Nell’estate del 1924 una giovane donna visita Tivoli. Marguerite Yourcenar tornerà molte altre volte in Italia, ma è quel viaggio in particolare a segnare il suo destino letterario. Tra i resti di Villa Adriana avverte una presenza: la bellezza del luogo, che coniuga un’architettura imponente al rigoglio della natura, non basta a spiegare l’emozione. A stregarla è la storia che quel luogo racconta. Non la vita dell’imperatore che nel II secolo d.C. segna il destino di Roma, ma le vicende dell’uomo appassionato, dell’intellettuale raffinatissimo. Così comincia a scrivere. Sono solo appunti su fogli sparsi: l’inizio del libro che la consegnerà, assieme all’imperatore, alla fama. Le Memorie di Adriano dovranno però attendere fino al 1951 per la pubblicazione. “Ci sono libri che non si dovrebbero osare se non dopo i quarant’anni”, dirà lei.
Ma la villa e il suo proprietario restano una presenza fissa nell’intera esistenza della scrittrice franco-belga. Oggi Tivoli omaggia quel legame: l’Istituto Villae coordinato da Andrea Bruciati, in collaborazione con Paesaggio Culturale Italiano Srl, ha incoraggiato la creazione di un parco letterario dedicato alla scrittrice franco-belga. Marguerite dovrà dividerlo con altri due nomi immortali che qui sono di casa: Ludovico Ariosto e Ignazio di Loyola, perché a Tivoli più che altrove la storia è fatta di stratificazioni successive che vanno dal celebre palazzo di epoca romana a Villa d’Este, passando per il santuario di Ercole Vincitore.
Così si immaginano itinerari ed eventi a tema. E un nuovo tassello si aggiunge alla già ricca famiglia dei parchi che in tutta Italia vigilano sui luoghi di ispirazione di letterati e poeti. Parola d’ordine: attualizzare le mete culturali, grazie a un approccio che passa anche attraverso l’adesione emotiva del visitatore. La conclusione perfetta del libro iniziato un secolo fa. A ventuno anni Marguerite non sa ancora come utilizzare le sensazioni provate di fronte alla magnificenza del palazzo imperiale. Il Canopo, la Sala dei filosofi, il Serapeo, il Pecile. L’intricato dedalo di sotterranei, nascosti allo sguardo e, forse per questo, ancora più affascinanti.
Tutto parla la lingua dei ricordi, richiama la Grecia e le terre lontane. “Ero giunto in quell’età in cui non v’è una bella località che non ce ne ricordi un’altra, più bella, e ogni piacere s’arricchisce del ricordo di piaceri trascorsi… Ma, soprattutto, nel cuore di quel ritiro, m’ero fatto costruire un asilo ancor più celato, un isolotto di marmo al centro d’un laghetto contornato di colonne, una stanza segreta che un ponte girevole, così lieve che si può con una mano sola farlo scivolare nella sua corsia, unisce alla riva, o, piuttosto, segrega da essa… all’ora della siesta, mi recavo là per dormire, per pensare, per leggere. Sdraiato sulla soglia, il mio cane allungava innanzi a sé le zampe rigide”. Il segreto del fascino esercitato dal sito su migliaia di visitatori sta tutto qui, nella quotidianità della scena rievocata nelle Memorie. La villa “dolcemente distrutta e creata dai secoli” testimonia il potere, lo sfarzo. Ma anche la solitudine e il rimpianto che non risparmia neppure i potenti.
Racchiuderlo nei confini di un libro è un’impresa complessa, Marguerite se ne rende conto presto. Sente di non avere la voce giusta. Non ancora. Il primo manoscritto non la soddisfa: verrà distrutto. Lo meritava, dirà poi. Fa un altro tentativo nel 1934, un cambio di prospettiva abbandonato nel 1939. Poi, come spesso accade, la vita porta la scrittrice altrove. Ma la malia di Tivoli torna a farsi destino nel 1941: diciassette anni dopo il primo incontro e a migliaia di chilometri di distanza. A New York, in un negozio di colori acquista quattro stampe di Piranesi: una raffigura il Canopo di Tivoli. Riparte da qui il dialogo con un uomo vissuto secoli prima.
Ancora sette anni e dalla Svizzera arriva una valigia depositata in tempo di guerra e ritrovata: dentro ci sono lettere, carte e appunti del viaggio in Italia. Il primo foglio recita: Mio caro Marco … “Mi ci volle qualche momento perché mi tornasse alla mente che Marco stava per Marco Aurelio e che avevo sotto gli occhi un frammento del manoscritto perduto”. Sarà l’incipit delle Memorie e della lettera che Adriano, ormai sessantaduenne, scrive a Marco Aurelio. Nella finzione letteraria ricordi, emozioni, sensazioni si confondono. Gli anni trascorsi e la maturità avvicinano l’autrice all’obiettivo, colmano una distanza di secoli. E così con “Un piede nell’erudizione, l’altro nella magia”, Marguerite riesce nell’intento di raccontare i pensieri intimi e privatissimi del princeps, del letterato, del viaggiatore, del poeta, dell’amante, attraverso una ricostruzione che ha la precisione del filologo. Di capitolo in capitolo la magia si compie: la storia si fa vita, reale ed attualissima. Il protagonista, pur calato nella sua epoca, è vicino al tormento di ogni uomo, ne condivide l’accanita ricerca della felicità. Per questo è caro a chi legge: perché ci ricorda, come scrive la Yourcenar, che “non siamo i soli a guardare in faccia un avvenire inesorabile”.
La villa è ancora lì. Il tempo non sembra avere potere sulla sua magia. Non è un caso che per molti sia fonte di ispirazione e patria d’elezione. Dirà Marguerite nei suoi appunti: “Ho abitato a Tivoli, ci morirò forse, come Adriano nell’isola di Achille”. Il nuovo parco letterario prosegue il suo racconto.
di Antonella Gonella
Immagine in copertina: La residenza imperiale di Villa Adriana (Archeoares per VILLAE)