Negli spazi espositivi di Palazzo Parasi a Cannobio (VB), dal 7 maggio al 26 giugno 2022 si è tenuta la mostra personale “Lucio Del Pezzo – anni ‘70” , curata da Vera Agosti ( https://www.globusrivista.it/anni-70-cannobio-vb-ospita-la-personale-di-lucio-del-pezzo/). L’evento, realizzato in sinergia con la Fondazione Marconi di Milano, ha presentato un nutrito numero di opere, alcune di grandi dimensioni, di quello che, a ragione, può essere definito un periodo particolarmente ricco di intuizioni creative e in cui l’artista, napoletano di nascita e milanese d’adozione, ha già elaborato un suo originale e inconfondibile lessico, una sua personale cifra stilistica. Essa ha offerto all’esplorazione visiva un coinvolgente percorso conoscitivo dell’articolato quanto affascinante universo espressivo di Lucio Del Pezzo, proponendo, oltre alle opere del periodo oggetto d’approfondimento analitico, alcuni pezzi importanti del periodo precedente e di quello successivo, attraverso cui ricostruire, in un dialogo temporale ed evolutivo, la sintassi innovativa e geniale della sua ricerca.
Esponente di spicco della neoavanguardia napoletana, è tra i fondatori del “Gruppo ‘58” con cui dà vita alla rivista di arte e cultura d’avanguardia “Documento Sud”. In una prospettiva più ampia, di apertura europea, instaura, insieme con alcuni artisti del gruppo, intensi scambi culturali con artisti milanesi del “Movimento nucleare” promosso da Enrico Baj che, nel 1960, lo invita a trasferirsi a Milano. Del Pezzo, mosso dalla necessità di superare un informale ormai sfiatato, ridotto a vuota ripetizione accademica, in un contesto che vede l’ascesa della Pop Art, attraversa i fertili territori dell’iconografia popolare, sfiora stili e linguaggi (pop, surrealista, dadaista, metafisico) senza rimanerne imbrigliato, bensì imponendo con il suo gesto sicuro e determinato, un ordine (o disordine) caratterizzato da infinite declinazioni e variabili, una propria visione artistica gioiosa e ludica, permeata da una sottile vena di ironia al limite con il divertissiment, ma soprattutto da quel sentire poetico che, attraverso il gioco, libera l’immaginario del bambino come dell’artista. Di questo periodo, tra le altre in mostra, l’opera Quadro per Paride Accetti ben traduce gli elementi di matrice surrealista e dadaista che, nel suo linguaggio, si fondono a quelli di derivazione pop.
Tra la metà degli anni Sessanta e gli inizi dei Settanta l’artista soggiorna lungamente a Parigi dove, oltre ad entrare a contatto con i luoghi e le atmosfere delle prime avanguardie del secolo, assiste all’affermazione della neoavanguardia “Nouveau Réalisme”, teorizzata da Pierre Restany, che influenza in modo profondo la sua ricerca. “La riappropriazione del reale” propugnata dal movimento francese, il recupero dello “scarto”, del rifiuto della società di massa non restano senza conseguenze nella sua dimensione creativa . Lo stesso Pierre Restany scrisse nel 1967, in un’attenta analisi del suo lavoro, parole che risultano particolarmente attuali: «La nostra epoca ha bisogno di una nuova preziosità che non corrisponde a un lusso del raffinato, ma a un’igiene necessaria del linguaggio, a una profilassi della visione… Il nostro occhio usurato si rimette quasi interamente al turno dei cliché mentali. Si aspira a un nuovo ossigeno, senza crederci veramente. Ed ecco che un naîf saggio, un perverso di buona compagnia, un arlecchino in borghese senza tamburello né tromba, ci invita a giocare con lui.»
Il carattere ludico del suo linguaggio, in bilico tra pittura e scultura, tra elementi architettonici e assemblaggi, esplica la sua levità in un continuo rimodulare e manipolare gli oggetti del quotidiano, sottraendoli al loro destino di significare a tutti costi, liberandoli dalla catena dei significati e affidandoli ai cammini magici e misteriosi dell’arte. Al suo repertorio di forme geometriche si aggiungono oggetti decontestualizzati, collocati su mensole; oggetti, talvolta molto colorati, quali, birilli, uova di legno, manichini, bersagli, steli: ”resti” familiari, trasposti in un territorio di assoluta purezza e poesia. Ne offre un esempio La Vela fondo oro che coniuga la sacralità del colore oro con oggetti plastici dipinti, disposti, in modo singolare e raffinato, su mensole anch’esse dorate. Per identificare le sue composizioni che si sviluppano su diversi piani, dal piano dell’immagine alla tridimensionalità plastica dell’oggetto, Del Pezzo conia la definizione “ Visual box”. Nel suo prezioso deposito di oggetti rottamati, sottratti alla funzione per cui sono stati realizzati, egli crea una specie di segnaletica senza segnali identificativi, di classificazione che non classifica, ma avvicina e assimila l’uno oggetto all’altro in risposta alla sua scelta soggettiva d’artista, incasellati seguendo una sequenza modulare che, teoricamente, potrebbe non finire mai e che ne accentua l’ambiguità e il fascino. Nascono così i famosi “Casellari”, documentati nell’esposizione di Cannobio dall’opera Casellario 40 elementi.
Essi, sono costruiti secondo una struttura rigorosa in cui ogni casella contiene un elemento, un oggetto senza gerarchia, senza relazione di significato con la sua forma, che non rinvia altro che a se stesso, riconosciuto nella sua essenza di oggetto manipolato, ridefinito in quanto tale dal suo gesto creativo. E, ancora, piramidi e ziggurat per sfidare il cielo, arcobaleni che accendono di luce lo sguardo curioso, labirinti senza uscita, frammenti oggettuali, simboli di un personale alfabeto segnico, si offrono ad un’infinità di percorrenze interpretative e, così come i suoi “Teatrini” e le sue “Sculture”, introducono al tempo sospeso del suo forziere di sogni e di segni.
di Teodolinda Coltellaro – critico d’arte