Il 20 settembre 1880 ricorrevano dieci anni dalla Breccia di Porta Pia, attraverso la quale le truppe del Regno d’Italia avevano espugnato Roma, ponendo fine al potere temporale dei Papi e arricchendo il percorso risorgimentale con la conquista di quella che doveva essere la Capitale dell’Italia unita. Tuttavia all’epoca erano ancora sottoposte alla dominazione dell’Impero austro-ungarico terre in cui vi era una maggioranza di popolazione di lingua, sentimenti e cultura italiana: il Trentino, la Venezia Giulia (comprendente Trieste, Gorizia e l’Istria), Fiume e le città della costa dalmata. Patrioti e intellettuali italiani impegnati chiamavano quelle terre “irredente”, vale a dire non ancora redente, cioè liberate, dall’occupazione straniera. Irredentismo fu quindi il movimento che si diffuse in quelle province austro-ungariche e nella Sinistra italiana (mazziniani, repubblicani, ex garibaldini) auspicando l’annessione di queste terre irredente al Regno d’Italia, nato nel 1861 e capace con la Terza guerra d’indipendenza di annettere solamente il Veneto ed il Friuli. E in quel 1880 caratterizzato da un decennale così importante e in queste terre in cui la lotta per l’italianità si faceva via via più intensa, nacque Nazario Sauro.
Gli anni giovanili. Capodistria, la sua città natale, era abitata a stragrande maggioranza da italiani; le sue calli, le chiese decorate con il Leone di San Marco, simbolo della Repubblica di Venezia, che fu qui presente per secoli, lo stile architettonico dei palazzi e la cadenza dialettale: tutto dimostrava la natura intimamente italiana di questo porticciolo poco distante da Trieste, il più importante porto dell’Impero degli Asburgo.
Lo storico legame con Venezia si era evoluto nel corso dell’Ottocento nella volontà di entrare a far parte di un’Italia libera ed indipendente, che molti idealizzavano anche in quanto nazione giovane e portatrice di civiltà e di libertà agli altri popoli ancora oppressi in Europa all’interno dei grandi imperi: con questi ideali si formarono tanti giovani capodistriani, tra cui Nazario Sauro.
Poco interessato a dedicarsi agli studi, Nazario dimostrò ben presto la vocazione per la professione marittima del padre, cominciando a lavorare con lui sulle imbarcazioni che operavano lungo la costa orientale dell’Adriatico. Sarebbe poi diventato dipendente di una compagnia di navigazione e si sarebbe infine messo in proprio, ma ogni suo itinerario costituiva un’occasione per memorizzare correnti e secche, studiare insenature e approdi, con l’auspicio di mettere un giorno a frutto queste cognizioni a sostegno di un’azione della Marina da guerra italiana. Il suo amor di Patria coniugato a un desiderio di giustizia sociale non trovava soddisfazione nel Partito Socialista, di vocazione internazionalista, bensì nelle idee di Giuseppe Mazzini, che coltivò da autodidatta, senza mai aderire ad alcuna organizzazione politica o culturale, di cui pur conosceva e apprezzava gli animatori, poiché l’unico riferimento in cui si identificava era l’Italia.
A fianco dei popoli oppressi. Amante della libertà e dell’indipendenza, non lottava solamente per la sua terra, ma si identificava, con pieno spirito garibaldino, nelle analoghe lotte che si sviluppavano in altre terre sottoposte a dominazione straniera. Nei suoi viaggi su e giù per l’Adriatico entrò così in contatto con i patrioti albanesi che si opponevano al dominio dell’Impero ottomano e guardavano all’Italia con simpatia, vedendola come interlocutrice privilegiata per lo sviluppo e la salvaguardia di un’Albania indipendente. Tra il 1908 ed il 1912 Sauro non si limitò a rifornire di armi di contrabbando i guerriglieri: partecipò ad alcune scaramucce e chiamò la sua ultima figlia proprio Albania, a testimonianza dell’amore che provava per questa terra. I figli di Sauro e di Caterina Steffè, d’altro canto, avevano tutti ricevuto nomi particolarmente evocativi: Nino (come Bixio, il luogotenente di Giuseppe Garibaldi), Libero, Anita (come la moglie del generale nizzardo), Italo e Albania appunto.
Nel frattempo l’irredentismo capodistriano si era raccolto nei ranghi del Fascio Giovanile Istriano, fondato il primo ottobre 1911 fra gli altri dai suoi amici Pio Riego Gambini e Piero Almerigogna, con i quali Sauro collaborò in varie occasioni. In particolare nel momento in cui l’Austria-Ungheria entrò in guerra con la Serbia, questi giovani patrioti organizzarono manifestazioni di solidarietà con i patrioti slavi filoserbi della zona, riallacciandosi alla tradizione risorgimentale che vedeva Italia e Serbia affratellate nella lotta per l’indipendenza. Se l’Italia fosse entrata subito in guerra contro l’Austria, questi giovani erano pronti a darsi alla macchia allo scopo di sviluppare azioni di guerriglia nelle retrovie, ma perseverando Roma nella neutralità, decisero di esfiltrare per non venire arruolati nell’imperial-regio esercito.
