Uno dei codici manoscritti più importanti delle Antichità giudaiche giunto sino a noi è senza dubbio il Cod. Bodmer 98, conservato presso la Biblioteca della Fondazione Martin Bodmer in Svizzera. Il codice è datato agli inizi del IX secolo, è pergamenaceo ed è composto da 169 carte, misura 30 x 20.5 cm. Il codice è stato vergato in carolina e contiene la versione principale dell’opera di Flavio Giuseppe a noi pervenuta.
Un altro codice di enorme importanza è quello completamente miniato conservato presso la Cambridge University Library, Christ Church. Tale manoscritto è stato prodotto in Inghilterra intorno al 1130; le miniature possono essere attribuite alla scuola anglonormanna. Il codice contiene i primi quattordici libri delle Antichità giudaiche di Flavio Giuseppe. Cerchiamo però di capire come veniva prodotto il codice manoscritto nel Medioevo. Nello scriptorium dei monasteri medievali alcuni monaci, i cosiddetti amanuensi, copiano antichi manoscritti su grossi libri; le pagine sono in pergamena, ottenuta con pelli di pecora trattate. Altri monaci, i miniatori, sono addetti all’illustrazione di questi manoscritti, che vengono chiamati “codici miniati” dal latino miniare, cioè “dipingere con il minio”, il colore rosso di origine minerale spesso usato per le iniziali (capilettera).
Nei codici di scuola anglo-normanna i capilettera sono più grandi rispetto al testo e hanno forme fantasiose, colorate in modo vivace. Nei casi più semplici la decorazione prevede figure ornamentali di foglie o fiori o piccoli disegni geometrici che riempiono il corpo della lettera, rendendola più piacevole e visibile senza modificarne troppo le sembianze. A volte invece il segno alfabetico diventa uno spazio in cui inserire personaggi o animali, che si avvolgono intorno alla struttura della lettera come se questa fosse tridimensionale: è quello che si può osservare nel codice delle Antichità giudaiche di Cambridge. La lettera A è completamente sormontata da una serie di figure in movimento e di ghirigori floreali: l’uomo che ha dimensioni maggiori infilza con la spada un cane feroce intento a divorare una donna; egli viene morso al polpaccio sinistro da un drago. Attaccato alla zampa posteriore destra del cane, un altro uomo, terrorizzato in volto, osserva la scena.
Altro codice rilevante è quello conservato presso la Biblioteca dell’Università di Basilea, ms. A XI 71. Il codice è composto da 228 carte, è del XV secolo e misura 14.5 x 10.5 cm. Il codice è stato vergato in una tardo gotica su carta. Il codice, di formato ridotto, proviene probabilmente dalla certosa di Magonza, e da lì ha raggiunto quella di Basilea, dove è stato corredato da numerose note di possesso. Contiene una grande varietà di estratti di letteratura – religiosa, storica e di altre – del Medioevo e dell’antichità. Anche la lunghezza dei testi varia notevolmente: oltre a brevi estratti e versi di due o quattro righe su vari argomenti quali i papi o le api, ci sono testi più lunghi come il De rota verae et falsaereligionis di Ugo da Folieto, o la prima metà del ParadisusAnimae dello pseudo-Alberto Magno.
Altro codice delle Antichità giudaiche degno di nota è il Cod. 756.53 della Burgerbibliothek di Berna. Il codice è pervenuto in forma frammentaria, è del XIII secolo, è scritto su pergamena ed è composto da un solo foglio che misura 1 f. · 33 x 18.5 cm. Un altro frammento è conservato nella medesima Biblioteca di Berna, il Cod. 756.95, composto anch’esso da un solo foglio pergamenaceo degli inizi del 1200, il quale misura 17 x 27 cm. Foglio singolo, con una splendida iniziale, da un manoscritto riccamente illustrato delle Antiquitates Iudaicae di Flavio Giuseppe proveniente dal monastero di Engelberg. Fu venduto intorno al 1600 dall’abate Andreas Hersch, o dall’abate Melchior Kitz, al libraio e legatore zurighese Johann Felix Haller (attivo 1603-1637) e da lui poi maculato per essere utilizzato in un’opera storica di Hans Felix Grob il Giovane (1572-1653). Non è chiaro quando il volume giunse alla Stadtbibliothek di Berna dove gli venne attribuita la segnatura Mss.h.h.XXIa.25; le maculature nella legatura sono state staccate da Johann Lindt nel 1941.
