Mi chiedo chi, percorrendo il vecchio Cassaro verso Porta Nuova, dopo avere attraversato la splendida Porta Felice che dalla “passeggiata a mare” conduce al cuore della capitale siciliana, non sia rimasto senza fiato nel trovarsi innanzi un immenso sagrato delineato da una settecentesca balaustra in marmo di Billiemi sui pilastri della quale svettano eleganti statue dei Santi che hanno protetto il percorso religioso dei fedeli della città e di Papi di origine palermitana. Sullo sfondo di tale paesaggio si ammirano le mura arabo-normanne volute dall’Arcivescovo Gualtiero Offamilio.
Il Duomo di Palermo incanta con la sua superba bellezza che vanta più di mille anni di vita, anche se contaminato da improbabili inserti architettonici dei secoli successivi. Lasciando alle spalle il sagrato, si attraversano il quattrocentesco portico e il portale, entrambi magistralmente realizzati da Antonio Gambara, quindi il coevo portone ligneo ci dà accesso alla navata laterale destra percorrendo la quale, in direzione dell’altare dedicato alla Patrona Santa Rosalia, si incontrano le cappelle dedicate a Sant’Ignazio, al Beato Geremia, alle Reliquie e a San Francesco di Paola. Nel pavimento antistante quest’ultimo altare è collocata una “Meridiana” che si sviluppa in direzione obliqua fino al raggiungimento della navata sinistra attraversando la centrale. Essa ci racconta una storia: il rapporto tra l’uomo e il tempo ha un’origine antichissima e il suo concetto fu, assieme a quello dello spazio, organizzatore cognitivo fondamentale entro cui collocare ogni trasformazione.
Nel 1795 l’allora arcivescovo Filippo Lopes y Royo dà incarico al docente di Astronomia dell’Accademia de’ Regj Studi palermitana, Abate Giuseppe Piazzi, di realizzare sul pavimento interno del Duomo una meridiana per “pubblico comodo” al fine di fornire ai cittadini uno strumento semplice ma preciso per misurare il tempo. Il Piazzi fu così inviato all’Accademia di Parigi per acquisire le migliori tecniche di osservazione dagli astronomi francesi e subito dopo a Londra, dove si producevano i migliori strumenti ottici di allora. Al suo rientro ottenne dal re Ferdinando I di realizzare un Osservatorio Astronomico che, insieme con l’architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia, decise di edificare nella sommità della Torre Pisana del Palazzo dei Normanni. Contemporaneamente, rientrando in Italia, dal suo viaggio di studi, constatò che all’interno del Duomo di Milano era stata realizzata, già nel 1786, una meridiana “all’europea”, basata sul giorno solare effettivo, cioè l’intervallo di tempo che intercorre fra due consecutivi passaggi del sole al meridiano. Illuminato, decise di realizzarla anche a Palermo. Nel regno delle Due Sicilie infatti era ancora in uso il sistema “all’italiana” per il quale la giornata veniva suddivisa in ventiquattro ore uguali, contate a partire dalla mezzora dopo il tramonto. La piccola differenza quotidiana tra i due sistemi comportava degli accumuli di differenze sensibili nel corso dell’anno, risultando il sistema all’italiana non rispondente all’effettivo ciclo solare annuale.
Appartenente a quelle dette “a camera oscura”, costruite all’interno di un edificio, la Meridiana della Cattedrale si estende in direzione Sud-Nord: dalla cappella di San Francesco di Paola a quella del SS. Crocifisso, attraversando obliquamente la navata centrale davanti l’altare maggiore. Posizione infelice ma, secondo i calcoli, l’unica possibile all’interno del Duomo. Costituita da una barra in ottone lunga ventuno metri, ottantuno centimetri e due millimetri, è incastonata nel pavimento e definita con un’orlatura di marmo bianco lungo la quale inserti con pregiati marmi policromi rappresentano i segni dello zodiaco.
Poco più in alto la base della cupola antistante la suddetta cappella di partenza ad un’altezza di undici metri, settantasette centimetri e sei millimetri si trova un piccolo foro “gnomonico” che consente ai raggi solari di penetrare creando una “macchia solare”. Questa secondo il periodo dell’anno e quindi della posizione del sole sull’orizzonte, spostandosi lungo la barra d’ottone, determina contemporaneamente l’avvicendarsi dei mesi, stagioni e corrispondenti simboli zodiacali. In un pilastro ai piedi dello gnomone, inoltre è incastonata una lapide di marmo bianco con l’iscrizione in latino: COMMODO ET UTILITATI PUBLICAE INEUNTE SAECULO XIX – ALTITUDO POLI 38°. 6’. 45’’, 5 – ALTITUDO GNOMONIS PALMORUM 46. 1. 5, che precisa la data del completamento della meridiana, la latitudine del sito e l’altezza dello gnomone espressa in palmi. All’interno della stessa è inserita una piccola verga che esprime la misura del palmus (il palmo), metodo di rilevamento del tempo.
Nonostante il tentativo del Piazzi di introdurre la misurazione del tempo “all’europea”, a Palermo si continuò ad usare il tempo “all’italiana” anche successivamente alla riforma del 1861, in seguito all’unità d’Italia, confermando ancora una volta una realtà siciliana di gattopardiana memoria: “Cambiare tutto per non cambiare niente”.
Testo e illustrazioni di Catia Sardella – Fotografie di Manfredi Manfre’