’arte, sulle sue  categorie gnoseologiche, in un ininterrotto e coerente cercare sempre nuove forme e modalità estetiche da esperire.

Lia Drei (1922-2005)
Operazione spaziocromatica B1, 1964, acrilico su tela, cm 80×120

Gli studi sulla psicologia della forma e sulla fenomenologia della percezione visiva, mediati dalle teorizzazioni del filosofo francese Maurice Merleau-Ponty, condurranno l’artista alla conquista  di nuove strutture della visione, dando di fatto l’avvio  a periodi  fertili di conquiste linguistiche, di inedite possibilità strutturali di forme e colori; anni in cui, insieme al compagno d’arte e di vita, Francesco Guerrieri, contribuirà alla costituzione  del “Gruppo ‘63”  e  del binomio “Sperimentale p.” (p. sta per “puro”), nato dalla scissione del “Gruppo ’63”, movimenti artistici sperimentali ormai annoverati  nella storia dell’arte visiva contemporanea.

Struttura-A9, 1967, acrilico su tela, cm 50×50

In questo fervido contesto sperimentale,  Lia Drei dispiega il proprio percorso d’indagine incentrandolo sui rapporti di interazione reciproca di  spazio, colore e forme elementari. Sulla superficie della tela, all’inizio del suo viaggio di ricerca, realizza moduli curvilinei essenziali, “operazioni spazio-cromatiche” con il tondo e il semitondo attraverso cui sperimentare la realtà “poetica e gnoseologica” del colore, come spiega l’artista stessa. Sono tutte  strutture giocate sui colori primari e sugli accordi o contrasti simultanei con i complementari, in cui il colore si identifica totalmente con la forma.

Struttura B2, 1969, acrilico su tela, cm 80×100

In una fase immediatamente  successiva si aggiungono altre forme primarie quali il quadrato e, in particolare, il triangolo, organizzate in strutture più articolate e complesse.  È questo il momento in cui, dalla ricerca iniziale, il lavoro di Lia approda ad una ricerca sulle forme e sul colore inteso come “un atto di luce” (dagli anni ’63-‘64 fino agli inizi degli anni ’70),  come lei stessa ebbe ad affermare; «la luce che definisce  lo spazio, i corpi, le figure, mediante la tensione verso la quarta  dimensione: il tempo» (Maurizio Grande); il tempo che scandisce la comunicazione intersoggettiva tra l’artista e il fruitore reso partecipe dell’efficacia ottico-percettiva dell’opera attraverso la costruzione dinamica delle forme. La sua ricerca è essenzialmente dinamica di relazioni  che ha il proprio fondamento rigoroso nella luce; è produzione di  relazioni  che nella dimensione spazio-cromatica dell’opera costruiscono sempre più articolate geometrie di luce, universi colorati di triangoli che si “muovono” nella spazialità della tela. Le sue opere, nelle successioni di variazioni formali e cromatiche,  introducono ad infinite possibilità di fruizione: basta uno scarto tonale, dal caldo al freddo e viceversa, a suggerire nuove percorrenze visive; un cambio di direzione, di posizione o di grandezza a generare eventi percettivi. D’altronde, il colore determina di per sé effetti ottico cinetici e nello stesso tempo induce ad una profonda osservazione della natura. Infatti, nelle sue produzioni, la modulazione delle partiture cromatiche innesca dinamismi, soluzioni compositive attraverso cui «recupera le condizioni di visualità, di visualizzazione estetica del mondo»  (Rosario Assunto) aiutandoci a capirlo.  Dopo la visione dei suoi  quadri, «si potrà capire  meglio un  prato, la sua struttura visiva, il suo  valore estetico».

Parlando di pittura con Enid Smiley nel suo giardino di Venezia, 1972

L’interazione dialettica tra spazio-colore-luce conduce Lia a riflessioni teoriche  fondamentali  sulla  luce che diventa strumento di costruzione dinamica degli spazi e delle forme. In questo contesto operativo, pur guidata da rigore, metodo e tecnica, l’artista riserva a se stessa la libertà di interpretare il mondo, di infrangere, laddove necessario, le stesse  regole ottico-percettive che lo costituiscono e ridefinire una  propria visione del mondo in cui invenzione e autonomia di ricerca condividono la stessa dinamica dimensione creativa della luce. Così, nell’universo creativo di Lia, può succedere che i cristalli non vengano ricostruiti nella precisione illusoria delle linee spezzate che gli sono proprie, bensì “trasgrediti”, reinventati,  attraverso la luce; così diventano cristalli infranti e rigenerati in strutture e forme  completamente nuove. Per l’artista, trasgredire le convenzioni codificate è, quindi,  libertà  d’infrangerle per ricostruire una  propria  specifica dimensione  di ricerca, una propria originale sintassi creativa che le permetta di ristrutturare diversamente  il  dato reale.

Cristalli trasgrediti, 1974, acrilico su tela, cm 49,5×64,5

Alla metà degli anni ’70 risalgono lavori che indagano nuove possibilità strutturali dello spazio bidimensionale della tela su cui l’artista agisce operando una riduzione degli elementi formali  e cromatici, essenzializzando il linguaggio. La figura geometrica del triangolo appare scarnificata e, svuotata del colore (ridotto a mera citazione), sopravvive come percorso, traccia vettoriale. La linea è interrotta, tratteggiata, compie scarti improvvisi, cambi di direzione, definisce spaziature,  ripensamenti, entità mentali che configurano il “quadro” come operazione analitica, riflessione sostanziale che apre a ulteriori spazialità, da cui «nascono  percorsi, ritmi, musicalità, mai categoriche, sempre concettualmente indefinite» (Luigi Lambertini).

Pittura dipinta, 1981, acrilico su tela, cm 100×100

Dopo queste intense ricognizioni sullo spazio, dopo le riflessioni che ne individuano la mutevolezza, dopo i percorsi che si prolungano  e sconfinano oltre il limite  del telaio, direttamente nello spazio-ambiente con gli interventi  della serie “L’ombra è la pittura della luce”, nei primi anni ‘80  Lia pubblica il libro  “Iperipotenusa” con cui  racconta l’avventura  delle ”sue” forme colorate  in una sorta di “scrittura dipinta”. In seguito ritorna alla “pittura dipinta”, come lei  definisce la serie di opere attraverso cui, di fatto, irrompe sulle tele  lo  scorrere delle pagine dello stesso libro, reso nell’impasto denso del colore con cui riannoda nuove storie compositive  per i suoi triangoli, coinvolti  nella gioiosa  sostanza ritrovata  della pittura, nel suo amalgama  denso e vitale. Poi è un susseguirsi di rimodulazioni e rivisitazioni, di ritorni e ripartenze, sempre scanditi dalla tensione mai placata della ricerca, da libere variazioni in strutture rigorosamente progettate, fino agli ultimi lavori in cui recupera i percorsi di indagine spaziale della seconda metà degli anni ‘70 e  di cui scrive «[…] Ora intitolo  i miei quadri “Il tempo del sogno” perché quando si dipinge, si scrive o si suona si esprime il sogno che si ha nell’anima. E così il colore diventa una realtà, il pensiero scritto diventa solido e il canto diventa una poesia».

Si veda anche https://www.globusrivista.it/lia-drei-alla-galleria-comunale-darte-di-cagliari/

In copertina: Lia Drei, Tre arancioni, 1968, acrilico su tela , cm 40×120

di Teodolinda Coltellaro – critico d’arte