Ma chi era Flavio Giuseppe e perché la sua opera ebbe tanta fortuna? Tutte le notizie biografiche sino a noi giunte sono desumibili dall’Autobiografia e dalla Guerra Giudaica. Da tali scritti risulta che sia nato presso Gerusalemme nel primo, forse secondo, anno del regno dell’imperatore Caligola (37/38 d.C.). Tra il 56 e il 57 d.C., dopo aver seguito per tre anni le correnti politico-religiose dei Farisei, dei Sadducei e degli Esseni, decise di aderire stabilmente al movimento farisaico, del quale enfatizzò la vicinanza dottrinale alla scuola stoica. Il suo primo viaggio a Roma avvenne nel 64 d.C. in qualità di legato, al fine di liberare alcuni sacerdoti ebrei condotti presso l’Urbe per essere processati da un tribunale imperiale. Ivi conobbe Alituro, un celebre mimo di origini giudaiche particolarmente vicino a Nerone. Questo lo mise in contatto con Poppea e grazie all’intercessione di questa, Flavio Giuseppe riuscì a risolvere l’incarico. Al suo ritorno in patria trovò però un’amara sorpresa, la giudea si stava ribellando al dominio romano. Lo storico cercò invano di far comprendere la pericolosità della situazione ai suoi concittadini, ma nessuno volle capire. Nel 67 d.C. i romani avevano già ristabilito il controllo sulla giudea grazie all’intervento di Vespasiano che nella primavera dello stesso anno aveva cinto d’assedio la fortezza di Iotapata, dove Giuseppe s’era asserragliato, costringendolo alla resa. A differenza dei suoi uomini, suicidatisi per non cadere nelle mani dei legionari, egli preferì consegnarsi spontaneamente al generale sabino cui preannunciò l’imminente investitura imperiale. Dopo che la predizione si avverò, ottenne subito la libertà e la cittadinanza romana. Al termine della prima guerra giudaica, conclusasi con la presa di Masada (73 d.C.), seguì Tito presso la Capitale dove, grazie alla pensione di Stato assicuratagli dagli stessi, poté dedicarsi alla storiografia.
Per quale motivo le Antichità Giudaiche e le altre opere di Flavio Giuseppe sono così importanti per un adeguato studio storiografico della prima età imperiale? La grande novità apportata da questo autore è quella di una storiografia “di centro”, della “giusta misura”, che cerca di essere imparziale. La storiografia romana di età imperiale è infatti per una grande maggioranza, salvo rarissime eccezioni, di stampo filo-senatorio e anti-imperiale. Molto spesso questa ebbe un ruolo fondamentale nel processo di damnatio memoriae di alcune figure imperiali, Caligola e Nerone su tutte. La storiografia di Flavio Giuseppe capovolge completamente tale meccanismo, anche per motivi strettamente legati alla sua vita, andando a cercare una posizione di mezzo tra imperatore e senato. Dunque, con Flavio Giuseppe, accade che per la prima volta dall’inizio dell’impero, la storiografia vada a cercare una nuova posizione, questa volta lontana da quelle vicine all’aristocrazia senatoria. Andando con ordine, risulta opportuno esaminare tutta la sua produzione.
