I resti della polis greca
A Monasterace Marina, nel Parco archeologico dell’antica Kaulonía, una sottile striscia di sabbia accompagna oggi il profilo della terraferma. È una duna antica, formata dal vento, che nasconde e separa: nasconde i resti di una porzione della polis greca, quella più occidentale; separa il territorio che appartiene al mare, in verità molto oscillante, dalle rimanenti porzioni di quello che un tempo era il Promontorio Cocinto, oggi Punta Stilo.
In un paesaggio straordinario, dominato dalla significativa presenza del Faro e sagomato dalle mareggiate che pochi anni addietro hanno aggredito i resti della città antica, portando via pozzi, porzioni di mura, resti dell’area sacra, si conservano, al centro di una distesa pianeggiante che cela la porzione dell’abitato greco più prossima al mare, i resti di un importante edificio.
Si tratta di un articolato complesso termale di età ellenistica; l’unico finora individuato e scavato in Calabria, con ricerche che hanno avuto inizio il 1998 e si sono concluse nel 2014. Da allora tutto tace e si attende che il complesso archeologico, e l’intero Parco, siano valorizzati al meglio.
La scoperta
A Kaulonía le indagini archeologiche hanno avuto inizio alla fine dell’Ottocento, grazie all’attività dell’archeologo roveretano Paolo Orsi. I lavori di costruzione del Faro di Punta Stilo portarono lo studioso ad occuparsi di Monasterace ed a programmare nuove ricerche che, sebbene in maniera discontinua, furono svolte fra il 1911 e il 1916. Gli scavi sulla collina del Faro, con il rinvenimento di terrecotte architettoniche e strutture, permisero di identificare la presenza di un piccolo santuario dedicato ad un teòs sotèr dei naviganti, probabilmente Poseidon o forse il figlio Taras o ancora Apollon Delphinios; culto documentato dal rinvenimento di un frammento di antefissa che si data al VI sec. a.C. raffigurante un “delfiniere”. Queste prime ricerche, e quelle successive, permisero di definire il tracciato della cinta muraria, lunga due chilometri e munita di undici torri e almeno tre porte, e di scoprire abitazioni, necropoli e, in prossimità del mare, il monumentale basamento di un tempio dorico di V sec. a.C. Tali risultati portarono ad ubicare l’antica Kaulonía, in maniera certa, proprio in quest’area.
Le più recenti ricerche archeologiche hanno permesso di collocare la fondazione della città tra la fine del secolo VIII a.C. e gli inizi del VII a.C. Secondo alcuni autori antichi la polis sarebbe stata fondata dagli Achei e per Pausania l’ecista sarebbe stato Tifone di Aigion, città dell’Acaia. Per altri, invece, la città, che subì per lungo tempo l’influenza di Crotone, deve essere considerata una sub-colonia di questa potente città della Magna Grecia, fondata dagli Achei giunti da Ripe. Non mancano, in ogni caso, i riferimenti ad una tradizione mitica, che vede presente sulla scena l’eroe Caulone (Kaulon), figlio dell’Amazzone Clete, nutrice della regina Pentesilea.
La Casa del Drago
Alla fine degli anni Sessanta del Novecento, tra la collina del Faro e la ferrovia, fu rinvenuta un’articolata abitazione, denominata “Casa del Drago” per la presenza di un mosaico raffigurante un ketos, un drago marino; tale mosaico, successivamente levato dal sito originario per esigenze di tutela, è oggi esposto al Museo archeologico di Monasterace. La “Casa del Drago”, parte di un lotto abitativo più ampio, è costituita da un cortile pavimentato in cocciopesto circondato su tre lati da un colonnato in terracotta appena riconoscibile; caratteristica architettonica, questa, che permette di riferire l’edificio alle cosiddette “case a peristilio”, per nulla attestate a Kaulonía.
In planimetria si riconosce la pastàs, lo stretto e lungo corridoio che consentiva l’accesso alla casa ed in particolare a tre stanze, due delle quali sono state interpretate come andrones, sale da pranzo impreziosite con intonaci colorati, pavimenti a mosaico e una lunga panca.
Nella sala posta più a meridione, più ampia dell’altra, si trova al centro del pavimento un riquadro definito da una fascia mosaicata con tessere nere, bianche e in terracotta, che propone centralmente il motivo delle piccole onde marine che si rincorrono.
Il rettangolo della soglia è invece impreziosito, come già accennato, dalla rappresentazione di un drago marino dal muso allungato, con denti aguzzi ben in vista, lungo corpo avvolto in una spira, larga coda e zampe palmate.
La raffigurazione, molto curata nei dettagli, prevede anche l’utilizzo di tessere molto piccole e ben tagliate, particolarmente utili a definire l’occhio, i denti, la cresta del dorso. I colori delle tessere, inoltre, impiegate con tante sfumature di tonalità, danno valore alla volumetria del corpo spingendo verso una resa tridimensionale. L’analisi del contesto, la complessità dell’opera e la maturità tecnica raggiunta nella realizzazione, che rimanda a coeve esperienze siciliane, hanno portato a datare il mosaico alla seconda metà del III sec. a.C.
Le terme ellenistiche e la “Sala dei draghi, dei delfini e dell’ippocampo”
All’interno dell’abitato kauloniate, che in età ellenistica presenta un impianto urbanistico ispirato a quello tracciato da Ippodamo di Mileto, e dunque con case e spazi pubblici disposti entro un reticolo di cardi e decumani, fra le “Insulae” del quartiere orientale troviamo l’area della cosiddetta “Casa Matta”. Si tratta di un edificio particolarmente esteso, di carattere pubblico, realizzato sul finire del IV secolo a.C. Individuato con le ricerche avviate sul finire degli anni Novanta, il complesso è stato denominato “Terme di Nannon” per via di una iscrizione presente sull’orlo di un bacino lustrale in terracotta, rinvenuto nell’area dell’ipocausto, che recita: “Nannon fece (tutto questo) per Kottìos”.