Manifesto-appello irredentista del Fascio Giovanile Istriano del 1911. Ritratto di Pio Riego Gambini (credits: atlantegrandeguerra.it)
Lo scoppio della Prima guerra mondiale. Venezia fu il ritrovo per tanti di questi disertori e Sauro, che pur era stato esonerato dal servizio militare causa una ferita ad un occhio, continuò sotto mentite spoglie a fare la spola con Trieste e la costa istriana: la copertura era quella dei traffici marittimi, la sua intenzione era studiare gli apprestamenti difensivi austriaci e cogliere i movimenti della Kriegsmarine, la cui più importante base navale si trovava a Pola. Nel gennaio 1915 un terremoto sconvolse la Marsica, sicché Sauro ed i suoi sodali, inquadrati da Giovanni Giuriati, raggiunsero Avezzano e prestarono soccorso alla popolazione, contribuendo alla ricostruzione dei villaggi. Dimostrarono in questo modo la loro fratellanza con gli altri italiani, facendo conoscere a umili persone dell’Abruzzo profondo che esistevano oltre il mare connazionali che parlavano la stessa lingua e volevano entrare a far parte del medesimo Stato. Ma la voglia di cimentarsi sul campo era tanta e Sauro più volte ma invano propose ai comandi della Marina italiana, cui forniva assiduamente informazioni e notizie sull’Adriatico orientale, di organizzare uno sbarco “alla Pisacane” a Trieste oppure a Capodistria al fine di scatenare una sommossa coinvolgendo elementi locali ovvero di creare il casus belli fra Roma e Vienna.
Giunsero infine le radiose giornate di maggio e l’Italia si accingeva ad entrare in guerra contro l’Austria: quasi presagendo la sorte che lo attendeva, Sauro affidò all’amico giornalista veneziano Silvio Stringari il 20 maggio 1915 due lettere, da consegnare rispettivamente alla moglie ed al primogenito in caso di morte in battaglia. Si tratta di due documenti in cui i sentimenti del padre di famiglia riconoscono la priorità della devozione all’Italia e rimane un testamento spirituale, profondo e commosso, ai congiunti più cari.
L’Italia entra in guerra. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, Sauro mise a disposizione le sue competenze innanzitutto per dragare il porticciolo di Grado (GO) in maniera tale da mantenerlo costantemente accessibile alle torpediniere che da lì partivano per effettuare le incursioni lungo la costa istriana. Partecipò quindi a oltre sessanta missioni, pilotando sommergibili, Mas e altro naviglio leggero nelle insenature del litorale giuliano, realizzando in particolare un raid nel Golfo di Trieste ed un’azione nel porticciolo di Parenzo in Istria, ove distrusse a cannonate gli hangar che ospitavano gli idrovolanti che periodicamente bombardavano Venezia.
Fatale si sarebbe rivelata la missione a bordo del sottomarino Giacinto Pullino, che nella notte tra il 30 ed il 31 luglio 1916, nel tentativo di entrare nel Carnaro per silurare dei trasporti in rada a Fiume, si incagliò nei pressi del faro dello scoglio della Galiola. Temendo di essere fatto prigioniero dagli austriaci (qualora riconosciuto, rischiava il capestro in quanto disertore), abbandonò i suoi compagni di sventura e cercò di guadagnare la costa al fine di realizzare i suoi vecchi progetti di lotta clandestina nelle retrovie nemiche. Venne ugualmente catturato e processato: alcuni suoi concittadini in servizio militare, ex colleghi e perfino il cognato lo riconobbero e a nulla servì lo sforzo sovrumano che compirono madre e sorella, interpellate dal tribunale militare riunitosi a Pola, per non rivelare l’identità del proprio congiunto.
Morte e memoria di Sauro. Il successivo 10 agosto il boia Joseph Lang, fatto giungere da Vienna ancor prima che fosse pronunciata la sentenza, impiccò Nazario Sauro. Al termine del conflitto, nell’Istria finalmente unita all’Italia, la salma di Sauro, che era stata occultata in terra sconsacrata, ricevette onorevole sepoltura a Pola e successivamente la natia Capodistria avrebbe eretto un imponente monumento in memoria dell’illustre cittadino. Il complesso monumentale capodistriano e le spoglie del martire irredentista non sarebbero uscite indenni dalla Seconda guerra mondiale. Dapprima le truppe tedesche della Zona di Operazioni Litorale Adriatico avrebbero rimosso le statue bronzee trasformandolo in una postazione della contraerea; successivamente le truppe di occupazione jugoslave, che conquistarono l’Istria al termine del conflitto e scatenarono una feroce campagna di uccisioni, deportazioni e violenze a danno della comunità nazionale italiana e degli oppositori del progetto autoritario di Tito, distrussero il monumento e fecero fondere le statue. La bara contenente i resti di Sauro, invece avrebbe seguito l’esodo della quasi totalità della popolazione di Pola: allorché le trattative di pace assegnarono il capoluogo istriano alla Jugoslavia, oltre 28.000 abitanti su quasi 32.000 esodarono. In uno dei tanti mesti viaggi effettuati dalla nave Toscana trasportando famiglie intere con poche masserizie da Pola verso l’Italia, la bara di Sauro sarebbe giunta a Venezia per venire infine collocata al Tempio Votivo del Lido di Venezia.
Lorenzo Salimbeni – ricercatore storico