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Il San Giovanni mutante di Leonardo

Quando il San Giovanni Battista di Leonardo proveniente dal Louvre, fu messo in mostra dal Comune di Milano (dal 27/11 al 27/12 2009), avvertii come una mancanza la scelta dei curatori della mostra di non confrontare il dipinto esposto con la copia da Leonardo dell’Angelo annunciante del Kunstmuseum di Basilea, opera perduta del genio vinciano e imprescindibile precedente nella genesi del San Giovanni. Tant’è che qualche studioso non esclude che alle due opere Leonardo abbia lavorato in contemporanea, quasi fossero pendant. Lo specialista di Leonardo Pietro C. Marani vi si sofferma nel catalogo della mostra milanese, ma stranamente l’Angelo non compare tra le illustrazioni del suo puntuale e documentato saggio.

Anonimo, copia da Leonardo, Angelo annunciante, Basilea, Kunstmuseum

L’interdipendenza tra le due opere, immediata già al primo sguardo, diventa sorprendente in sovrapposizione, dove il volto dell’Angelo e del Battista è praticamente lo stesso. Se non fosse che le indagini radiografiche lo negano, di getto verrebbe da dire che abbiamo ritrovato l’Angelo perduto di Leonardo.

Sovrapposizione in trasparenza delle due opere

La triade francese. È documentato che Leonardo nella sua trasferta francese ad Amboise, al servizio di Francesco I re di Francia, portò con sé tre tavole: La Gioconda; Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnello, e il San Giovanni Battista. Se Leonardo da queste opere non si volle mai separare, possiamo supporre che per lui rivestissero un significato particolare: quale, ci chiediamo? E quale relazione esiste tra queste tre opere?

La prima e più semplice analogia è che sant’Anna e san Giovanni sono rispettivamente santa protettrice e patrono di Firenze, perciò fanno pensare a un sentimento devozionale dell’artista per i santi “di casa”; ancora più pregnante, però, sarà stato il richiamo dei tre dipinti con le radici familiari, umane e sociali e con l’ambiente culturale fiorentino in cui il giovane Leonardo si formò. Se diamo credito all’interpretazione di Freud, nella Gioconda Leonardo avrebbe idealizzato la propria madre e sublimato il suo affetto attraverso il celebre sorriso della donna.  La stessa proiezione si sarebbe sdoppiata poi nell’opera Sant’Anna e la Vergine, che rappresenterebbero la madre naturale di Leonardo e quella adottiva. È plausibile, quindi, che il nesso tra i dipinti sia di natura autobiografica, motivazione che, a mio avviso, trova riscontro anche nel San Giovanni.

Sappiamo dunque che il San Giovanni deriva dall’Angelo e, in virtù delle forti somiglianze tra i due personaggi, deduciamo facilmente che il Battista sia nato dallo “sdoppiamento” dell’Angelo. Sappiamo altresì che Salaì (in dialetto “diavolo”), è stato allievo e probabile compagno di Leonardo, il quale posò molte volte per il maestro, e qualcuno ipotizza che anche dietro la Gioconda ci sia il volto di Salaì. La descrizione del Salaì, il cui vero nome è Gian Giacomo Caprotti, ce la fornisce Vasari: «Prese in Milano Salaì milanese per suo creato, il quale era vaghissimo di grazia e di bellezza, avendo begli capegli ricci et inanellati, de’ quali Lionardo si dilettò molto, et a lui insegnò molte cose dell’arte». E se Leonardo, nonostante la condotta scorretta del ragazzo lo tenne con sé per decenni (fino alla partenza per la Francia), avrà avuto le sue buone ragioni. Ragioni, fra l’altro, che lo indussero a lasciargli in eredità le tre tavole delle quali ci stiamo occupando.

A differenza dell’Angelo del Kunstmuseum, questo mostra una sessualità esplicita con il seno ben sviluppato e il pene eretto. Il membro, che potrebbe non essere stato disegnato da Leonardo, ma aggiunto nell’ambito della sua bottega al fine di uno scherzo provocatorio, presenta tracce del tentativo di cancellarlo (Wikipedia)

