Mantova è una città dal glorioso passato, come dimostrano i tanti monumenti e le attrazioni uniche nel loro genere. I Gonzaga hanno reso Mantova un gioiello del Rinascimento italiano visibile nei suoi palazzi, monumenti, chiese, cultura e tradizioni. Un esempio perfetto è Palazzo Te, villa degli ozi e degli svaghi, progettato dal 1525 al 1535 da Giulio Romano, allievo di Raffaello, per Federico II Gonzaga, figlio di Isabella D’Este e di Francesco II Gonzaga.
Mantova era anticamente circondata da quattro laghi formati dal corso del fiume Mincio; poco distante dall’isola su cui sorse la città si trovava un’altra isola denominata sin dal Medioevo “Teieto” (poi abbreviato in Te), collegata con un ponte alle mura meridionali della città. Due sarebbero le ipotesi più attendibili sul significato del termine Teieto: esso potrebbe derivare da tiglieto, località di tigli, oppure essere collegato a tegia, che significa capanna. Federico II volle trasformare il luogo dove sorgevano le antiche scuderie della famiglia Gonzaga, in una sorta di “villa di rappresentanza” ma anche di luogo adibito al divertimento, destinato tanto ai sontuosi ricevimenti quanto ai segreti convegni amorosi con la donna amata Isabella Boschetti. Giulio Romano qui ha creato tutto, l ‘architettura come la decorazione di ogni singolo ambiente, moltiplicando invenzioni su invenzioni, tanto da alimentare l ‘ispirazione di generazioni d ‘artisti.
L’artista concepisce il complesso come un’antica villa romana, ad un piano solo, formato da un edificio a pianta quadrata costruito attorno ad un ampio cortile centrale. Il lato est del palazzo è completato da un porticato che si apre su un giardino fiancheggiato da due ali, una delle quali un tempo ospitava una citroniera (deposito invernale degli agrumi), a cui è collegata da un ponte pedonale; un emiciclo colonnato, l’Esedra, sulla quale anticamente si affacciavano le rinomate stalle del duca, chiude il giardino sul lato opposto all’edificio principale. Il committente la volle per stupire gli ospiti a cominciare dall’imperatore Carlo V, incoronato nel 1530 da papa Clemente VII, carica grazie alla quale è venuto a conferire la corona ducale al casato dei Gonzaga.
Le due facciate presentano motivi architettonici classici combinati in vario modo, senza il rispetto delle regole tradizionali; i diversi elementi vengono giustapposti in modo estroso, facendo di questo palazzo uno degli esempi più sofisticati di architettura manierista. Il loro elemento predominante sono gli archi, dove prevale il motivo decorativo in pietra grezza che sconfina spesso sull’architrave; a unire le diverse facce si trovano elementi come lo zoccolo fortemente sporgente, o il fregio nella parte alta formato da triglifi e metope. La parte interna, che guarda verso il giardino, è costituita da una sequenza di serliane, così denominate da Sebastiano Serlio a cui è dovuta la pubblicazione e la diffusione di questo schema strutturale, formate da elementi architettonici composti da un arco a tutto sesto affiancati simmetricamente da due aperture sormontate da un architrave; fra l’’arco e le due aperture sono collocate due colonne. Presenta inoltre un intonaco liscio di colore chiaro, che contrasta nettamente con l ‘esterno, dove predominano il bugnato, una lavorazione muraria caratterizzata da blocchi di pietra sovrapposti a file sfalsate preventivamente lavorate in modo che i giunti orizzontali e verticali risultino scanalati ed arretrati rispetto al piano di facciata della muratura, con un effetto aggettante di ogni singolo blocco, e le lesene, pilastri verticali che sporgono dalla parete muraria con funzione decorativa. La decorazione interna dimostra la capacità di Giulio Romano e della sua bottega di utilizzare un linguaggio raffaellesco di forte impatto visivo.
Basti pensare alla stupefacente Sala dei Giganti, completata fra il 1532 e il 1535, in cui l’arte realizza alla perfezione il prodigio di sostituirsi alla realtà, creando una scena che coinvolge lo spettatore nell’immane tragedia di un mondo in rovina.
È formata da una base quadrata, smussata nelle pareti fino a creare un soffitto concavo. In alto, intorno alla “cupola”, sono raffigurati gli dei, primo fra tutti Giove (simbolo del potere imperiale), mentre sconfiggono i Giganti. L’allusione rimanda, con ogni probabilità, alla vittoria di Carlo V sui nemici francesi.
Lo stupore derivato da questa come da altre invenzioni (basti citare i triglifi cadenti del cortile quadrato, come idea di costruire un edificio come se stesse crollando) si integra con quello degli ambienti in cui Federico ostentò i propri titoli, così come gli interessi (i cavalli fissati per sempre nell’omonima sala), le ambizioni e persino le passioni. In proposito, la Sala di Amore e Psiche, il cui mito dovrebbe velare e invece esalta il suo illecito amore, è suddivisa da un pergolato che scandisce le scene in cui aleggia un sottile erotismo.
La villa sorse anche per l ‘esigenza del signore di crearsi uno spazio privato, dall’immensa Reggia, oggi Palazzo Ducale; ma in fondo al giardino egli volle anche uno spazio privatissimo, l ‘Appartamento del Giardino Segreto detto anche della Grotta, luogo di contemplazione e di riposo, ornato da dipinti e rilievi allusivi alla cultura e alle virtù del mondo classico.
Il giardino segreto è un ambiente fuori dal tempo accompagnato dalle rappresentazioni murali delle favole di Esopo, mentre in fondo si entra nella grotta, un antro artificiale di raccoglimento, un tempo zampillante di acqua e piccole fontane.
E questa sequenza delle residenze sempre più piccole, come fosse il gioco delle scatole cinesi, è un’altra delle sorprese di Palazzo Te: tante e sorprendenti da far dire, non senza ragione, che il manierismo è nato qui. Palazzo Te è una tra le più belle ville che l’Italia possa vantare. Riflesso perfetto di un preciso e non facile momento della storia dell’arte, proprio quello del passaggio dagli splendori rinascimentali alle esuberanze manieriste.
di Sheila Gritti – Fotografie di Matteo Colombo