Nel corso del III secolo a.C. la funzione dominante dell’edificio è quella termale (balineon), come ben indicato dalle caratteristiche di molti ambienti, anche se appare ben evidente una destinazione in tre precisi lotti funzionali.
Sul lato nord dell’edificio, un primo ingresso di servizio (G) permetteva di svolgere le operazioni necessarie al funzionamento dell’ipocausto (T), una lunga fornace ellittica in laterizi adatta al riscaldamento dell’acqua entro appositi contenitori metallici.
Sempre dal lato nord si poteva accedere, ma con separato ingresso, ad una parte dell’edificio termale probabilmente riservato alle donne. Ad un primo ambiente quadrato di piccole dimensioni e munito di panca (C), da intendere come spogliatoio o sala d’attesa (apodyterion), faceva seguito una sala circolare (tholos) dove erano stabilmente collocate alcune vasche da bagno in terracotta, almeno sei, destinate al bagno individuale (V); ciò secondo un modello ben attestato in età ellenistica fra Sicilia e Magna Grecia. La immediata vicinanza all’area della fornace (T) consentiva di disporre sempre dell’acqua calda o tiepida.
La terza parte dell’edificio, la più estesa, si mostra come quella principale e presenta tre ingressi tutti localizzati sul lato sud, in affaccio alla grande strada che attraversava la città da est a ovest: dalla Porta Marina a quella di Aulon.
I due ingressi laterali consentivano di accedere forse ad una taberna (M), più a ovest, ed a una probabile area sacra, più a est, composta da tre ambienti disposti in sequenza, gli ultimi dei quali separati da una colonna centrale (R/S).
Il terzo ingresso all’edificio, quello centrale, permetteva di raggiungere per mezzo di un lungo e stretto corridoio (O) una grande sala (A), probabilmente d’attesa, munita di panche laterali e base circolare centrale da collegare alla presenza di un bacino in terracotta (louterion). Un identico basamento, ma destinato ad ospitare un grosso contenitore sferico in terracotta (pithos), rinvenuto adagiato su di un fianco nel corso dello scavo, è stato identificato nell’adiacente ambiente (U); ambiente che permetteva di accedere al cuore di tutto l’edificio termale (H), che in antico risultava completamente ricoperto da una monumentale volta a botte costolata, realizzata con elementi litici ed in laterizio e tutta dipinta di rosso.
Da qui, infatti, attraverso una porta che conserva tracce di modanature a rilievo, si poteva entrare in un ampio ambiente quadrangolare fornito, lungo tutta la parete ovest, di una stretta piscina rettangolare destinata al bagno multiplo, collettivo. Tale piscina è probabile che fosse destinata ad un uso esclusivamente maschile.
Nella rimanente parte dell’ambiente, sono presenti alcune panche in muratura ed al centro, come pavimento, un articolato mosaico policromo racchiuso entro una cornice in cementizio a base fittile con inserti di tessere laterizie.
Figure di animali marini
Lo spazio musivo è organizzato in un tappeto centrale che riproduce un soffitto a cassettoni, con sei lacunari resi in prospettiva, perimetrato da una cornice a pannelli (tre per lato) ad imitazione di lastre marmoree. Su due lati, inoltre, a sud ed a ovest, troviamo una sequenza di pannelli a figure di animali marini (draghi, delfini e ippocampo) affrontati per coppie, di cui quattro posti sul lato lungo occidentale e due su quello corto meridionale. Isolato, in prossimità dell’accesso alla sala, è un piccolo mosaico circolare in forma di rosetta a 12 petali.
Il mosaico, che può essere datato alla prima metà del III sec. a.C., è realizzato con tessere e orditura irregolari, e prevede l’uso di sottili lamine in piombo per la profilatura delle figure dei delfini, per rafforzare particolari come gli occhi, e per accentuare le linee di fuga prospettiche dei lacunari. La gamma dei colori utilizzati risulta abbastanza variegata nelle parti figurate mentre è più rigorosa nei sei lacunari.
Per lo sviluppo dei suoi decori, l’articolata composizione, la sua estensione e la sua cronologia, il mosaico delle terme di Kaulonía può essere certamente annoverato tra i più importanti fra quelli rinvenuti fra Magna Grecia e Sicilia. Con le sue figure mostruose, che assumono un forte valore simbolico, esprime un gusto tutto ellenistico di rappresentare una realtà, che è quella del mare e delle sue ricchezze e potenzialità, ed una visione, quella di un mondo non solo terreno o tangibile, capace di dare risposte all’esistenza e di lasciare intravedere ciò che probabilmente sarà.
Infatti, appare evidente, nelle scelte iconografiche, l’esigenza di rendere l’ambiente, già caratteristico per la presenza dell’acqua, maggiormente proiettato verso una dimensione più alta. Il drago, spesso custode dei luoghi sotterranei e delle sorgenti, ha valenza apotropaica ed allontana il male; il delfino, elemento marino per eccellenza, è legato ad Apollo e a Dioniso e rappresenta l’ideale compagno di viaggio dell’uomo non solo nelle traversate reali ma anche in quelle simboliche; l’ippocampo, che ha il potere di scardinare la gabbia che imprigiona il corpo umano, consente all’anima di volare via libera, in cerca dell’altrove.
Così, l’intera “Sala dei draghi, dei delfini e dell’ippocampo” diventa luogo metaforico per raggiungere non solo la purezza del corpo ma anche quella dell’anima. Non garantisce certezze, ma dice che è possibile cercare.
Francesco Cuteri – archeologo