Era il 1937. Picasso aveva 55 anni, viveva a Parigi dopo aver lasciato la Spagna allo scoppio della guerra civile spagnola nel 1936 ed era una personalità di assoluto rilievo nel mondo dell’arte. Nel gennaio del 1937 era stato incaricato di realizzare un’opera che potesse rappresentare la Spagna alla Esposizione Universale di Parigi nel giugno dello stesso anno. Visse mesi di profonda frustrazione creativa. L’artista non era abituato ad accettare committenze e non trovava l’idea sul come sviluppare il progetto affidatogli.
Il 26 aprile del 1937, nel pomeriggio, le forze aree tedesche sganciarono bombe sull’antica capitale basca Guernica. Era un lunedì di mercato, le strade erano piene quando la gente si trovò travolta dalle fiamme. Dopo oltre tre ore di bombardamento, della città non rimaneva che il ricordo. Si contarono oltre 1600 morti e 900 feriti. Picasso apprese dell’inferno di Guernica mentre sedeva ai tavoli del Cafè Flore. Insieme a Dora Maar, all’epoca sua compagna, lesse i giornali osservando le fotografie che ne testimoniavano la distruzione. La crudeltà imposta a Guernica colmò il vuoto creativo che l’artista stava vivendo e lo scempio dell’attacco si fuse alla nostalgia che aveva della Spagna. Fu proprio da questo scempio che prese vita Guernica. Picasso, nel mese di maggio si mise a lavoro realizzando schizzi e disegni, che iniziarono a formare l’iconografia che oggi si staglia su una delle tele più importanti del Novecento.
Portò la grandissima tela di juta e la sua struttura – sette metri di lunghezza per tre di altezza – all’interno del suo studio parigino sito negli ultimi due piani di un palazzo del Seicento pregno di storia. L’artista utilizzò una scaletta e attaccò i pennelli a dei bastoni per riuscire a gestire le grandi dimensioni della tela. Iniziò a dipingerla l’11 maggio concludendola in sole cinque settimane e lasciando al mondo uno dei simboli più significativi della protesta universale contro la guerra. Le figure rimaste dopo i tanti bozzetti e che oggi possiamo ritrovare all’interno della composizione sono 9: quattro donne, un bambino, un guerriero, un uccello, un cavallo e un toro. La grande composizione si legge da destra verso sinistra ed il senso di moto iniziale viene imposto da una donna, che nella parte estrema destra compare in movimento, di corsa, con le braccia protese verso il cielo, alla ricerca di un riparo. È lei che dona avvio al dinamismo e alla fuga verso la salvezza di tutti gli altri personaggi presenti nella composizione. All’estrema sinistra, quasi come un contrappunto, troviamo un’altra figura femminile: la disperazione viene rappresentata dal viso rivolto verso il cielo. La sua bocca è aperta, spalancata. Urla con tutta la forza rimasta, piange la morte di suo figlio, che mollemente, viene sorretto dalle sue braccia. È una madre che perde il figlio che fino a poco tempo prima stava allattando. Il suo seno è infatti scoperto e volto a sottolineare la sua dimensione materna e di accudimento. Nella parte centrale della scena troviamo un cavallo, con il collo allungato, anch’esso straziato dal dolore, dal quale dorso è caduto un cavaliere che esanime giace a terra. Le sue braccia sono aperte, nella sua mano destra i segni della lotta – una spada rotta- ma anche un simbolo di fiducia, un fiore, quasi come se Picasso volesse intravedere in tanto dolore la speranza per un popolo che appare perduto. Il cavallo non è l’unico animale della composizione; non distante da questo troviamo un toro, simbolo della Spagna ma anche rappresentazione metaforica della natura bruta dell’uomo. Da sempre per Picasso la figura mitica del minotauro rappresenta la parte meno razionale dell’essere umano.
Due fonti luminose primeggiano nella parte superiore e centrale della tela. Una candela sorretta da un braccio volante viene accostata ad una lampadina, che sembra essere accesa ed emana una luce intensa. La candela e la lampadina elettrica raccontano epoche storiche diverse e la consapevolezza che la lotta per una supremazia vi è sempre stata, tanto nel passato quanto nel presente dell’artista.
Picasso crea soggetti appiattiti, senza struttura tridimensionale. È come se tutto si svolgesse su un unico piano. Non vi è distanza prospettica tra le strutture architettoniche e i soggetti che animano la composizione. Tutto si fonde in una scelta cromatica che rasenta la monocromia. Un bianco sporcato da tonalità grigiastre e il nero uniti a figure piatte, danno vita ad una composizione che richiama alla mente la stampa dei giornali. Questa scelta cromatica non è tanto rappresentazione della lotta tra il bene bene e il male, ma assorbimento della tragedia che Picasso vive attraverso gli scatti fotografici scovati sui giornali. L’opera risente della diffusione mediatica e Picasso diviene fedelmente figlio del suo tempo.
Guernica è un’opera universale. L’artista sottrae qualsiasi riferimento all’architettura della città o alla natura di quella zona della Spagna. Rappresenta in maniera corale la distruzione che ogni battaglia porta con sé, a prescindere dal luogo o dall’epoca. E’un’opera nella quale il pubblico è chiamato ad immergersi, a sentire l’umiliazione, lo scempio, l’amaro della guerra. E’come se vedessimo Picasso di fronte a quest’ultima, non tanto intento a dipingere, ma a combattere, facendo divenire il suo presente, creazione artistica. Il processo creativo è stato registrato in un’interessantissima documentazione fotografica da Dora Maar. Picasso non amava essere fotografato mentre lavorava, ma quegli scatti, insieme ai bozzetti, costituiscono oggi una fonte di studio e di apprendimento di un capolavoro senza epoca.
Nel giugno del 1937 la tela era pronta per essere presentata all’Esposizione Universale parigina, mostrando la Spagna in quella che era la sua storia più recente. Era talmente tanto contemporanea che spiazzò i presenti. Al termine dell’esposizione, l’opera, non ben voluta, iniziò la sua vita nomade fino a giungere a New York, dove negli anni della guerra e fino al 1981 fu custodita al MOMA, divenendo una composizione osservata da quelle nuove generazioni di artisti europei o nativi americani pronti a dar vita ad una loro storia culturale. Lasciò definitivamente l’America per rientrare in Spagna nel 1981 e dal 1992 è esposta al Museo Reina Sofia di Madrid.
Gli italiani hanno avuto modo di ammirare questo capolavoro dal vivo nel 1953, quando Milano, tra le macerie del post dopoguerra, decise di ripartire dalla cultura, presentando a Palazzo Reale una importante retrospettiva sull’artista, ancora in vita.
Nella sacrificata Sala delle Cariatidi, antico teatro del Palazzo, in parte abbattuta dai bombardamenti che percorsero Milano nel 1943, venne esposta la Guernica. L’ambiente che la accoglieva era logorato, un ambiente antico spazzato dalle bombe. Era stata proprio la promessa di collocare la sua opera sullo sfondo delle cariatidi sgretolate che convinse Picasso a cederla. Da quel giugno del 1937 Picasso avrebbe ancora avuto molto da dire e da realizzare. Si sarebbe spento 36 anni dopo, lasciando tante altre testimonianze e liriche, ma Guernica ancora oggi rappresenta una storia universale. Racconta di un genio in crisi che,nella tragedia della sua nazione, ritrova l’ispirazione, in un mese di lavoro intenso e senza sosta, che avrebbe portato alla luce l’opera pittorica più famosa del Novecento.
Maria De Giorgio – storica dell’arte