“I Bronzi di Riace sono tra quelle memorie di assoluta bellezza che appartengono al mondo prima che ai cultori dell’antico”. Questa frase di Paolo Moreno, archeologo che ci ha lasciato il 2021, tra i massimi divulgatori dell’arte antica, rende meglio di qualsiasi altra considerazione l’importanza giustamente attribuita ai magnifici guerrieri restituiti dal mar Ionio mezzo secolo fa. Era infatti una calda giornata dell’agosto 1972 quella in cui le suggestioni magnogreche, da sempre presenti nei territori bagnati da quelle acque, di colpo ritrovarono la propria consapevolezza, una ragion d’essere che fino ad allora sembrava essere sopita. Quelle statue, così superbe e perfette, emersero da un oblio durato circa due millenni, quasi a richiamare le nostre coscienze per invitarle a più profonde sensibilità, meditazioni, riflessioni sulla storia delle civiltà e quindi di un’umanità che dovrebbe ancorarsi a valori di bellezza senza tempo. Quella dei Bronzi è una vicenda affascinante che va oltre la scoperta archeologica, al di là del fatto storico e in aggiunta a quello artistico. Effettivamente, più che un ritrovamento, si trattò di una rinascita, come afferma Mirta Aktaia Fava nell’articolo che presentiamo in questo numero di «Globus», corredato dalle splendide fotografie di Luigi Spina. Parafrasando Erich From si può dire che è una vicenda stimolante per rinascere ogni giorno, per provare un senso di sé.