L’autunno porta con sé voglia di gite fuoriporta alla scoperta di luoghi intimi ed accoglienti. Se siete alla ricerca di una destinazione poco conosciuta, nonostante posso vantare dal 2018 il riconoscimento di città Unesco e di uno dei carnevali storici d’Italia, Ivrea è la risposta. Un angolo di Piemonte da scoprire per le tante bellezze paesaggistiche, culturali e ovviamente enogastronomiche.
Nella città che ha dato i natali ad Adriano Olivetti, il visionario imprenditore e mecenate che ha trasformato la sua azienda in un modello di innovazione sociale e culturale, è da segnalare il ristorante XO ubicato all’interno del nuovo 3T Boutique Hotel, che prende il nome dalle tre torri del castello visibili dal suo dehors esterno.
L’intimo ristorante – aperto sia a pranzo con delle proposte più informali e veloci, che a cena con una carta menu e piatti che da soli valgono il viaggio –, è l’espressione della creatività e dell’esperienza dello chef Ugo Gastaldi, consulente del ristorante XO, che dopo aver girato il mondo e creato piatti per alcuni dei più importanti presidenti d’America, oggi è ritornato nuovamente nella sua terra per promuovere il cibo come cultura della tradizione italiana, ma con uno sguardo aperto al piacere della scoperta. Per comprendere meglio la sua filosofia gli abbiamo fatto qualche domanda.
Piemonte andata e ritorno. Cosa significa il ritorno nel territorio di origine dopo anni di esperienze internazionali?
«Personalmente sono molto felice di aver portato al di fuori del territorio italiano la cultura e l’esperienza della nostra tipologia di cucina, come ad esempio l’utilizzo di metodi di cottura come la brasatura. Tempi lenti che arricchiscono il gusto dei cibi, che vanno in parallelo anche con la conoscenza della loro origine. Il valore del gusto anche nutrizionale, ad esempio, nasce dalla conoscenza della modalità di allevamento e di nutrimento di una mucca, consentendo in questo modo di utilizzare diversi tipi di carni a seconda le intenzioni di utilizzo. Ad esempio la carne fassona, tipica piemontese che si caratterizza dagli allevamenti in stalla con un’alimentazione con fieno, restituisce al gusto un prodotto più delicato al gusto e una carne più chiara a differenza di quelle del mondo anglosassone che risulta essere più intensa e ferrosa. Il ritorno in Piemonte, inoltre, ha rafforzato la consapevolezza della ricchezza della cucina italiana, grazie alla diversità degli ambienti climatici nel Belpaese, diversità di prodotti e salinità, che non a caso lo scorso marzo l’hanno condotto alla candidatura quale patrimonio UNESCO. Tuttavia in questa esperienza ho avuto la consapevolezza di come la cucina d’oltreoceano non è tutta da demonizzare in quanto non è solo junky food. Ad esempio, c’è un mondo da scoprire, ma soprattutto da far conoscere attorno alle differenze tra pescato dell’Atlantico e Mediterraneo, nonché sui crostacei che permettono creazioni di piatti unici, grazie anche alla pezzatura differente.»
È stato definito lo chef dei presidenti, qual è il piatto che le ha dato più soddisfazione nel proporlo all’interno di un menu di Stato?
Tra i tanti piatti che ho avuto l’onore di preparare per i presidenti degli Stati Uniti d’America, che amano la cucina italiana, ho avuto il piacere di preparare diverse tipologie di pasta fresca per Obama. Lui in particolare amava la tagliatella fresca alla genovese. La curiosità legata all’origine del ragù alla genovese è che si tratta di una salsa a base di carne e cipolle che non ha nulla a che fare con la città di Genova, ma è tipica della cucina napoletana. Secondo una delle ipotesi più accreditate, il ragù alla genovese sarebbe nato nel XVI secolo quando i mercanti genovesi portarono a Napoli le cipolle dorate di Montoro, un ingrediente fondamentale per la preparazione della salsa. Un’altra teoria sostiene che il nome deriva da un cuoco genovese che lavorava in una locanda napoletana e che inventò il ragù per accompagnare la pasta fresca. In ogni caso, il ragù alla genovese è una ricetta antica e tradizionale, che richiede una lunga cottura e un equilibrio perfetto tra i sapori della carne e delle cipolle. ovvero con ragù napoletano cipolla e vitello bianco. Continuando tra i piatti preferiti dai presidenti, Biden amava la semplicità dello spaghetto al pomodoro e basilico mentre Clinton era un sostenitore della cucina vegana, anche per la necessità di seguire una tipologia di regime alimentare legato alla sua salute, preferendo sempre piatti semplici ma sfiziosi come l’insalata di rucola, mela, noci e quinoa.
Lei è da sempre ambasciatore della cucina italiana nel mondo, quali sono i piatti più apprezzati all’estero?
Ho avuto il piacere di collaborare con la sede dell’Ambasciata italiana di Tunisi, che insieme all’Istituto di Cultura Italiana ogni anno nella la terza domenica del mese di novembre dà vita a un calendario di incontri sulla cucina del sud Italia. Il legame nasce non solo per la vicinanza tra le due nazioni, ma anche perché la forte emigrazione dal paese del nord Africa nella nostra penisola ha creato un ponte tra le due culture. Dalla Tunisia al resto del mondo i piatti che identificano l’Italia e al tempo stesso non possono mai mancare in un menu di un ristorante all’estero sono la pizza, la pasta in tutte le forme, gli spaghetti alla bolognese, il risotto alla milanese con l’ossobuco, la parmigiana di melanzane e la semplicissima insalata caprese. Tra i dolci, per gli stranieri sono irresistibili il tiramisù, la panna cotta e l’icona della dolcezza italiana, ovvero il gelato.
