Palazzo Barberini a Roma ospita, fino al 27 marzo, la mostra dal titolo “Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta. Violenza e seduzione nella pittura tra Cinquecento e Seicento”, inaugurata lo scorso 26 novembre. L’esposizione incentrata su Giuditta, l’eroina del Vecchio Testamento, è stata curata da Maria Cristina Terzaghi, docente di Storia dell’Arte Moderna all’Università degli Studi Roma Tre, a cui si deve anche il riconoscimento dell’Ecce Homo di Caravaggio, ritrovato in una casa d’aste a Madrid lo scorso aprile 2021. L’evento era nato ed era stato concepito come una mostra-dossier ma poi il progetto si è allargato fino ad incentrarsi sul capolavoro di Caravaggio Giuditta che taglia la testa ad Oloferne, l’attrazione più importante della mostra, attorno alla quale ruotano gli altri splendidi dipinti selezionati per raccontare la vicenda biblica dell’eroina Giuditta, che una volta introdottasi nella tenda del feroce condottiero assiro Oloforne gli taglia la testa compiendo una missione fondamentale per liberare il popolo d’Israele dall’invasore.
Nel pian terreno di Palazzo Barberini sono esposte 29 opere suddivise nelle quattro sezioni tematiche che partono dai primi tentativi di una rappresentazione del tema fino a giungere al nucleo fondamentale della mostra con i capolavori di Caravaggio e di Artemisia Gentileschi, la quale, dopo la scomparsa del Merisi, diventerà l’interprete più originale del tema dell’eroina Giuditta. C’è da dire che il dipinto di Caravaggio presente alla mostra, facente parte delle collezioni di Palazzo Barberini in pianta stabile, apparteneva alla ricca collezione del banchiere genovese Ottavio Costa, che possedeva altri due celebri dipinti di Caravaggio tutt’ora esistenti. La Giuditta di Caravaggio ebbe un notevole riflesso sulla pittura italiana degli inizi del ‘600 pur non essendo mai stata replicata in copie fedeli in scala 1:1. Si può ravvisare il riflesso del dipinto di Caravaggio nell’opera dallo stesso soggetto che reca la firma di Giuseppe Vermiglio, autore molto interessante di cui è stata presentata in mostra una versione più libera e personale del soggetto biblico, quest’ultima proveniente dalle collezioni di dipinti dei Musei Civici di Palazzo Chiericati a Vicenza.
Passando alla terza sezione della mostra non possiamo non raccontare la triste vicenda di Artemisia, figlia del pittore Orazio Gentileschi, dotata di uno straordinario talento artistico e ricordata per essere stata vittima di uno stupro a casa del padre da parte di Agostino Tassi, anch’egli pittore di larga fama. La pittrice è presente con il capolavoro conservato al Museo di Capodimonte a Napoli e di cui esiste un’altra versione agli Uffizi di Firenze. Nel quadro raffigurante la Giuditta Artemisia aggiunge una componente teatrale e fortemente drammatica rispetto all’impeto rappresentato dallo stesso Caravaggio. Artemisia si immedesima nella stessa Giuditta che si vuole vendicare del suo stupratore: in tal senso si configura una sorta di trascrizione di un suo vissuto personale che lei stessa inserisce nella tela accentuando il carattere di atrocità e di cruenza già presenti nei quadri di Caravaggio. Si può allora convenire con le parole di Roberto Longhi quando affermava, a proposito della Giuditta di Caravaggio, che “il pittore aveva messo in scena un assassinio”.
di Francesco Caracciolo – storico dell’arte
Immagine di copertina: Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, Giuditta decapita Oloferne, Palazzo Barberini – Roma