Gli antichi navigatori toccarono le coste del “Nuovo Mondo” molto prima di Colombo. Già intorno a metà del V secolo a.C. i Cartaginesi avevano raggiunto l’Atlantico: i fratelli Annone e Imilcone, infatti, insieme alle loro flotte, avevano oltrepassato le Colonne d’Ercole per esplorare cosa ci fosse al di là di quello che era il mondo conosciuto. Annone si diresse a sud, verso l’Africa occidentale, mentre Imilcone andò a nord, fino a quelle che oggi sono coste irlandesi. Come lo sappiamo? É miracolosamente giunto sino a noi (anche se tramite un codice del X secolo d.C. che riportava in greco il testo dell’originale punico) il resoconto del viaggio di Annone, che segnala nel dettaglio le avventure – o meglio disavventure – che hanno coinvolto lui e la flotta di cui era al comando.
Ciò che risulta chiaro dal testo è la volontà di Annone di verificare lo stato delle colonie già esistenti e, se possibile, crearne di nuove. Diodoro Siculo – che scrive nel I secolo a.C. – riporta che alcuni marinai di Gades (la moderna Cadice, in Spagna), navigando lungo le stesse coste di Annone, furono colti da una tempesta molto forte, con venti che soffiavano contrari alla loro direzione. I marinai furono spinti su una grande isola, identificata dagli studiosi come Madera, quasi 550 km a ovest delle coste africane; la notizia della scoperta di questo paradiso terrestre arrivò ai Cartaginesi e agli Etruschi ma l’arcipelago rimase inesplorato fino alla caduta di Cartagine. Anche Plutarco parla di questa vicenda e chiama queste “Isole Fortunate”.
Siamo sicuri anche che i Cartaginesi raggiunsero le Azzorre perché a metà del Settecento nell’Isola di Corvo fu trovato un tesoretto di monete cirenaiche e puniche. Purtroppo, però, questo è tutto ciò che è rimasto poiché non ci sono testimonianze scritte riguardo questo viaggio; potrebbe forse trattarsi di un viaggio non programmato – e quindi casuale – da cui forse non fece ritorno nessuna nave. Ma arriviamo in America e cerchiamo di capire perché siamo convinti che non sia stato Cristoforo Colombo a scoprirla (fra l’altro, proprio di recente una ricerca dell’Università di Milano ha individuato un manoscritto del 1340 in cui si menzionano le nuove terre: http://Globusrivista.it/la-scoperta-dellamerica/). Si ha notizia che le coste meridionali (soprattutto brasiliane) siano state scoperte dai Fenici e dai Cartaginesi mentre quelle del nord da Greci e Romani. Purtroppo non ci sono testi punici a testimonianza di questi approdi ma ci sono alcune iscrizioni e alcuni reperti archeologici che sembrerebbero confermare queste teorie. L’iscrizione fenicia trovata a Parahyba (Brasile) fu creduta per molto tempo un falso ma recentemente ne è stata confermata l’autenticità, ed è una delle testimonianze più importanti che abbiamo.
Dopo i Fenici e i Greci, anche i Romani si dedicarono all’esplorazione oltre le Colonne d’Ercole: Augusto, ad esempio, inviò due flotte esplorative nell’Atlantico: una verso nord e l’altra verso le coste africane, proprio come fecero i Cartaginesi. A conferma di queste ipotesi si hanno diversi indizi archeologici: alcuni affreschi di Pompei, infatti, mostrano un ananas, frutto che sembrava arrivato in Occidente solo dopo la scoperta di Colombo.
Ma c’è di più: la città maya di Comalcalco, in Messico, presenta delle particolarità tecniche (sistema delle condutture idriche o il metodo di seppellire in giara) che erano sconosciute in America ma che erano utilizzate da secoli nell’area mediterranea. Sempre a Comalcalco, infine, fu trovata una scultura la cui testa rappresentava delle tipiche sembianze occidentali, con barba e taglio degli occhi palesemente mediterranei.
Ma in pratica, e con i mezzi dell’epoca, come avrebbero fatto i Fenici e le altre popolazioni antiche a giungere sino al Brasile e in generale in America? Si è a conoscenza di una corrente subequatoriale molto forte che combinata con un vento di nord-ovest (il Passat, chiamato anche “Vento di Mare” nelle Antille, proprio perché spira sopra l’Oceano) avrebbe potuto far approdare in maniera del tutto casuale (o almeno semi-casuale) i Fenici in territorio sudamericano. Inoltre, bisogna considerare che la maggior parte dei popoli antichi aveva buone conoscenze geografiche e astronomiche, fondamentali nella navigazione. Molte popolazioni riuscivano a calcolare anche la longitudine, con un margine di errore minimo: si avevano, dunque, capacità tecniche e conoscenze scientifiche in grado di supportare i navigatori nei loro viaggi transatlantici.
Infine, esiste un ormai noto villaggio vichingo databile intorno all’anno 1000; si hanno sia tracce archeologiche – soprattutto grazie agli scavi degli anni Sessanta ad Anse-aux-Meadows, che hanno riportato alla luce diverse costruzioni in pietra, tra cui anche un’officina per la riparazione delle navi -, sia documenti scritti. In conclusione, dunque, l’America fu colonizzata ad intervalli più o meno regolari a partire forse addirittura dal V secolo a.C.; i navigatori mediterranei, che probabilmente all’inizio finirono casualmente sulle coste del Nuovo Mondo, ne restarono talmente affascinati che dopo un po’ capirono come arrivarci volutamente. Cristoforo Colombo, dunque, fece solo una ri-scoperta di quello che i navigatori antichi conoscevano ormai molto bene.
di Maria Grazia Cinti – archeologa