Alzi pure la mano chi, entrando quest’anno in libreria, non ha visto il profilo di Dante sporgere da qualche scaffale, così iconico da sembrare irrinunciabile per la copertina di qualsiasi opera gli venga dedicata: Aldo Cazzullo, Alessandro Barbero, Alberto Casadei, Fulvio Conti, Luca Sommi sono solo alcuni dei nomi che, tra intellettuali, giornalisti, e persino fumettisti, hanno scritto su Dante e hanno dato in questo modo il proprio tributo al Divin Poeta nell’anno a lui consacrato, il settecentesimo dalla sua morte. Le grafiche dei loro libri ce lo restituiscono a volte stilizzato o riadattato ma pur sempre così come siamo abituati a vederlo da quando i ritrattisti hanno seguito, e a volte esagerato, la descrizione di Boccaccio: «Fu adunque questo nostro poeta di mediocre statura, e, poi che alla matura età fu pervenuto, andò alquanto curvetto, e era il suo andare grave e mansueto, d’onestissimi panni sempre vestito in quell’abito che era alla sua maturità convenevole. Il suo volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labbro di sotto era quel di sopra avanzato; […] e sempre nella faccia malinconico e pensoso» (Giovanni Boccaccio, Trattatello in laude di Dante, 1362, cap. XX).
Da Giotto, al quale si deve il più antico ritratto di Dante a noi pervenuto, ad Andrea del Castagno, da Signorelli a Raffaello, Dante ha conservato le caratteristiche raffigurative che hanno reso peculiare la sua figura nella prospettiva iconografica, così che anche Cristofano dell’Altissimo, nel ritrarre il suo Danthes Aldigerius, per sottolinearne i trattigli fa volutamente girare di profilo la testa, mentre il busto resta rivolto verso lo spettatore, senza la minima torsione, mostrando così il famoso naso pronunciato e irregolare e l’aspetto corrucciato e severo.
Nasce nell’Ottocento quello che oggi verrebbe facilmente definito il “fenomeno Dante”: dal 1865 si sentì forte la necessità di celebrare i centenari del poeta, forse un portato della sofferta e raggiunta unità d’Italia, che da sempre vedeva in Dante una delle sue massime espressioni letterarie e simbolo dell’intera nazione, come già ricordava il Balbo aprendo così la sua Vita di Dante Alighieri: «Dante è gran parte della storia d’Italia». E se l’anniversario ottocentesco è ricordato soprattutto per i tanti monumenti innalzati nelle maggiori piazze d’Italia (fra cui va ricordata in primis quella di Santa Croce a Firenze), i successivi, dal Novecento ad oggi, si sono concentrati su cospicue e importanti iniziative editoriali. Ad aprire in maniera innovativa i festeggiamenti di quest’anno sono stati gli Uffizi, il cui direttore Eike D. Schmidt ha voluto inaugurare letteralmente l’anno di Dante il primo gennaio 2021 con la Mostra Virtuale dal titolo A riveder le stelle, che ha per oggetto la raccolta di illustrazioni della Divina Commedia di Federico Zuccari, pittore marchigiano e importante esponente del tardo Manierismo italiano. Un progetto curato da Donatella Fratini e coordinato da Patrizia Naldini, la quale assieme a Simone Rovida e Chiara Ulivi ha pure realizzato l’editing web. Ottantotto tavole che formano il ciclo illustrativo più importante e compiuto antecedente la pubblicazione del famoso progetto di Gustave Doré, che ha avuto i suoi natali nel 1861, e successivo alla prima grande campagna illustrativa dedicata alla Commedia, quella che accompagna la famosa edizione commentata di Cristoforo Landino, del 1481.
Sandro Botticelli, 1480 ca., Pala di San Barnaba – Galleria degli Uffizi
Il Dante Historiato, questo il titolo dell’opera dello Zuccari, venne completato dall’artista durante il suo soggiorno in Spagna, fra il 1586 e il 1588, ma l’intera raccolta entrò a far parte della collezione degli Uffizi solamente nel 1738. Rimasti per lo più appannaggio di una ristretta categoria di specialisti, oggi, con il progetto della Mostra Virtuale delle Gallerie degli Uffizi, i disegni sono stati completamente digitalizzati e corredati ciascuno di audiodescrizioni, realizzate in collaborazione con la RAI Pubblica Utilità, e un apparato didattico-scientifico curato da Donatella Fratini, riproponendo in parte quello che era l’intento dell’autore, il quale aveva disposto le sue illustrazioni in modo tale che a ciascuna, oltre agli inserti del testo dantesco, potessero corrispondere le brevi note esplicative del pittore stesso.
