Per i Romani il concetto di morte e di aldilà deriva dalla religione pagana e politeistica. Tale concetto non segue dogmi vincolanti, né ha un rigido impianto teologico e dogmatico. Da ciò consegue una quasi totale tolleranza e accettazione di altri impianti religiosi. Nell’antica Roma non esiste una codificazione comune a tutti del concetto di oltretomba, ma spesso tale idea è lasciata alla coscienza personale dell’individuo. Va però detto che per convenzione sociale possono anche esistere comportamenti ricorrenti che gradualmente si sono normalizzati e questo soprattutto per quanto concerne il cerimoniale pubblico.
Partiamo dal concetto generale che la sopravvivenza dell’anima al corpo è per la cultura romana credenza assai antica e radicata. È noto come i grandi intellettuali e poeti romani, proprio come fece Dante per noi, plasmarono il regno dell’oltretomba descrivendolo come il regno di Ade/Plutone, una sfera oscura, conosciuta come Tartaro e popolata da esseri mostruosi ove gli spiriti dei defunti vengono traghettati attraverso l’Acheronte e vagano come ombre in un regno di assordante silenzio e totale oscurità. Il passaggio attraverso l’Acheronte ebbe una fortuna letteraria lunghissima, tantoché fu proprio il Sommo Poeta a riproporlo nella Commedia. Però non tutti i mortali sono destinati a finire negli Inferi; agli eroi, così cari agli Dei, spettano invece i Campi Elisi, un luogo mite, fiorito e di eterna pace. Le fonti ci parlano anche dei manes, anime capaci di influenzare in negativo o in positivo l’esistenza dei vivi. Entità, queste, trascendentali di natura collettiva, assimilate a divinità, perciò venerate come tali, ma prive di forma. Tali concezioni vanno ad arricchirsi con il contatto con cultura e credenze religiose greco-ellenistiche. È nel periodo tardo-repubblicano che giungono a Roma correnti filosofiche orfico-pitagoriche, stoiche ed epicuree, con le varie declinazioni del concetto di reincarnazione.
Anche la morte aveva un ruolo ben definito nel Pantheon romano, essa si identificava con Mors, in età imperiale personificata dalla figura di Orcus, divinità degli inferi e ctonia. I Romani credevano che le anime dei defunti, una volta trapassati, scendessero nell’oltretomba, sul quale regnava il romano Plutone. Qualche anima, poi, era anche costretta a ritornare sulla terra per qualche periodo, qualora fosse arrivata nel regno dei morti non purificata dalle istanze terrene. Il destino di tali anime è comparabile a quello delle anime nel Purgatorio dantesco.
La necessità di un culto e dei rituali era importante per far sì che i defunti potessero essere accompagnati verso la dimora eterna senza possibili problemi. Tutto il sistema religioso romano domestico si basava quasi esclusivamente sul culto degli antenati: i Lari. Essi erano le divinità protettrici della casa, rappresentavano gli spiriti protettori degli antenati defunti. Apuleio afferma che anche l’anima umana è un demone e che gli uomini divengono Lari se hanno fatto del bene, fantasmi o spettri se hanno fatto del male, e che sono considerati dei Mani se è incerta la loro qualificazione. I Mani erano gli spiriti degli antenati scomparsi, talvolta identificati con le divinità dell’oltretomba, ed erano oggetto di devozione in ambito familiare. Infine, i Penati erano gli spiriti protettori di una famiglia e della sua casa ma anche dello Stato.
di Riccardo Renzi – Istruttore direttivo Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo
Immagine in copertina: Il Pantheon di Roma (Fotografia: damir-kalic / Unspalsh)