La Guerra giudaica certamente risulta essere la sua opera più celebre. Una prima stesura si ebbe in aramaico, mentre la versione definitiva in greco venne realizzata a Roma tra il 75 e il 79 d.C. I libri I – IV sono dedicati alle operazioni che vanno dal 66 al 69 e il protagonista indiscusso della narrazione è Vespasiano; i liberi V – VI sono dedicati all’assedio di Gerusalemme perpetuato da Tito; il libro VII è dedicato alla resistenza di Masada (73 d.C.). 20Il Flavio Giuseppe della Guerra giudaica non può non richiamare Polibio: entrambi sono vinti che si schierano con i vincitori, entrambi sono estremamente faziosi, entrambi sentono il dovere morale di giustificare la scelta che li ha condotti all’agiatezza e alla tranquillità sociale ed economica. Anche dal punto di vista stilistico-storiografico Flavio ha Polibio come modello assoluto. Si differenziano però su un punto, trascurabile per uno, inamovibile per l’altro: la religione. Infatti, un conto è tradire la Grecia e un conto è tradire Jahvè. Flavio Giuseppe si dovette difendere per tutta la vita dall’accusa di aver tradito la propria gente, il proprio sangue. Proprio per difendersi dalle numerose accuse che lo riguardavano scrisse la sua Autobiografia. L’opera trova il suo modello in Nicola di Damasco. Egli era figlio di Antipatro, Nicola ricevette un’ottima educazione, dedicandosi alla filosofia peripatetica ed alla retorica. Secondo Sofronio di Gerusalemme, egli divenne il precettore dei figli del triumviro Marco Antonio e di Cleopatra (i gemelli Alessandro Elio e Cleopatra Selene, nati nel 40 a.C., forse anche di Tolomeo Filadelfo, nato nel 36 a.C.). Egli lasciò certamente l’Egitto, allorché questo venne conquistato da Ottaviano nel 30 a.C. Fu, poi, intimo amico di Erode il Grande, a cui sopravvisse di diversi anni e nel 4 a.C., pur essendosi ritirato dalla politica attiva (in quanto, come egli stesso dichiarava, aveva oltrepassato i sessant’anni), accompagnò a Roma Archelao, figlio dell’amico, a chiedere ad Augusto di essere nominato legittimo re di Giudea.
Un’altra vasta opera di Flavio Giuseppe è il Contro Apione, uno scritto polemico volto a confutare le falsità e le calunnie antigiudaiche, di cui era permeata tutta la storiografia ellenistica.
Veniamo ora alle Antichità giudaiche. Esse furono progettate seguendo il modello dell’analoga opera di Dionisio di Alicarnasso. L’opera racchiude tutta la storia di Israele. I libri I – X vanno da Adamo ed Eva sino alla fondazione del Secondo Tempio, in sostanza sono una traduzione dell’Antico Testamento. Le fonti delle Antichità giudaiche, però, non si limitano all’Antico Testamento: il resoconto sulla creazione del mondo, introdotto dall’elogio di Mosé, dipende dal De opificio mundi di Filone di Alessandria all’ambiente ebraico appartiene anche Nicola di Damasco, collaboratore di Erode il Grande e autore di una Storia universale in 144 libri, di cui Flavio Giuseppe si avvale per il periodo post-biblico. Anche la cultura pagana ha lasciato tracce evidenti nell’impianto narrativo: la battaglia vinta dagli Israeliti contro gli abitanti di Moab, riportata succintamente nel IV libro, induce a credere che Flavio Giuseppe, o chi per lui, abbia attinto da un classico della letteratura greca: la Guerra del Peloponneso di Tucidide. I libri XI – XX coprono molto dettagliatamente il periodo ellenistico e romano. Lo storico per realizzare tale opera attinse a moltissime fonti al fine di rafforzare la propria argomentazione. Questo approccio consistente nella commistione tra narrazione e documentazione in funzione apologetica costituisce un ulteriore elemento innovativo apportato dalla storiografia di Flavio Giuseppe. Questa commistione fu poi ripresa da Eusebio di Cesarea per la storiografia ecclesiastica. Dunque Flavio Giuseppe non solo innovò la storiografia romana ponendosi in una nuova prospettiva, quella “di mezzo”, lontana dalla vecchia aristocrazia senatoria, ma diede anche lo slancio per la nascita di una nuova tipologia storiografica, quella ecclesiastica. Potremmo concludere affermando che per rivoluzionare la vecchia storiografia filo-aristocratica serviva un uomo venuto dai confini orientali dell’impero e lontano da tante tradizioni ben consolidate.
di Riccardo Renzi – Istruttore direttivo presso Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo