Angkor è uno di quei pochi, straordinari luoghi del mondo dinnanzi ai quali ci si sente orgogliosi d’essere membri della razza umana. (Tiziano Terzani, Fantasmi)
Angkor, capitale dell’impero Khmer, patrimonio Unesco dal 1992, è il sito archeologico più importante della Cambogia e uno dei maggiori del sud est asiatico con un’estensione di circa quattrocento chilometri quadrati. Le costruzioni principali visitabili sono circa ottanta, prevalentemente siti religiosi, ma l’intera area cela centinaia di templi induisti e buddhisti in pietra. Non restano tracce invece della residenza reale e degli edifici comuni costruiti in materiali deperibili, soprattutto legno.
La visita classica ad Angkor segue due percorsi: il piccolo e il grande circuito. Questi itinerari sono molto noti, un’ottima base di partenza per conoscere l’enorme sito. La mia intenzione è invece quella di viaggiare attraverso le parole di alcuni straordinari scrittori, profondi conoscitori di Angkor. La scoperta di Angkor e dei suoi templi millenari nascosti nella giungla la si deve a Henri Mouhot, un naturalista francese in viaggio in Indocina, da poco diventata colonia francese. Nel 1860 Mouhot seguendo un resoconto di un frate va alla ricerca di strane rovine nella giungla e incontra la città di Angkor. Dal suo resoconto iniziano ad arrivare molti esploratori. Il resto è storia.
«All‘inizio del secolo Pierre Loti arrivò ad Angkor, in Cambogia, con la trepidazione di un pellegrino, a bordo di un carro tirato da buoi neri per chiedere ospitalità ai bonzi che allora vivevano nei templi. Vent’anni dopo c’era già la società Cooks che organizzava escursioni, spettacoli di danza la notte, in mezzo alle rovine, e vendeva pietre-ricordo ai turisti. L’uomo che nel 1860 aveva “scoperto” Angkor per l’umanità – e per i turisti – aveva pagato quella sua conquista con la vita. Pochi sanno che la sua tomba è ancora lì, a est di Luang Prabang, e io volli andare a rendere omaggio a quell’avventuroso scienziato, Henri Mouhot, la cui storia mi ha sempre affascinato». (Tiziano Terzani, Un indovino mi disse)
I Khmer. «Strana storia quella dei Khmer! Fra il nono e l’undicesimo secolo avevano costruito questa immensa, straordinaria città. Poi, nel 1431, i thailandesi li avevano attaccati , avevano saccheggiato e messo a ferro e fuoco Angkor e loro, senza più una capitale, avevano dovuto ritirarsi nella giungla, poi nel basso corso del Mekong. Col passare dei secoli si erano costruiti un’altra capitale: ma niente di paragonabile a quel che si erano lasciati dietro. Era come se i Khmer non fossero più gli stessi, come se avessero dimenticato il loro passato. In verità l’avevano dimenticato: come se gli italiani non sapessero più del Colosseo… i Khmer si erano dimenticati di Angkor della vita che c’era stata, della grande arte che era stata prodotta. Incredibile destino». (Tiziano Terzani, Fantasmi)
Come visitare Angkor. «Ci sono vari modi per avvicinarsi ad Angkor. Uno può farlo leggendosi una delle ormai tante erudite guide ai monumenti ed andando poi di tempio in tempio ripassare la storia, a controllare i dettagli, ad imparare i nomi dei vari re che costruirono questo o quell’edificio, a rendersi conto di ogni simbolismo, a cercare di capire se la faccia che sorride dalla pietra sia quella di Shiva o quella di Buddha… io ho scelto l’approccio più naturale: niente lezioni preparatorie, niente carta da portarsi dietro. Solo la propria pelle, permeabile come una spugna… senza essere appesantiti dalla tante e spesso irrilevanti nozioni di cui le guide sono infarcite. Capire serve, ma la cosa fondamentale è sentire». (Tiziano Terzani, Fantasmi)
Ho scelto questo secondo approccio. Arrivare ad Angkor conoscendo il minimo indispensabile, la lettura sarebbe arrivata dopo. Non ho voluto approfondire ogni dettaglio prima della visita. Il desiderio era vedere questa grandezza con occhi nuovi senza racconti che la anticipassero.
«Non è affatto indispensabile sapere che per i costruttori di questa immensa città-monumento ogni dettaglio aveva un preciso significato, che ogni pietra, ogni scultura, ogni cortile, ogni pinnacolo era un tassello nell’immenso mosaico che doveva raffigurare i vari mondi, compreso quello superiore adagiato attorno al mitico monte Meru. Non occorre essere buddhisti per capire. Basta lasciarsi andare per sentire che ad Angkor in qualche modo si è già stati». (Tiziano Terzani, Fantasmi)
È davvero così. Davanti alla grandezza di Angkor, le parole non servono, la meraviglia e lo stupore che si prova dinanzi a tanta immensità, non può essere guastata dalle informazioni, che possono arrivare in un secondo tempo. Non è il mio modo di viaggiare, ma questa eccezione è stata doverosa per uno dei luoghi più belli e misteriosi della terra.
