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Suoni e segni di Vaia

Alla fine di ottobre 2018 si abbatté su Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e parte della Svizzera e dell’Austria un evento meteorologico estremo conosciuto come la tempesta di Vaia. Il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, che ha sede a San Michele dell’Adige (TN), ha realizzato una mostra, ideata dall’architetto Claudio Lucchin, particolarmente originale e immersiva con lo scopo di sollecitare riflessioni sul tema. E lo fa attraverso un percorso sonoro, “I Suoni di Vaia”: l’ascolto della sonorizzazione, delle musiche e delle  testimonianze audio di quella tempesta; un’opportunità per ascoltare l’incredibile sovrapposizione di suoni, armonizzazioni, rumori e dissonanze che l’evento atmosferico si è portata dietro e ci ha fatto sentire in modo sfuggente. Lo fa attraverso un’esposizione fotografica, “I Segni di Vaia”:  alcuni potenti scatti di Roberto Besana – in parte riproposti nel presente articolo – restituiscono chiaramente la prevalenza delle immagini, dei segni; ogni singolo fotogramma racconta infatti di presenze forti, instabili, forse ingombranti, perché Vaia ha inciso pesantemente il territorio con i segni del suo passaggio; immagini che ci permettono di smontare la tragedia consentendoci una possibile interpretazione dell’evento. La mostra, infine, offre un video – ideato da Davide Grecchi, Roberto Besana su testo di Mimmo Sorrentino –, quale  ulteriore riflessione sul rapporto uomo-natura.

Fotografia © Roberto Besana
Fotografia © Roberto Besana

La “cura” dell’ambiente per abitare il mondo

di Claudio Lucchin – architetto

La tempesta Vaia è una tragedia ambientale di grandissimo impatto emotivo, accompagnata dall’immenso urlo di dolore di una Terra sofferente. Ma una tempesta così forte, deve per forza volerci dire qualcosa. Un messaggio che spesso non sentiamo o non vogliamo più sentire, perché è difficile decodificare o rendere esplicito un significato che sappiamo essere drammatico e molto doloroso. Il dolore di una Terra malata e di una specie umana che, abbagliata dagli effetti speciali del progresso, sembra aver perso la strada della propria evoluzione, naturale o culturale che sia. La storia della Terra racconta della capacità dell’uomo di usare la tecnologia per produrre strumenti, necessari per fare un lavoro, trasformare il mondo e, così, accedere alla conoscenza. Abbiamo ampliato le nostre capacità fisiche usando gli utensili, e abbiamo trasferito al sapere collettivo i costi cognitivi per la risoluzione dei problemi complessi.

Fotografia © Roberto Besana
Fotografia © Roberto Besana

Ci siamo comportati in questo modo per migliaia di anni ma, ora, sembra essersi rotto qualcosa nel rapporto tra noi e la Terra o, nella umana capacità di comprenderne la complessità. Ma per affrontare e metabolizzare un disastro così grande è necessario innanzitutto ricorrere alla parola, con la quale provare a esorcizzare la paura della morte; recuperare una certa capacità d’ascolto, per risintonizzare il nostro “stile di vita” con le più naturali necessità del pianeta e, infine, tornare a una più efficace cooperazione tra tutti gli uomini, perché da soli siamo impotenti e indifesi di fronte all’entropia dell’Universo. E siamo ancora qui a chiederci se sia il caso o la necessità a guidare la nostra vita. Ma se vogliamo affrontare, o anche solo capire, i problemi complessi e difficili di questo nostro tempo è necessario connettere tra loro tutti i cervelli possibili. Come il cervello di un fotografo di grande sensibilità come Roberto Besana, che racconta gli alberi, i boschi, la natura e la stessa tempesta con un’educazione e un punto di vista così raffinati e delicati, da evitare di annichilire la nostra fragile umanità e, di conseguenza, la nostra personale curiosità. Perché le bellissime fotografie pubblicate hanno lo scopo di riattivarla, per tornare a curiosare in quei luoghi, senza paure o titubanze, per ritrovare la “perduta via”. E non serve più tecnologia o un navigatore satellitare migliore, ma più attenzione, curiosità, interesse, sapersi mettere in gioco e ascoltare la bellezza del mondo, per stimolare all’infinito le nostre migliori energie cognitive, in modo da comprendere, una volta per tutte, che “abitare” il mondo significa ontologicamente prendersi “cura”, dell’ambiente che ci accoglie e di tutti i viventi presenti.

Fotografia © Roberto Besana
Fotografia © Roberto Besana

Silenziosa, consapevole tristezza 

di Roberto Besana – fotografo

È nelle occasioni come questa che sento con certezza che la fotografia riesce a parlare alla nostra mente, a documentare, a tenere vivo il ricordo del passato e, in modo particolare, di quanto avvenuto nell’ottobre del 2018 sulle Dolomiti e le Prealpi Venete a causa dell’uragano Vaia. Momenti e sensazioni che ho cercato di fissare indelebilmente con le mie immagini e di presentare in questa mostra, portandoli al vostro sguardo per non dimenticare.

Fotografia © Roberto Besana
Fotografia © Roberto Besana

Le parole, a mio avviso, non hanno altrettanta forza nel dare evidenza dell’accaduto.  Solo il suono, i rumori e le immagini possono raccontarci quanta distruzione si è abbattuta sulle montagne, quanti alberi si sono adagiati dopo essere stati estirpati con violenza. Perché la vista e l’udito sono i sensi che più velocemente raggiungono la mente e il cuore, e che ancora meglio della parola rimangono impressi nella memoria. Ecco, la fotografia scuote il cuore, l’anima di chiunque non ha potuto vedere né vagare per i versanti e le valli, ammutolito come me, incredulo e tristemente consapevole che siamo di fronte alla necessità di comprendere e condividere quanto la scienza ci dice da tempo: l’equilibrio ambientale si sta rompendo, si accelerano i fenomeni dirompenti per la nostra incuria di una vita dispendiosa di energia, di suolo, di risorse. Nulla di male per la natura: lei è riuscita a sopravvivere nei milioni di anni passati a catastrofi ben più grandi e continuerà a farlo in un eterno infinito che viene prima degli uomini e continuerà dopo di loro. Non è certo questo mammifero “Homo” che ne causerà la distruzione, ma dovrebbe essere lui ad agitarsi nel considerare l’avvenimento come presagio, avvertimento per la sua esistenza futura. Rispettare la natura è portare rispetto a noi stessi, alla nostra qualità di vita sul pianeta Terra, in cui siamo ospiti. Solo così l’uragano Vaia, con il suo nome di donna madre, ci servirà per rigenerarci come gli alberi che via via ricresceranno, noi migliori di prima, più consapevoli, più umani.

Fotografia © Roberto Besana
Fotografia © Roberto Besana

di Roberto Besana e Claudio Lucchin – Fotografie di Roberto Besana