“Beaufort 6, Beaufort 7, Beaufort 5… Come sono le previsioni domani?”. Sempre peggio, sembra. Ci si trova alle ore 8.30 per un aggiornamento di giornata, si monta, si smonta, si aspetta l’appuntamento delle 18 per il nuovo bollettino meteorologico che, però, non migliora mai. Cresce l’attesa, crescono le onde e anche la tensione, a tratti davvero palpabile. Colpa di nessuno, il vento è il sovrano nelle Cicladi.
Sono quattro giorni che il team patisce l’impossibilità di uscire in mare. I due giorni precedenti sono stati caratterizzati dallo sconforto totale nel vedere la suddetta scala passare da giallo ad arancione, poi a rosso, finché per un attimo è comparso perfino il viola. Fortunatamente il team è affiatato e nascono idee strambe che a volte prendono piede, come quella che abbiamo portato a compimento oggi.
Due giorni fa, nel mezzo della tempesta, alcuni di noi si sono recati qualche chilometro a sud rispetto alla nostra base alla ricerca di un relitto esplorabile partendo da terra. Abbiamo dapprima cercato il possibile punto di impatto con la secca: essendo il mare formato, è stato facile individuare la schiuma bianca delle onde che frange di continuo sul cappello del reef. Successivamente abbiamo trovato le coordinate GPS del punto in cui giace il relitto e infine abbiamo eseguito la mappatura dei punti di accesso per poter entrare, ma soprattutto uscire dall’acqua in sicurezza, date le condizioni sostenute del mare. Ieri le condizioni erano impraticabili, oggi ci aspettavamo parecchia corrente e così è stato, ma almeno abbiamo avuto l’occasione di rientrare in acqua dopo qualche giorno di fermo forzato. L’immersione è effettuabile di norma con una barca d’appoggio, ma date le attuali e particolari condizioni climatiche quest’ipotesi è stata scartata ancor prima di essere proposta.
Il relitto del brigantino Patris è affondato nel 1868 durante una notte nebbiosa. La nave, con scafo in ferro e sistema propulsivo misto a vela e vapore, urtò una secca semi affiorante durante la navigazione. A quel tempo l’imbarcazione era registrata secondo la proprietà della Compagnia di navigazione a vapore Ellenica, dopo essere stata requisita alcuni anni prima al Re Ottone, sovrano di Grecia che fu costretto alla fuga dal suo Paese.
Il relitto ha notevole valenza storica dato che è stata la prima imbarcazione non a vela ad arrivare sull’isola di Kea. Il Patris era in grado di navigare grazie a due alberi velici e a un sistema di caldaie a carbone che, producendo vapore, mettevano in moto le due possenti ruote a pale.
Gli scooter sono pronti, le stage (bombole per la decompressione) anche. Abbiamo allestito con cura una cima cui clippare le attrezzature per favorire il nostro ingresso in acqua. Il team naviga a quota progressiva tra i meno 9 e i meno 15 metri, a circa 450 metri dalla riva, direzione 230 gradi Nord. Prendendo i riferimenti sul fondo e procedendo con calma impieghiamo circa dieci minuti prima di imbatterci nella secca alla nostra sinistra. La prima immagine che ho del Patris è la prua, coricata a sinistra con il ponte di coperta inclinato di 90 gradi. Lo scafo poggia sul fondale roccioso. Il tagliamare non è particolarmente affilato e il punto di raccordo con la chiglia è piegato in una vela che ricorda la pinna dorsale dei mammiferi marini in cattività. La composizione è suggestiva. La profondità è di circa 35 metri in questo punto, oltre si intravede sullo sfondo il secondo troncone del relitto, distante circa 20 metri e disposto ortogonalmente al primo.
La parte prodiera dello scafo è un reticolo ferroso colonizzato da spugne che variano dalla tonalità dell’azzurro alle gamme dei gialli e rossi. Ciò che rimane è lo scheletro della nave e con attenzione vi si può passare attraverso. Mi dirigo verso la parte poppiera che è la più profonda, riservando alla prua la visita successiva. Lasciandosi il primo troncone alle spalle e volgendosi verso il mare aperto, si impatta visivamente con la grande ruota a pale della murata di dritta. È imponente, raffinata, esile nella struttura per essere idrodinamica, ma possente nella forma. Guardando attentamente si vede l’albero di connessione con la pala di sinistra; quest’ultima era coricata sul fondo, oggi non è più presente poiché è stata recuperata ed esposta al museo locale come reperto alla memoria navale dell’isola. Qui la profondità tocca i 54 metri.
La corrente spinge trasversalmente e, se presa nel giusto modo, allontana velocemente ma con pacatezza dal relitto, il che permette di ottenere sguardi d’insieme davvero unici. Al centro nave, proprio tra le due pale, in corrispondenza della caldaia, si trova quel che resta dell’antico fumaiolo che nostalgicamente anneriva i villaggi al suo passaggio. Il ponte di coperta è diviso su due livelli scostanti circa un 1,5 metri di quota l’uno dall’altro. Il perimetro dello scafo è punteggiato dai semiarchi dei cala-scialuppe. Proseguendo verso poppa si approccia lo scafo adagiato sulla parte rocciosa della base della secca. La forma stretta e un po’ tozza corrisponde agli schemi progettuali dell’epoca. Il timone è anch’esso un po’ sgraziato e inclinato di 45 gradi; non è presente l’elica, ovviamente.
Gli ultimi 10 minuti di fondo li trascorro dentro la prua che, attraversandola, mi regala qualche scorcio di blu cobalto guardando verso l’esterno. Arrivo fino all’estremità ultima: nonostante lo scafo nella sua interezza sia disposto su due livelli; lo si può aggirare agilmente anche con due stage e uno scooter. Sopra di me vedo un grosso winch, l’ultimo segno che resta della tecnologia velica di cui era equipaggiato il Patris.
È passata un’ora da quando abbiamo lasciato terra e ci attende poco meno dello stesso tempo da trascorrere in decompressione.
di Andrea Murdock Alpini – Esploratore Phy Diving Equipment
fotografie di Alexandre Le Grix