«Le rovine di Angkor mi erano già apparse nelle visioni dell’infanzia, erano già parte del mio museo». (Pierre Loti, Un pellegrino ad Angkor)
Angkor Wat. Il tempio più importante dell’intero complesso, talmente rappresentativo da essere il simbolo nazionale della Cambogia e da apparire sulla bandiera nazionale. La sua forma è la perfetta summa dell’architettura khmer: il tempio montagna che rappresenta il Monte Meru (la montagna sacra degli dei induisti), e i templi a galleria tutto attorno. Angkor Wat era consacrato a Vishnu. L’intero complesso si è gradualmente trasformato in un tempio buddista verso la fine del XII secolo.
«Dopo aver soppiantato il culto di Brahma, antica divinità d’Angkor… è insediato un gigantesco Buddha, dominatore, e dolce, con le gambe incrociate e gli occhi semichiusi abbassati». (Pierre Loti, Un pellegrino ad Angkor)
Angkor Wat significa il tempio della città. È l’unico tempio dell’intero complesso archeologico a non essere mai stato abbandonato. «Si ergono delle torri a forma di tiara, torri in pietra grigia che si stagliano nella luce sbiadita del cielo». (Pierre Loti, Un pellegrino ad Angkor)
«Le torri, ora solo di pietra, erano un tempo coperte da uno strato d’oro». (Tiziano Terzani, Fantasmi)
«Sono finestre molto molto eleganti, adornate da cesellature così fini da sembrare merletti distesi sulla pietra, sorrette da piccoli pilastri inanellati che sembrano colonnine di legno lavorate al tornio in modo magistrale, ma che invece sono di granito come tutto il resto delle mura!» (Pierre Loti, Un pellegrino ad Angkor)
Angkor Thom con Angkor Wat è il luogo di culto più famoso dell’intera Cambogia. «Angkor Thom (Angkor la Grande) le mura, i terrazzamenti, i templi, lo sviluppo dei lunghi viali pavimentati, i cui lati erano adornati da divinità., serpenti a sette teste, piccole torri e colonnine». (Pierre Loti, Un pellegrino ad Angkor)
Il Bayon, il tempio montagna costellato di volti scolpiti, è l’attrazione maggiore di Angkor Thom. I volti scolpiti sono in totale duecentosedici. Queste enormi teste seguono il visitatore in ogni angolo del tempio. «E su ogni torre i quattro visi rivolti ai quattro punti cardinali guardavano dall’altro in ogni dove attraverso le palpebre socchiuse, con la stessa espressione d’ironica pietà, con lo stesso sorriso: affermavano in modo ossessivo l’onnipresenza della divinità d’Angkor». (Pierre Loti, Un pellegrino ad Angkor)
La Porta della Vittoria è la più imponente della porte d’accesso ad Angkor Thom. «Davanti alla Porta della Vittoria, sopra la quale sorride un enorme viso umano». (Pierre Loti, Un pellegrino ad Angkor)
Il Tempio induista Banteay Srei, consacrato a Shiva, risale al X secolo d.C. Costruito in arenaria rossa, le numerose e accuratissime decorazioni lo rendono uno dei più affascinanti dell’intera area.
“Il fico delle rovine cui nulla resiste. È lui che oggi regna su Angkor. Sopra ai palazzi e ai templi che pazientemente disgregato con la sua pallida ramificata ossatura, maculata come i serpenti e l’ampia cupola di foglie”. (Pierre Loti, Un pellegrino ad Angkor)
Il Ta Prohm è sicuramente il più suggestivo tra i monumenti in rovina di Angkor. La scelta di lasciarlo avvolto dagli alberi e dalla giungla, che nel corso dei secoli hanno avuto la meglio sulle rovine di Angkor, mostra al visitatore quale aspetto aveva l‘intera area quando fu riscoperta in epoca moderna. Le rovine sono strette dell’abbraccio dei tronchi, i blocchi di pietra sono stati sollevati dalle radici di alberi ormai morti. L’atmosfera è surreale, ma ricchissima di fascino.
«Ta Prohm che Jayavarman VII fece erigere per ospitare il culto della madre.. non offre nessuno dei panorami spettacolari di Angkor Vat o le sorprese architettoniche del Bayon. Ta Prohm è un cataclisma arrestato. Nella sua invasione, la foresta non vi ha fatto irruzione ma si è rovesciata sopra dall’alto… Quando si entra in un cortile è come entrare in un nuovo mondo vegetale, non quello di rami e foglie che conosciamo, ma quello delle radici… Le radici seguono il profilo dell’opera in muratura, raddoppiano colonne e pilastri». (Norman Lewis, Una dragone apparente)
«Gli dei-re di Angkor, con le loro facce di pietra sono già sopravvissuti per dieci secoli nel verde della foresta. Il tempo non ha distrutto il loro misterioso, impenetrabile sorriso Khmer». (Tiziano Terzani, Fantasmi)
di Paola Vignati – http://paolavignati.com