In questa nuova avventura nel nuovo ristorante XO ad Ivrea all’interno del 3T Boutique Hotel, cosa porta delle esperienze internazionali legate anche all’alta cucina francese?
La Francia è depositaria di grandi tecniche di cucina, che io porto con me insieme alle esperienze internazionali legate anche all’alta cucina francese che mi hanno arricchito sia dal punto di vista professionale che personale. Ho avuto la fortuna di lavorare in diversi paesi e di imparare da chef di grande talento e creatività. La mia cucina si basa su una solida conoscenza delle tecniche classiche francesi, ma con un tocco di innovazione e di contaminazione con le tradizioni locali. Mi piace sperimentare con gli ingredienti di stagione e di qualità, creando piatti che esaltano i sapori e le consistenze, capaci di stupire chi è attento al dettaglio nel piatto. Il mio obiettivo è offrire ai miei ospiti un’esperienza gastronomica unica e memorabile, in un ambiente elegante e accogliente.
Il tema della sostenibilità è giunto anche in cucina. Come è possibile fare una linea antispreco e a basso impatto ambientale in un ristorante?
Bisogna lavorare in cucina utilizzando prodotti locali, che hanno anche il vantaggio di richiedere un minore costo di trasporto; sulla stagionalità dei vegetali, della frutta e del pescato; sull’imparare a ridurre o a recuperare lo scarto degli alimenti. Spesso quello che si butta è maggiore di quello che si utilizza. Un esempio di recupero degli scarti, che io amo utilizzare, sono le lische delle alici con le quali si possono fare dei chips. Una ricetta antispreco è quelle di panarle e friggerle in abbondante olio, trasformandosi così in grissini di pesce; oppure lo spiedino di bucce di fichi d’india in stagione arricchito con provolone del monaco, che grazie al suo sapore intenso e aromatico, è stato legato anche all’alta cucina francese.
La cucina tradizionale regionale ha diverse proposte di ricette vegetariane se non addirittura vegane. Quali sono quelle piemontesi e che ha messo in menu in questi anni?
La storia della cucina tradizionale vegana senza prodotti di origine animale è antica e varia. Si basa sull’uso di ingredienti vegetali come cereali, legumi, verdure, frutta, semi e spezie, che offrono una grande varietà di sapori e nutrienti. La cucina vegana non è solo una scelta etica o ecologica, ma anche una scelta salutare e gustosa. Attingendo alla cucina piemontese nelle proposte non manca il plateau di verdure con pinzimonio che accomuna anche la Liguria e la costa francese; i risotti con il topinambur che è un ingrediente versatile da utilizzare anche come chips e che dona al piatto un retrogusto che ricorda il carciofo. Ovviamente, visto la terra in cui sono nato e dove oggi lavoro, tra gli ingredienti nobili della cucina vegana, non manca in stagione il tartufo. Questo ingrediente diventa fortemente identitario, contribuendo anche a rafforzare il turismo del territorio, in quanto gustare un piatto qui, dove il tartufo viene raccolto, regala un’esperienza del gusto completamente differente.
In un momento storico dove il voler essere protagonista sembra imperante, i suoi piatti vanno nella direzione opposta. Avendo avuto modo di gustarli, arriva al palato una cucina dell’abbraccio, che non ricerca i riflettori ma l’attenzione verso ciò che si mangia. È un voler andare controcorrente oppure la consapevolezza della necessità di dare un nuovo corso all’esperienza ristorativa?
Semplicemente i piatti che propongo ai miei ospiti rispecchiano il mio pensiero più profondo. Per me la cucina è abbraccio, amore e condivisione, non amo il contrasto nel gusto. Personalmente preferisco unire e legare gli ingredienti per consonanza, creando una rotondità ed armonia nel gusto e ovviamente nell’estetica. Insomma, creare una cucina non spigolosa!
Cibo e musica. Lei ascolta musica classica e l’opera mentre è in cucina. C’è qualche composizione che ha ispirato in particolar modo qualche suo piatto?
No, però l’armonia che la musica crea pone tutto su un livello differente di percezione perché mette in uno stato d’animo proficuo. Apre la mente. Anche le piante, come la vigna, ascoltando la musica sono più produttive. Tuttavia, in parallelo con la musica amo ricaricarmi nel sud della Francia, nel nizzardo e poi tra il mare della Costa Azzurra e le montagne piemontesi.
Ivrea la città di Adriano Olivetti, che con la sua architettura innovativa si è valsa il riconoscimento di città Unesco. Mettendo questa città tra le destinazioni da visitare nella prossima primavera quale sarebbero per lei i luoghi da non perdere da abbinare in parallelo a dei piatti che si potranno trovare in menu da XO.
Scoprire la città di Ivrea e conoscere il mondo olivettiano è oggi quanto mai attuale ed interessante, rispetto al tema dell’etica nel lavoro, il principio elevato della tutela dei dipendenti, come un mecenate rinascimentale. Giunti in questa parte di Piemonte ancora tutto da scoprire, tra i posti che io consiglio ci sono il castello di Masino, la serra morenica più grande d’Europa e il parco del Gran Paradiso.
E se la scoperta del territorio avrà stuzzicato l’appetito, di ritorno nell’hotel 3T, all’interno del quale è situato XO, il viaggiatore goloso potrà gustare una battuta di carne piemontese con sifonatura di bagna cauda, gnocchi con formaggio locali, asparagi di Santena e uova, una giuncata di latte caprino con coulis di more e strudel croccante. Un viaggio d’autunno e non solo, per gustare e conoscere il territorio anche nel piatto, circondati dalle bellezze del foliage e del patrimonio artistico di grande valore.
di Barbara Perrone