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Testamento d’artista. Monet a Giverny e le grandi Ninfee

Casa di Monet a Giverny

Monet a Giverny

Nel 1883 Monet, ormai più che quarantenne, si trova in treno su una vecchia linea ferroviaria che collegava Parigi alla Normandia. Guardando fuori dal finestrino scopre Giverny, rimanendo incantato dalla sua natura e da quella casa che sarebbe diventata il suo nido creativo. Il piccolo villaggio, collocato a circa 80 chilometri da Parigi, constava di 300 abitanti, quasi tutti contadini. Questa folgorazione porterà Monet a fare una scelta radicale: diventare proprietario di una casa e di diversi appezzamenti di terreno, che saranno luogo della sua riflessione matura in un progetto ardito che porterà avanti lungo gli ultimi quarant’anni della sua vita. Monet si trasferisce a Giverny con i due figli Jean e Michel e con la compagna, Alice Hoschedé. Dal 1883, anno del suo spostamento in Normandia, Monet non ha mai smesso di dedicarsi alla creazione di quel regno in cui rendere la natura protagonista tangibile del suo agire. Qui morirà nel dicembre del 1926. Ancora oggi le sue spoglie si trovano nel piccolo cimitero del borgo, non distante da quella casa che era diventata cenacolo per gli artisti e gli ammiratori di questo importante inventore di modernità.

Monet a Giverny
Giverny, la casa di Monet

Giverny, spazio d’artista

La casa, in classico stile normanno, viene ristrutturata dall’artista e oggi ci accoglie con le sue pareti rosa e i suoi infissi verdi, a richiamare le varietà cromatiche che compongono il giardino di fiori adiacente la dimora. Il progetto portato avanti da Monet negli anni fu ardito. Voleva trasformare un frutteto normanno in un giardino delle meraviglie, in un grande spazio d’artista con fiori e piante provenienti anche da luoghi esotici. Lavorerà a questo progetto come fosse un quadro, lentamente e negli anni, studiandone le luci, le ombre, le prospettive e le disposizioni cromatiche. I diversi fiori piantati davano a Monet la possibilità di godere dello spettacolo della natura e del suo mutarsi lungo tutto l’anno. Sin da giovane era stato attratto dall’acqua, dal riverbero della luce e dall’osservazione della natura. Questa sua passione era stata rafforzata dalla scoperta della cultura nipponica. Le esposizioni universali tenutesi a Parigi nel corso degli anni e l’apertura di negozi di oggetti di impronta orientale, avevano portato alla diffusione di questa cultura. Monet è stato un grande collezionista di stampe giapponesi Ukiyo-e, ancora oggi presenti presso la sua casa di Giverny. Questa sua fascinazione lo porterà, nel 1893, ad implementare la sua proprietà normanna. Attraverso l’acquisizione di un terreno dà vita al giardino acquatico, che presenta un laghetto artificiale e un ponte in legno verde, che richiama quelli nipponici. Per realizzare questo progetto, Monet aveva chiesto la deviazione di un braccio del vicino fiume Epte, così da avere l’acqua necessaria per dar vita ad un suo sogno non più segreto. Già durante il periodo parigino aveva avuto l’abitudine di dipingere direttamente dall’acqua, usando una piccola imbarcazione che aveva trasformato in atelier mobile. Questa pratica sarebbe divenuta quotidiana grazie alla realizzazione del giardino acquatico.

ninfee Giverny Monet
Le ninfee del giardino di Giverny

Le Ninfee di Monet

In questo luogo prendono vita le serie dedicate alle Ninfee, oggi grande testamento della sua lirica, in un numero di 250 composizioni. Le Ninfee aprono una nuova stagione della vita creativa dell’artista, che si interroga sullo scorrere del tempo, sul mutare delle percezioni e sul continuo tentativo di afferrare l’istante. “Il soggetto è secondario, quel che voglio riprodurre è ciò che si trova tra il soggetto e me stesso” scrive Monet. In questa nuova dimensione di ricerca inizia a dar vita alle grandi tele, oggi presenti all’Orangerie, che formano la “cappella Sistina dell’Impressionismo”. Il ciclo pittorico si sviluppa per 100 metri lineari e consta di otto pannelli a olio di due metri d’altezza. È il grande testamento che ci lascia in eredità.  Il progetto nasce nel 1914 e l’artista vi lavora in maniera alacre per tutta la durata della Prima Guerra Mondiale. Su questi grandi supporti Monet abbandona completamente la costrizione della forma e ogni imitazione della natura, imprimendo una forza che trascende l’Impressionismo, per approdare verso soluzioni quasi astratte. Di fronte a noi lo spazio appare infinito, senza un inizio o una fine. Le ninfee ricoprono lo spazio pittorico e si mescolano al cielo, i cui riflessi si moltiplicano nell’acqua. Le pennellate diventano lunghe, filamentose e sinuose e i colori vengono depurati dalla volontà di imitazione della natura, per diventare espressione del suo modo di sentire e di percepire il soggetto che trova davanti a sé. La natura diventa portavoce del mutare dell’uomo, del cambiamento delle stagioni della sua vita.

