Il grande silenzio. Di roccia, di sabbia, di vento
L’attitudine di Roberto Cattini per la fotografia è iniziata nel 2000, da autodidatta. Le immagini del suo progetto “Di roccia, si sabbia e di vento” sono il frutto della sintesi fra la sua passione per la fotografia e quella per il deserto e sono state realizzate nel corso di vari viaggi in Algeria, Niger, Mauritania e Ciad. Presso i Touareg – per antonomasia il popolo del deserto –, è in uso un detto secondo il quale “chi non conosce il silenzio del deserto, non sa cosa sia il silenzio”. Così è per chiunque abbia avuto il privilegio di perdersi nell’enormità degli spazi desertici. Ma rendere tutto questo per immagini è una sfida quasi impossibile. Roberto Cattini ci prova da anni, eliminando tutto ciò che può costituire rumore per lo sguardo e ricercando immagini essenziali, prosciugate nei dettagli, al punto da renderle a volte puri giochi di luce e ombra. Ciò che il fotografo infine ci restituisce è una visione quasi metafisica del deserto; un paesaggio minimale e muto percorso unicamente dall’inarrestabile fluire del vento.
Il traduttore di luce e ombra
Roberto Cattini ha una capacità innata, costantemente affinata attraverso il lungo esercizio del tempo, ed è quella di saper stupire senza compiacimenti. Il suo sguardo sul deserto (il grande silenzio) ha, infatti, l’abilità di tradurre – etimologicamente, etimologicamente il trasportare oltre, oltre a noi – quella “lingua non umana” che, in quel luogo, si esprime attraverso forme o mutamenti delle forme, luci e penombre, suoni e imperscrutabili silenzi.
In queste fotografie l’autore mette a disposizione questa sua abilità, offrendo a noi una semiosis illimitata verso quello che appare come il “labirinto” per antonomasia: labirinto unico e originale in quanto costruito senza alcuna barriera, generato, invece o soprattutto, dai propri infiniti orizzonti, dalle proprie molteplici possibilità di disorientamento e dispersione. Le immagini fotografiche presentate in queste pagine assumono, allora, significati che vanno molto al di là della pur accattivante e perfetta rappresentazione naturalistica, e ci raccontano di dimensioni segrete che trascendono lo sguardo degli occhi, ed invitano ad intuire quelle valenze metafisiche che, costantemente, sottendono ogni scatto e in cui si annebbiano gli umani aspetti del tempo, qui sospeso, del silenzio (udibile), del colore nell’assenza di colore.
Ogni immagine, infatti, si affida al bianco e nero, a quella dimensione pittorica che riduce i naturali cromatismi, spesso forti e dominanti in natura, i quali, accecando gli occhi, rischiano di appiattire il paesaggio e di focalizzare lo sguardo soltanto sugli aspetti più evidenti e immediati del panorama. Qui, invece, l’essenzialità d’ogni immagine ci obbliga a una lettura ulteriore/interiore del luogo; una lettura che si lega alla nitidezza delle linee e dei contrasti, al graduale prosciugamento dei colori e delle forme, fino a ridurle alla loro essenzialità più estrema. Su queste fotografie si può così costruire, per chi sa leggere, una visione originaria: quella che sorprende ogni essere umano quando si trova al cospetto di una dimensione potentemente fisica ma che, in realtà, rimanda anche, o soprattutto, all’Oltre delle cose.
Credo che all’interno di questa capacità agisca il notevole operato di Cattini, e di tale intenzione ne faccia cifra stilistica originale e specifica, generando, in chi osserva, la possibilità di uno sguardo che si amplia ad ogni nuova lettura, in un processo di agnizione continua, di supplemento di domande e conoscenza inesauste. Queste fotografie, pertanto, non fissano un panorama in modo definito o definitivo, non rispondono ad una domanda, né lo vogliono fare, ma ci interrogano attraverso un’inestinguibile offerta di possibilità, aprendo a molti possibili orizzonti, mai chiusi, così come mai potrà essere delimitata la silenziosa, estraniante, infinita dimensione del deserto.
Testo di Marco Fregni – psichiatra, scrittore e poeta
Fotografie di Roberto Cattini