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Editoriale 14/MMXXIV

Nell’anno che ricorda il settecentenario della morte di Marco Polo ci è sembrato doveroso celebrare l’evento dedicando la copertina a questo grande mercante, viaggiatore e diplomatico veneziano. È grazie a lui, infatti, se conosciamo uno dei più incredibili, affascinanti e avventurosi viaggi della storia, attraverso il racconto documentato degli incontri di culture, usanze, riti, fedi, valori, arte e territori. La sua famosa opera letteraria, Il Milione, è un capolavoro unico nella letteratura di viaggio, un testo che potremmo paragonare ad una vera e propria enciclopedia geografica giacché ha consentito la conoscenza dell’Asia medievale e ha rappresentato una fonte importante per la scienza cartografica.

Ma ciò che maggiormente ci viene consegnato in eredità da Marco Polo è quel gusto sopraffino del viaggio, il senso dell’avventura, la tensione verso nuove conoscenze, la cultura dell’incontro. Mettersi in cammino “acciocché si potessero sapere le cose che sono per lo mondo”. Ragion per cui il viaggio, qualsiasi viaggio, può lasciarci qualcosa che va al di là del suo significato letterale per sconfinare verso quello più metaforico e ugualmente significativo: la crescita personale che può condurci – sempre restando in tema di viaggi letterari, questa volta danteschi – a ritrovare la retta via dopo aver abbandonato la selva oscura. Detta altrimenti, il viaggio ci aiuta a scoprire noi stessi e – usando le parole di Gustave Flaubert – ci richiama all’umiltà se è vero che “ci mostra quanto è piccolo il posto che occupiamo nel mondo”.

di Fabio Lagonia

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