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Yangon. Il misticismo delle pagode birmane

Yangon: una storia difficile

Il Myanmar ha un passato ingombrante, con forti ripercussioni sul presente. La giunta militare che ha governato il Myanmar, dal colpo di stato del 1962, rimasta al potere fino al 2012, ha investito molto per rendere attrattivo il Paese ai danarosi turisti stranieri. Spesso violando i diritti umani dei cittadini: avvenivano trasferimenti forzati di abitanti, letteralmente caricandoli sui camion e trasferendoli in nuove città, zone paludose ed infestate dalla malaria. Nella sola Yangon più di 500.000 persone hanno subito questo abuso.

La bellezza antica del Myanmar

La situazione politica è mutata nel 2015, con le prime libere elezioni. Oggi simili abusi non avvengono più. Il Myanmar si mostra in tutta la sua bellezza ai viaggiatori. La chiusura forzata del paese, per decenni, ha preservato un Oriente più autentico, cristallizzato nel tempo, molto lontano dagli altri stati asiatici. A Yangon, ex capitale della Birmania, conosciuta in passato come Rangoon, ci sono alcune delle più belle pagode del sud-est asiatico.

Shwedagon Paya Stupa
Shwedagon Paya Stupa

Yangon: Shwedagon Paya

È il santuario più sacro della Birmania, costruito sulla sommità di una collina, visibile da ogni punto della città. I suoi quattro maestosi ingressi, serviti da scale mobili di fabbricazione tedesca, da percorrere rigorosamente a piedi nudi, conducono ad un complesso spettacolare: non solo per la bellezza architettonica, ma per l’umanità che lo popola. I birmani trascorrono molto tempo nella pagoda, per pregare, compiere riti, ma anche per stare con la famiglia. La ricchezza delle decorazioni e le stupe ricoperte d’oro danno il loro spettacolo migliore al tramonto. Nella golden hour l’intero complesso si ammanta di un’atmosfera mistica.

Shwedagon Paya
Shwedagon Paya

Lo stupa centrale, a pianta ottagonale, alto 99 metri, è il cuore pulsante del complesso, tutto attorno 64 stupa minori. Ancora, le colonne planetarie rappresentano i giorni della settimana. Ogni fedele si reca nella colonna che indica il giorno della sua nascita per versare acqua sulla testa del Buddha. Questo rito è concesso anche agli occidentali. Ogni birmano ha un luogo preferito di preghiera, ovunque risuonano i rintocchi del gong e le preghiere sussurrate. La Shwedagon Paya è permeata dal calore dei birmani, un popolo estremamente ospitale. Basta sedersi in un punto qualsiasi per essere avvicinati, dopo qualche minuto di conversazione, con la domanda di rito: “Possiamo fare una foto insieme?“

Yangon: Shwedagon Paya
Shwedagon Paya

Ognuno è esotico a modo suo. Noi occidentali  lo siamo per i birmani, che sono stati così a lungo confinati in un mondo chiuso e di terrore. Adesso che i social media, in particolare Facebook, sono presenti nel Paese, il desiderio di condividere è esploso. Sarebbe un vero peccato rifiutare una foto di gruppo, perdere l’occasione di parlare con un birmano, con la sua genuina curiosità verso il diverso e la grande cordialità.
Alla Shwedagon Paya, il 26 agosto 1988, Aung San Suu Kyi ha tenuto il suo primo vero discorso davanti a cinquecentomila persone. Dopo gli eventi drammatici dell’otto agosto 1988, giorno in cui i birmani manifestarono pacificamente contro il regime, che represse brutalmente la manifestazione sparando sulla folla, uccidendo tremila persone e incarcerandone ancora di più.

Aung San Suu Kyi

“Come figlia di mio padre non potevo restare indifferente agli eventi in corso”.

Queste le parole di Aung San Suu Kyi, figlia del leader birmano, Bogyoke Aung San, che ha portato il Paese all’indipendenza, nel 1948, e che decide di prendere posizione e fondare un partito che lotti per la democrazia in Myanmar. Essere alla Shwedagon Paya, con un tramonto che rende ancora più dorati i templi e tornare con la memoria al 1988 e a quel discorso permette di comprendere i birmani incontrati durante il viaggio. Il popolo venera Aung San Suu Kyi, e in lei ripone le speranza di un futuro democratico libero dalle ingerenze dell’esercito.

Sule Paya
Sule Paya

Sule Paya

La pagoda si trova nel centro di Yangon, talmente in centro da essere inserita in una rotatoria. È sotto l’influsso dei nat, esseri dai poteri soprannaturali. A volte magnanimi, altre malvagi, possono aiutare o rovinare la vita dell’uomo, per tale motivo conviene ingraziarli con continue offerte. Si ritiene che questa pagoda sia la più antica della città.  Tutto intorno alla Sule Paya ci sono dei piccoli negozi di astrologi che leggono la mano, predicono il futuro; ancora una volta la commistione tra sacro e profano trova, in Asia, la sua massima espressione. L’oroscopo e la lettura della mano non sono pratiche propriamente buddhiste, tuttavia vanno inserite nel complesso meccanismo di credenze, spesso ancestrali, che fanno parte della vita birmana. Nel Buddhismo sono le azioni del singolo ad influenzare la sua vita e non le stelle.

Corridoio d’oro alla Botataung Paya
Corridoio d’oro alla Botataung Paya

Boutaung Paya

Una pagoda più tranquilla, lungo la riva del fiume Yangon. Lo stupa, alto 40 metri, è vuoto all’interno, a differenza di tutte le altre pagode della città, in cui gli zedi (stupa) sono pieni. Quindi è possibile entrarvi attraverso un corridoio interamente rivestito d’oro dal pavimento al soffitto.
Nel complesso della pagoda si trova uno stagno popolato di tartarughe, spesso capita di vedere esemplari enormi emergere dal acque verdi.

Botataung Paya
Botataung Paya

Pagode con Buddha giganti

Il Buddhismo Theravada permea la vita birmana; l’immagine del Buddha è sempre presente: la serenità del suo sguardo, il sorriso a volte enigmatico, a volte benevolo. I tratti del volto sono sempre ascendenti e la posizione del corpo è meditativa. Questi aspetti sono particolarmente evidenti nelle statue giganti.

Yangon: Chaukhtatgyi Paya
Yangon: Chaukhtatgyi Paya

Chaukhtatgyi Paya

Una splendida statua del Buddha disteso lunga 65 metri, con il volto placido e il capo tempestato di pietre preziose.  Al momento della mia visita era in ristrutturazione, interamente rivestita da impalcature di bambù, meno invasive di quelle metalliche.

Ngahtatgyi Paya

Una delle statue più importanti e affascinanti di Yangon: il volto bianco del Buddha seduto, alto 14 metri, guarda i fedeli con una compassione distaccata e consapevole. A Yangon gli stupa sono così numerosi da essere parte dello skyline della città. Non occorre essere buddhisti per percepire la profonda serenità che si respira nelle pagode; l’azione lascia il posto al pensiero e alla contemplazione.

Testo e fotografie di Paola Vignati – www.paolavignati.com

Autore

  • Paola Vignati laureata in Scienze dell’educazione all’Università Cattolica di Milano. Ha unito le sue due grandi passioni, il viaggio e la letteratura, nel blog “Una valigia piena di libri”. Racconta le sue esplorazioni con uno sguardo diverso, oltre il turismo di massa e la globalizzazione, in cui l’essenza del viaggio è la scoperta non solo geografica, ma soprattutto culturale attraverso i libri. www.paolavignati.com

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