Orangerie Monet Ninfee
Monet, le Ninfee – Museo dell’Orangerie, Parigi

L’Orangerie ospita Monet

La realizzazione di queste grandi tele era diventata per Monet una sfida per superare momenti di grande complessità psicologica, dopo la morte della compagna Alice e del figlio Jean. Anche per questo fu un progetto di estrema difficoltà, grazie al quale cercherà di porre delle riflessioni sulla dimensione umana. Nasce così l’idea di destinare questo testamento alla città di Parigi, donando le sue opere all’indomani dell’armistizio dell’11 novembre 1918, come simbolo di pace. In realtà l’artista era così tanto legato a queste otto composizioni, che abbandoneranno Giverny soltanto dopo la sua morte, venendo esposte nel 1927. Era come se Monet vi avesse scritto la sua vita matura, come se non riuscisse a distaccarsi dall’essenza inserita in queste opere, ritenendole costantemente incomplete. Monet aveva dato indicazioni su dove dovessero essere collocate e desiderava che fossero accolte in ambienti progettati appositamente per loro. La scelta ricadde sull’Orangerie. L’architettura, sita all’interno del giardino delle Tuileries, dal 1921 era diventata sede del Museo du Luxembourg, spazio museale deputato all’arte moderna. Camille Émile Lefèvre progetterà gli ambienti atti ad ospitare il dono lasciato da Monet. L’architetto concepisce due ambienti ovali che, con la loro luminosità e morbidezza strutturale, avrebbero rafforzato l’espressività delle grandi tele. L’andamento circolare delle sale e il cambiamento della natura, registrato da Monet nelle diverse fasi del giorno e delle stagioni, inglobano lo spettatore. Si accede visivamente e interiormente in un paesaggio d’acqua, nel quale trovare ninfee, salici piangenti, riflessi di nuvole e di alberi, riuscendo a vivere, secondo le parole dello stesso Monet “l’illusione di un tutto senza fine, di un’onda senza orizzonte e senza rive”. Amante dei viaggi e della scoperta, troverà nella natura della Normandia e nel suo grande giardino di Giverny l’essenza della sua rivoluzione artistica. Le ninfee rimangono oggi il tentativo di afferrare l’istante, in una vita che scorre, come il ciclo delle stagioni ci ricorda.

Monet Orangerie Ninfee

Il giardino di Monet

Alla morte del pittore, avvenuta il 5 dicembre dl 1926, la casa e i giardini diventano proprietà del figlio Michel, che nel 1966 offre all’Istituto di Francia la tenuta di Giverny. L’opera di riqualifica richiederà 14 anni di lavoro. Dal 1980 il pubblico può passeggiare tra le aiuole e le architetture tanto care a Monet. È come entrare nelle sue opere e vivere ciò che lui ha vissuto. Oggi i giardini di Giverny vedono sfilare centinaia di migliaia di persone ogni anno. Alcuni si recano un’unica volta, quasi come in pellegrinaggio, a rendere omaggio a quell’artista divenuto leggenda in quel luogo tanto sognato; altri vi ritornano a più riprese per ammirare il cambiamento della luce, dei colori e delle nuvole in base alle stagioni.

Il giardino di Monet a Giverny
Il giardino della casa di Giverny

Maria De Giorgio – storica dell’arte

Autore

  • Storica dell’arte, amante di questa materia sin dalle scuole superiori decide di approfondire tale disciplina laureandosi in Lettere Moderne con indirizzo Artistico presso l’Università Cattolica di Milano con una tesi in Storia della Critica d’Arte su Alfonso Frangipane, storico dell'arte calabrese. Come storica dell’arte racconta il Bello attraverso visite guidate alle mostre, ai musei e ai luoghi più importanti, ma anche organizzando corsi di storia dell’arte e conferenze per tutti coloro che...

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