Julie Rebecca Poulain ha inaugurato, a sua curatela e nel suo Atelier romano di Villa Certosa, la mostra bi-personale Chaos Canzone di Iris Terdjiman e Retrospettiva di Bernard Sberro.
Iris Terdjiman è nata nel 1984 a Montpellier e vive e lavora a Bruxelles. Dopo un periodo all’Ecole Supérieure des Beaux-Arts di Montpellier, si forma in filosofia dell’arte, dedicando la sua ricerca alle nozioni di archivio, assurdo e ozio. Perseguendo la carriera di artista visiva e insegnante, si dedica esclusivamente alla carriera artistica dal 2015 e collabora regolarmente con musicisti e autori. Nel suo studio-appartamento, i dipinti su fogli vengono eseguiti direttamente sulla parete. Motivi ricorrenti, come lo scheletro, gli amanti che si abbracciano, sembrano tracciare una linea di condotta nel cavo della storia dell’arte, dalla pittura medievale alla pittura modernista.
Secondo la filosofa Cathrine Guesde «Iris Terdjiman dipinge affreschi contemporanei che possono ancora essere dipinti. Dipinti su tessuto in modo da apparire il più vicino possibile alle pareti, questi formati molto grandi si uniscono a formare una cappella senza altare né divinità. Lì, l’orrore giace accanto alla trascendenza; le fosse comuni sono esposte accanto agli angeli; gli amanti abbracciati ignorano il teschio, una vanità che appare accanto a loro. E in mezzo a questa crudezza (della carne mutilata, come nei dipinti di Bacon, o delle emozioni, come in quello di Munch), le scene religiose riescono ancora a materializzarsi. Le grandi dimensioni dei dipinti consentono inoltre la coesistenza di piani e scene differenti. Frammenti provenienti da mondi diversi vengono intrecciati, ma non viene imposta una direzione di lettura e non è possibile trarre una storia univoca da queste scene intrecciate. Attraverso i tratti espressionisti, le figure diventano schemi, il gocciolamento permette a mondi distinti di permearsi l’un l’altro; uno scheletro si trasforma in un turbine. Quella che vediamo qui non è una storia raccontata, ma una trasmutazione: la gravità diventa grazia. Se da questa silenziosa polifonia di anime deve emergere un significato, allora è misterioso. Simboli presi da varie tradizioni religiose o esoteriche, testi ebraici, titoli di canzoni rock, formule, pacchetti di icone si combinano per creare un gioco di indizi che sfida l’assurdismo e segnala l’esistenza di un significato superiore anche se rimane indecifrabile.»
Bernard Sberro, nominato “l’enfant terrible de la peinture française”, lascia delle tracce della sua opera e della sua vita a chi lo cerca. Nato nel 1947 in Tunisia, conduce una vita proteiforme: cantatore popolare nella Francia degli anni ’60, professore di management, scrittore, fotografo, e sempre pittore. Della tecnica pittorica, dice: “Sembrerebbe che la maggior parte del lavoro di un dipinto avvenga di notte durante le diverse fasi del sonno come se i colori decidessero poi di diventare autonomi, di attrarsi (o rifiutarsi) a vicenda e di provocare un effetto di sorpresa al risveglio”.
Julia Rebecca Poulain, pittrice francese e curatrice di questa mostra bi-personale visitabile fino al 4 aprile, ne fornisce questa descrizione: «Bernard Sberro dipinge ogni giorno, ovunque si trovi e su qualsiasi supporto. Tracce, sagome, figure, scaturite da sogni, memorie e percezioni, emergono, accadono, si cancellano e ritornano. Sensazioni che attraversano il corpo o la mente (è un tutt’uno), l’occhio si concentra, estrae, avvolge. La mano testimonia, ma non solo, si libera anche, verso l’ignoto.»