Sbirciando dal boccaporto le onde si infrangono inesorabili sul fianco destro della nave; a prua si nota il forte beccheggio che rompe le onde più grandi; il vento spezza le creste e lava la coperta con lunghi spruzzi di acqua salata. Ci troviamo nel mezzo del passaggio di Drake, il fatidico braccio di mare che separa la parte meridionale del Sudamerica dalla Penisola Antartica. Poco meno di cinquecento miglia nautiche, circa novecento chilometri di mare aperto in cui i venti dell’Ovest soffiano inesorabili creando onde che normalmente variano dai cinque agli otto metri di altezza, ma che in condizioni di forte tempeste possono raggiungere anche i dodici metri. Durante la notte abbiamo attraversato i 60° Sud, entrando così ufficialmente dentro le acque del territorio antartico così come venne definito dal Trattato Antartico del 1959 a cui, dopo i primi dodici paesi firmatari, se ne sono aggiunti col tempo altri cinquantasei tra cui l’Italia.
Mentre i limiti politici dell’Antartide sono definiti da una linea immaginaria, quelli naturali e biologici sono invece delineati dalla corrente circumpolare antartica. La principale corrente marina dell’Oceano Meridionale, l’unica che circola intorno all’intero globo e che trasporta la maggiore massa d’acqua del pianeta con profondità che variano dai duemila ai quattromila metri. La corrente circumpolare antartica è tra le componenti principali che diedero vita al continente bianco e si formò decine di milioni di anni fa in seguito ai movimenti tettonici che crearono l’apertura del passaggio di Drake, nel momento in cui la placca antartica si separò completamente da quella sudamericana.
Ci si impiegano circa trentasei-trentotto ore ad una velocità media di dieci-undici nodi per attraversare questo leggendario braccio di mare; lo spauracchio di molti navigatori e di quei pochi turisti che durante la stagione estiva dell’emisfero meridionale si spingono verso il continente bianco. Le prime isole che si incontrano sono le Shetland del Sud, un arcipelago vulcanico situato alla stessa latitudine delle omonime isole scozzesi e così battezzate dal britannico William Smith, il primo navigatore che in maniera fortuita nel 1820 ne scoprì l’esistenza. Spicca sicuramente l’isola Deception, con la sua caratteristica forma a ferro di cavallo e la sua cima più alta, il monte Pond. Il centro dell’isola è formato da una caldera vulcanica ancora oggi attiva, alla quale si accede attraverso un piccolo stretto, Neptune’s Bellows, che consente così di navigare all’interno di Port Foster. Due stazioni di ricerca (Spagna e Argentina) sono ancora oggi attive e consentono lo studio e il monitoraggio dei fenomeni vulcanologici e sismologici dell’isola. Il primo contatto con l’Antartide è lo sbarco nei pressi della lunga spiaggia vulcanica che contraddistingue Whalers Bay.
Testo e fotografie di Marco Rosso