“Unseen. Le foto mai viste di Vivian Maier” è il titolo della mostra – in arrivo direttamente dal The Fotografiska show di New York – dedicata a una delle pioniere e massime esponenti della street photography, visitabile sino al 26 gennaio 2025 alla Villa Reale di Monza.
Considerata la più grande mostra dedicata a Vivian Maier, è curata da Anne Morin che così si esprime sulla grande artista: “Maier fotografava persone che gli altri non vedono, relegati ai margini della vita”. Una considerazione che pone immediatamente al centro il modus operandi della fotografa che con le sue opere ci fornisce importanti testimonianze del “lato oscuro del sogno americano” in una nazione in cammino per un profondo cambiamento.
Nove sezioni tematiche con più di duecento fotografie in bianco e nero e a colori – molto rare e fino a pochi anni fa mai viste in pubblico – alle quali si aggiungono filmati in formato Super 8, provini a contato, audio con la sua voce e vari oggetti che le sono appartenuti, come le macchine fotografiche Rolleiflex, acquistata con i primi guadagni nel 1952, e una Leica.
La “scoperta” di Vivian Maier – che nasce a New York il 1° febbraio 1926 da padre austriaco e madre francese e muore a Chicago nel 2009 praticamente sconosciuta – ha conquistato sempre tutti per le modalità quasi irreali del ritrovamento di oltre centocinquantamila suoi negativi, conservati chiusi dentro centinaia di scatole quasi sino alla sua morte. Furono scoperti nel 2007 da John Maloof – scrittore di Chicago alla ricerca di materiale iconografico legato alla città – che li trovò casualmente in un box pieno di cianfrusaglie, acquistato all’asta e un tempo appartenuto a Vivian. Maloof si è dedicato alla promozione della sua eredità dando poi vita a un archivio di oltre centoventimila scatti; nel 2014 ha co-diretto un documentario candidato all’Oscar “Finding Vivian Maier” che ha finalmente dato alla fotografa fama mondiale e un successo planetario.
La Maier ha sempre cercato, con un’accurata e approfondita ricerca, di immortalare il mondo e tutte le sfaccettature del quotidiano che le stavano intorno. Con vivace curiosità, anche se timidissima, e sempre con la sua macchina fotografica da cui non si separava mai, documentava tutto ciò che la colpiva. Una carrellata di visi di bambini, adulti, persone ai margini della società e i “ricchi” che camminavano sicuri e spediti per le strade delle città dove si trovava. Fotografava con originalità tutto ciò che vedeva di interessante, un’amante antesignana della street photography. Ma anche moltissimi autoritratti, lei che si specchia nelle vetrine di New York, dove lavora come bambinaia; scopriamo una Maier quasi mai sorridente ma enigmatica, rinchiusa nel suo lungo vestito, un cappotto di lana, scarpe da uomo e a volte il suo viso semicelato da un cappello floscio.
E proprio con la serie di autoritratti che si apre il percorso della mostra, forse i lavori più iconici di Maier da considerarsi quasi precursori della cultura contemporanea del selfie. La mostra si snoda attraversando i vari periodi della vita di Vivian: a New York, tra il 1951 e il ’56, e poi a Chicago dove, camminando e perdendosi tra le streets della città o passeggiando nei quartieri popolari, immortala gli abitanti, i loro gesti, le azioni, il modo di vivere, i tempi del loro cammino. Un’analisi sulle donne – artefici di continui mutamenti, dalle donne umili alle benestanti – e sui ragazzini che sempre la stupiscono e li fotografa sorprendendoli con occhi indagatori, quello suo e quello della macchina fotografica, seguendo e sondando la vitalità del mondo che la circonda. Fotografare per non perdere nulla.
Accompagnata dai bambini di cui si occupa – spesso documentando la loro vita perché aveva sempre continuato a fare la baby sitter per sopravvivere – il suo sguardo si posa frequentemente sugli esclusi dal grande Sogno Americano. La mostra prosegue con gli anni sessanta che la vedono sempre più interessarsi al linguaggio cinematografico e così la scopriamo alternare la sua Rolleiflex con la macchina da presa Super 8. Infine l’utilizzo di una Leica 35 mm – il cui formato rettangolare differisce notevolmente da quello quadrato della Rolleiflex – che porta il colore e il dinamismo nelle sue immagini, esposte pochissime volte in pubblico e tra le più rare della sua produzione. L’ultima sezione presenta fotografie con primi piani di oggetti, un minimalismo intenso che sfuma i contorni e anche il contatto con la realtà. Immagini poetiche che offrono una nuova visione dell’arte di Vivian Maier.
Per completare la conoscenza della fotografa Vertigo Syndrome – che ha realizzato la mostra in collaborazione con diChromaphotography – propone ai visitatori di accedere a una sala speciale da loro ideata dove poter provare la coinvolgente esperienza di “essere Vivian Maier” e avere l’opportunità di mettersi alla prova, cercando di eguagliare la rapidità e l’intuito della grande fotografa: indossando un visore di realtà virtuale, si ha l’opportunità di maneggiare la prodigiosa Rolleiflex 3,5F di Vivian Maier.
La mostra è arricchita da una serie di eventi collaterali che comprendono workshop artistici, conferenze sulla storia della fotografia, laboratori per i bambini e altre varie iniziative strettamente collegate al mondo della fotografia e dell’immagine in generale.
di Laura Malaterra
Immagine in copertina: Vivian Maier, New York, NY, 1954, Gelatin silver print, 2012 ©Estate of Vivian Maier, Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY