Tra le montagne del Perù, a circa settanta chilometri in linea d’aria da Cuzco e a 2438 metri s.l.m., si trova uno dei luoghi più suggestivi del mondo, una città sacra perfettamente armonizzata con la circostante natura andina: Machu Picchu. Costruita tra il 1438 e il 1471 per volere dell’imperatore Pachacuti (il cui nome significherebbe “colui che trasforma il mondo”), fu distrutta quando il Perù venne invaso da Francisco Pizarro, il conquistatore sostenuto dalla corona spagnola. Machu Picchu fu abbandonata poco dopo, circa nel 1560, divenendo una città fantasma. La memoria della llaqta (“città”, in lingua quechua) rimase viva solo nelle memorie di poche persone finché nel 1911 un esploratore americano e professore dell’Università di Yale, Hiram Bingham, partito alla ricerca dei preziosi e perduti reperti inca, la scoprì. In realtà, egli non seppe mai d’aver scoperto Machu Picchu ma continuò a credere che le rovine da lui trovate appartenessero a un’altra città: Vilcabamba, l’ultima capitale inca.
I primi resti che Bingham e i suoi collaboratori si trovarono davanti furono delle costruzioni residenziali di granito e poi, salendo delle scale, riconobbero una piazza con degli edifici sacri. Nelle successive spedizioni furono rinvenute anche delle tombe, migliaia di reperti (non solo ceramiche, metalli, pietre ma anche mummie e scheletri) e diversi altri quartieri intorno al nucleo principale della città. Nel 1913 la rivista National Geographic, che già da un anno collaborava alle ricerche, pubblicò un lungo articolo riguardante la spedizione in Perù e lo corredò con più di duecento fotografie.
La città, il cui fulcro era la piazza, venne riconosciuta solo nel 1993 come residenza temporanea per il re invece che suo luogo di abitazione definitivo. Per molti edifici trovati nel Novecento e poi scavati, come il cosiddetto Tempio del Sole e la cosiddetta Casa della Ñusta, non è ancora stato possibile capirne con certezza la funzione, anche se alcuni confronti con la città di Cuzco e alcuni ambienti particolari permetterebbero di fare delle ipotesi. Ciò che invece è identificabile con certezza è la residenza reale nel quartiere alto, chiamato Hanan, in cui l’imperatore Pachacuti e le sue mogli potevano risiedere, sempre accompagnati dai loro servitori, ai quali erano destinati alloggi in edifici vicini, e ai loro lama, che avevano almeno due recinti in questa zona. Il quartiere di Hanan comprendeva anche altre abitazioni, soprattutto appartenenti alla classe medio-alta, e numerose fontane, importantissime per la cultura inca.
La città di Machu Picchu aveva un interessantissimo sistema di distribuzione e di drenaggio dell’acqua, tanto che ancora oggi visitando il sito non si incontreranno facilmente pozzanghere o ristagni lungo le strade; alcune delle terrazze fuori dalle mura del quartiere urbano avevano un sistema di sfruttamento dell’acqua piovana e di irrigazione molto avanzato. I sistemi idraulici della città, infatti, erano stati pensati appositamente in sede di progettazione urbanistica, ponendo una particolare attenzione al fatto che Machu Picchu si trovava tra due valli; anche i materiali utilizzati per le costruzioni, e quindi blocchi di pietra, erano stati meticolosamente scelti per resistere agli eventi sismici, che pure dovevano essere frequenti poiché la città si trova su due faglie.
Gli Inca avevano un legame molto forte non solo con l’acqua ma anche con l’astronomia; esistono infatti varie costruzioni che ne testimoniano l’importanza, ad esempio il Tempio del Sole, quello del Condor o gli Specchi d’acqua. L’altra parte della città, conosciuta come Hurín, era la zona bassa identificabile prevalentemente come settore agricolo; separata dal settore urbano da un fossato e da un imponente muro di pietra, ospita alcuni degli edifici più particolari di Machu Picchu. Nell’Hurín si trovano il tempio del Condor (Apu Kuntur), alcune abitazioni degli inca (i ragazzi della città alta dovevano sposarsi con le ragazze della città bassa e viceversa), la Acllahuasi (Casa delle donne scelte) e il gruppo di edifici “dei Tre Portali”.
L’arte inca è tra le più raffinate e particolari oggi conosciute: pur non conoscendo la ruota e quindi non avendo alcun tornio, riuscirono a modellare la ceramica a mano utilizzando tecniche sempre nuove. Si hanno esempi sia di vasi per uso domestico che di oggetti rituali decorati con animali, figure antropomorfe o miti. Naturalmente si conoscono anche oggetti particolarmente fini in altri materiali (statuine d’oro, tazze d’argento antropomorfe, vasi da cerimonia di legno) e strumenti unici; uno di questi era il quipu, che, con le sue cordicelle di diversi colori, serviva a contare, registrare e ricordare eventi storici. Il quipu era fondamentale per la contabilità dei raccolti, per quantificare le merci immagazzinate, per i censimenti della popolazione; i nodi di questo strumento mnemotecnico erano usati per le quantità mentre i colori, lo spessore e la lunghezza delle corde denotavano l’oggetto che si contabilizzava. Inoltre, gli Inca erano maestri nell’arte della tessitura e questa era una delle loro principali attività artigianali. Gli animali giocavano un ruolo di primo piano poiché alpaca, vigogne e lama fornivano la lana necessaria alla produzione nella quale, tuttavia, si utilizzavano anche cotone e fibre vegetali di vario genere. Anche i pigmenti per tingere i tessuti venivano dalla natura (arbusti, foglie o insetti principalmente). Machu Picchu dunque è un luogo magico, ricco di storia e di arte, che vale almeno una volta nella vita di essere visitato. Nel 1929 la città venne dichiarata Monumento Nazionale e dal 1983 è nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO.
di Maria Grazia Cinti – archeologa
Immagine in copertina: La città sacra di Machu Picchu (1450 – 1572), veduta del sito archeologico – Valle dell’Urubamba, altopiano meridionale – Cultura Inca (1438 – 1532 ca d.C.) – Fotografia: Tomas Sobek
Le immagini, tranne quelle in cui sono indicati gli autori, sono tratte da: “Machu Picchu e gli Imperi d’oro del Perù. In mostra 3000 anni di civiltà dalle origini agli Inca”, presentata al MUDEC di Milano dall’8 ottobre 2022 al 19 febbraio 2023. Un meraviglioso racconto di una civiltà plurimillenaria attraverso un grande progetto espositivo realizzato da World Heritage Exhibitions (Cityneon Holdings) e 24Ore Cultura, in collaborazione col governo peruviano, l’associazione Inkatera e il Museo Larco di Lima, da cui sono giunti oltre centosettanta manufatti di sorprendente bellezza. Il progetto – curato da Ulla Holmquist, direttrice del Museo Larco, e dall’archeologa Carole Fraresso – ha attraversato la storia artistica e la biodiversità andina in tutta la sua ampia dimensione geografica e profondità cronologica per culminare in un viaggio ideale nella città inca di Machu Picchu.