I connotati di Salaì sono rintracciabili in molti lavori di Leonardo, Angelo e San Giovanni compresi. Dell’Angelo Leonardo disegnò anche una versione erotica nota come Angelo incarnato; questo schizzo, assieme ad altri undici disegni erotici di Leonardo, fino all’Ottocento si trovava nella Royal Collection di Windsor e oggi in una collezione privata tedesca, dalla quale nel 1991 fu portato alla luce dal massimo leonardista vivente, Carlo Pedretti. Questo disegno potrebbe essere nato in un contesto privato, tuttavia bisogna ricordare che il tema dell’androgino era di attualità nell’ambito del neoplatonismo fiorentino del XV secolo, simbolizzando l’ideale di perfezione e completezza umana in un corpo che fonde il carattere maschile e quello femminile. Maurizio Calvesi rintraccia questa intenzionalità pure nella Gioconda: «Tale è ad esempio la celebre Gioconda di Leonardo che nella sua androginia vela probabilmente un significato allusivo. Il misterioso sorriso sembra confermarlo, come racchiudesse il segreto stesso della vita, che anche idealmente nasce da quella unione o compresenza di maschile e femminile».

Riassumendo: il San Giovanni include l’Angelo che a sua volta include Salaì, soprannominato “diavolo” proprio da Leonardo a causa del suo carattere irrequieto. A questo punto risulta più agevole percepire nel San Giovanni echi delle esperienze intime e sentimentali dell’artista e, quindi, considerare anche questa un’opera-specchio della vita di Leonardo. È pensabile che l’artista avesse col dipinto un rapporto alla Dorian Gray, ma a parti inverse: mano a mano che egli subiva l’attacco della vecchiaia e poi della malattia, il dipinto gli avrebbe ricordato la bellezza e la virilità delle passioni giovanili, consegnate in eterno all’immortalità dell’arte.

La croce del pentimento. Tra le anomalie del San Giovanni bisogna riferire ancora qualcosa a proposito della mano sinistra che poggia sul petto. Quella mano, infatti, non impugna affatto la croce, perciò essa appare poco naturale per quel gesto; la mano si percepisce “indecisa” tra le due funzioni del “toccare” (il petto) e del “tenere” (la croce). Molti indizi portano a concludere che in origine la croce non ci fosse, perciò è probabile che la stessa sia stata inserita tra il palmo e il petto in un secondo tempo. Il primo indizio è dato da un disegno a sanguigna attribuito a Leonardo, che molto probabilmente fu lo studio preparatorio per la mano dell’Angelo e/o del Battista, in cui la croce è assente.

Leonardo (attribuito), Studio per una mano portata al petto, Venezia, Gallerie dell’Accademia, Gabinetto dei Disegni, inv. 138

Il secondo indizio proviene dalle diverse imitazioni coeve del San Giovanni, tra le quali qui proponiamo la replica di un seguace (un tempo attribuita allo stesso Salaì), la cui impostazione differisce dall’originale solo per lo sfondo. Ma a farci scommettere con maggior convinzione su questa ipotesi è la tendenza perseguita da Leonardo durante la sua evoluzione stilistica, sempre più orientata verso una progressiva semplificazione ed astrazione dell’iconografia che impiegava. Emblematico è lo scarto esistente tra il cartone preparatorio della Sant’Anna alla National Gallery (1508) di Londra e la tavola finale del Louvre (1510), in cui sono scomparsi il dito di sant’Anna che indicava il cielo (eccessivamente didascalico) e san Giovannino sostituito dal solo agnello, principale attributo iconografico del Battista. Perciò a un artista che raffigurava angeli annuncianti senza ali, aureola e giglio, l’attributo della croce del Precursore doveva sembrare un elemento ridondante. D’altronde l’invenzione di Leonardo consiste nel ribaltare la tradizionale iconografia del Battista, patito eremita scarnificato dagli stenti, e raffigurare un san Giovanni giovane, sensuale, ambiguo, bello, attraente e finanche invitante; quasi fosse un soggetto sincretico tra cristianesimo e paganesimo. All’occorrenza un santo “riciclabile” in un dio pagano, com’era già successo col San Giovanni-Bacco del Louvre. O, più semplicemente, su un piano intimo e personale, quel personaggio doveva evocargli la virile bellezza sulfurea dell’angelo-diavolo Salaì.