Se l’analisi critica dell’opera d’arte non può prescindere dall’uso della parola, anche la parola spesso richiama l’uso dell’arte figurativa. Che l’immaginazione e la produzione artistica siano felici vittime dell’allegoria è cosa accertata sin dai tempi dei mosaici di Ravenna e delle miniature dei codici medievali. Più l’espressione letteraria si fa importante, metaforica e allegorica, più si avverte la necessità di spiegarla per immagini, di raccontarla visivamente. Così accadeva per i codici miniati della Bibbia e dei Salmi, e le incredibili suggestioni derivate dalla lettura dell’Apocalisse. Nella Commedia dantesca tutto è arte, perché forte è la potenza evocativa della parola, e Zuccari recepisce e traduce nei suoi disegni non solo il racconto del viaggio nei tre Regni, ma soprattutto l’infinita gamma di emozioni e tensioni morali che hanno fatto grande il poema dantesco. La narrazione dello Zuccari è sorprendentemente ordinata e leggibile, ma al contempo intessuta di quel pathos che anima tutta la composizione, cui contribuiscono le diverse scelte tecnico-stilistiche assunte per l’illustrazione di ciascuna delle tre Cantiche. Nell’inferno con l’utilizzo della matita rossa per le figure e di quella nera per il paesaggio, l’artista riesce a sconfinare il concetto della temporalità e a ridurre lo spazio, per cui, ad esempio, nel primo disegno della sua raccolta, la vicenda di Dante nella selva oscura è condensata in un’unica immagine in cui Dante compare ben cinque volte. Il sapiente utilizzo dei due colori riesce a rendere forte anche il contrasto fra luci ed ombre: la scelta di omettere il nero dal terzo disegno della raccolta, quello dedicato ai Campi Elisi, dona all’immagine una luminosità quasi eterea. Nel Purgatorio, unico regno ad essere illuminato dalla luce del sole, Zuccari sceglie di utilizzare la penna e l’inchiostro bruno, spesso acquerellandolo, distinguendo così la luce naturale che illumina questo regno, da quella artificiale e soprannaturale che appartiene agli altri due. Allo strazio dell’inferno, in cui le figure dei dannati si agitano scompostamente, fa spazio un dolore tutto umano e terreno che si legge nella ricercatezza delle espressioni delle anime purganti. Nel Paradiso il tentativo di tradurre il contenuto teologico e dottrinale e l’atmosfera contemplativa del mistero divino, si realizza con l’uso di tutte le tecniche proposte in precedenza e il supporto scientifico delle ricerche tolemaiche. Al contempo le immagini si fanno più composte e speculari, il paesaggio è quasi del tutto geometrico e l’inserzione di testi si fa sempre più fitta. Il ciclo si conclude con l’ultimo disegno, quello dell’Empireo, che riempie tutto il foglio dissimulando una cupola, circondata dai versi danteschi, e così l’intero percorso virtuale, che ha come appendice una sezione dedicata alla figura ispiratrice di Dante nell’arte, dal titolo Non per foco ma per divin’arte.
In ogni caso, l’ultima parola spetta proprio all’opera d’arte: per usare un’espressione cara ad Otto Pächt e riportata da Jonathan J. C. Alexander nell’introduzione al suo libro sulla miniatura medievale, «Non si tratta di parlare, noi, davanti all’opera, ma di ascoltare con gli occhi».
I settecento anni che ci separano da Dante sono tanti, ma anche i quattrocentotrentacinque dell’opera di Zuccari non sono pochi: ciò a dire che il tempo a volte esaurisce le assenze, altre, invece, conferma e consacra le presenze.
Si legga anche: Globusrivista.it/dante-a-ravenna/
Globusrivista.it/nuovi-studi-ipotizzano-che-sia-stato-a-noli-lesilio-di-dante/
di Ilaria Starnino – filologa
Fotografie di Roberto Palermo