«Vittoria nostra, non sarai mutilata»: con questa frase pubblicata sulle colonne del Corriere della Sera (24 Ottobre 1918) Gabriele D’Annunzio denunciò la grave situazione che si venne a creare durante le trattative di pace alla fine della prima guerra mondiale, che disattesero il principio di autodeterminazione dei popoli immaginato dal presidente americano Wilson, e dunque la scelta dei fiumani di essere annessi al Regno d’Italia.
Il Governo italiano si mostrò purtroppo impreparato. Non D’Annunzio, però. Egli raccolse l’invito dei fiumani ad essere aiutati contro le mire espansionistiche jugoslave. E così il 12 settembre 1919 partendo da Ronchi giunse a Fiume, dove fece la “Santa Entrata” con circa 200 legionari, che sarebbero poi diventati più di 3000. Attorno a lui andò formandosi un’opinione pubblica favorevole a difendere i diritti dell’Italia. Il governo italiano continuò invece a sonnecchiare, richiamando D’Annunzio fino al punto di scatenargli contro un attacco fratricida che culminò nel “Natale di sangue” del 1920. Il Vate decise allora di porre fine alla sua epica impresa e lasciò Fiume il 18 gennaio 1921. Il laboratorio dannunziano rimane per molti versi un’esperienza di vita intensa, animata da coraggio, eroismo e amore per un’Italia più nobile e bella.
Marino Micich – storico, direttore dell’Archivio-Museo Storico di Fiume, Roma;