Certo, l’attributo della croce potrebbe essere stato aggiunto dopo la morte di Leonardo (com’era successo per la seconda versione della Vergine delle rocce), ma se ciò fosse avvenuto molto tempo dopo l’esecuzione leonardesca, l’esame della fluorescenza cui la tavola è stata sottoposta lo avrebbe rivelato. Che la croce fosse poco coerente con quell’«equivoco e dulcoroso pollastrone» del San Giovanni, lo aveva intuito Carlo Emilio Gadda quando vide l’opera nel 1939, in occasione del suo primo arrivo a Milano: «Questo Bacco angelizzato privo di polarità sessuale, accostatosi all’ultimo momento alla sua croce-idea, ci appare davvero in una fattura, in un’ombra stupenda». A questo punto, nel Precursore metà santo e metà peccatore, possiamo leggere due messaggi-insegnamenti, manifestati attraverso le mani “parlanti” dell’artista. Il primo, quello “ufficiale”, espresso dalla mano sul cuore, allude all’umanità del Messia di cui Giovanni profetizza la venuta, in contrapposizione complementare con l’altra mano che indica il cielo per segnalarci, invece, anche la natura divina del Cristo che verrà. Nel secondo insegnamento, più velato, possiamo supporre una sorta di monito in cui la mano sinistra accenna al cuore, quindi al corpo e alle pulsioni della carne; mentre l’altra ci ricorda che di tali cadute morali un giorno dovremo rendere conto al Cielo.

Artista milanese, San Giovanni Battista, 1510-1515 circa, Milano, Pinacoteca Ambrosiana, inv. 98

Non ci rimane che avanzare la nostra ipotesi conclusiva, citando ancora una volta il Leonardo di Vasari: «Tanti furono i suoi capricci, che filosofando de le cose naturali, attese a intendere la proprietà delle erbe, continuando et osservando il moto del cielo, il corso della luna e gli andamenti del sole. Per il che fece ne l’animo un concetto sì eretico, che e’ non si accostava a qualsivoglia religione, stimando per avventura assai più lo esser filosofo che cristiano». Dunque l’adesione alla fede cristiana sarebbe stata incompatibile col suo ruolo di scienziato, poiché la sua indagine lo condusse spesso oltre il recinto del dogmatismo cattolico, penso alla dissezione dei cadaveri. Ma possiamo aggiungervi, quale concausa morale, la sua presunta inclinazione omosessuale. E ancora in finale della biografia: «Finalmente venuto vecchio, stette molti mesi ammalato; e vedendosi vicino alla morte, disputando de le cose catoliche, ritornando nella via buona, si ridusse a la fede cristiana con molti pianti; laonde confesso e contrito, se bene e’ non poteva reggersi in piedi, sostenendosi nelle braccia de’ suoi amici e servi, volse divotamente pigliare il Santissimo Sacramento fuor del letto».

Pur considerando l’enfasi del linguaggio vasariano, appare innegabile il riavvicinarsi alla fede cristiana di Leonardo, e chiaro il pentimento per quando se ne fosse allontanato. A me piace immaginare che l’aggiunta della croce simbolizzi il ravvedimento dell’artista che, per quanto possibile, riequilibra in senso trascendentale il San Giovanni e ne stempera la conturbante vitalità. La croce, quindi, è il segno manifesto della crisi di coscienza dell’artista e diventa la sua metafora penitenziale. L’intervento pittorico rappresenta perciò la testimonianza morale di un uomo che, inseguito dai dubbi e dai sensi di colpa per aver vissuto difformemente dai princìpi cristiani, percependo la vicinanza della fine, abbia voluto riconciliarsi con Dio. Se così fosse nel dipinto si specchierebbe la narrazione di un segmento importante dell’esperienza personale dell’autore, conclusa con la “scrittura” del proprio testamento spirituale. Ma, più in generale, potremmo anche scorgere nel San Giovanni l’eterna ambizione dell’uomo di sentirsi artefice della propria autodeterminazione, salvo poi arrendersi ai limiti della propria finitezza biologica e cognitiva, e finire con l’inginocchiarsi al cospetto dell’Assoluto inconoscibile.

Lo stesso sentimento di umana fragilità avvertì lo spavaldo Marinetti, malato e prossimo alla morte, quando nel suo Aeropoema su Gesù del 1944 ci testimoniava il dissolvimento delle sue (e delle nostre) «Illusioni di sentirsi meccanico quando si è in realtà soltanto carne piangente».

di  –  artista contemporaneo

Immagine in copertina: Leonardo da Vinci, San Giovanni Battista, 1505-13 (?), Parigi, Museo del Louvre

 

 

 

 

 

 

 

Autore

  • Saro Brancato è un artista contemporaneo che occasionalmente scrive di arte. Ha studiato Pittura all’Accademia di Brera alla fine degli anni Sessanta, ed è stato docente di materie artistiche nella scuola statale. È un collezionista di manifesti d’arte originali d’epoca, nonché autore egli stesso di “alternative movie posters”. Come artista ha attraversato diverse esperienze stilistiche: da giovane influenzato dal Color Field americano, fino ai lavori più recenti di impronta New Pop e Digital...

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