Un gruppo unico al mondo, una preziosità artistica e un’opera di inestimabile pregio: ecco i Bronzi dorati da Cartoceto di Pergola, località sita nella provincia di Pesaro-Urbino. Reperti straordinari e di incomparabile bellezza che dall’età romana sono giunti fino ai nostri giorni. Solo il caso lo ha reso possibile: sepolti in un terreno della località di Santa Lucia di Calamello, sono affiorati la mattina del 26 giugno 1946 durante alcuni lavori di scavo realizzati per far defluire l’acqua piovana che, a causa delle abbondanti precipitazioni, aveva formato una pozza d’acqua. Chissà come vi erano stati confinati per aver fortunatamente resistito oltre due millenni a guerre, razzie, incuria e vandalismi.
La paziente ricomposizione dei numerosi frammenti – molti dei quali apparivano deformati – ha dato il sorprendente risultato di un gruppo omogeneo costituito da due uomini e due donne più due cavalli, presumibilmente un gruppo familiare del I secolo a.C. Le sculture sono realizzate con la tecnica della cera persa, impiegata nell’antichità per la fusione di statue cave in bronzo mediante la creazione di un modello di cera, ideale per la realizzazione di figure di grandi dimensioni: tra gli esempi più celebri di questa tecnica vi sono i Bronzi di Riace o i Cavalli della Basilica di San Marco di Venezia (altro rarissimo esempio di gruppo equestre bronzeo, la cui datazione è però ancora incerta).
Le statue di Pergola, di indiscusso valore tecnico-artistico, rappresentano l’unico gruppo di bronzo dorato di età romana attualmente noto. Sono espressione di quella politica di diffusione di immagini monumentali che ha contraddistinto il mondo romano dall’età tardo-repubblicana in poi, a testimonianza del potere dei personaggi raffigurati. Ma restano molti punti interrogativi sul perché queste statue siano state sepolte e ridotte volontariamente a pezzi, in 318 frammenti. Altri dubbi riguardano l’identità dei personaggi rappresentati. Le ipotesi messe in campo per spiegare l’identità delle due statue giunte sino a noi pressoché integre sono numerose. Gli studi più recenti hanno datato la scultura del cavaliere tra il 50 e il 30 a.C. e dall’abbigliamento si presume si tratti di un ufficiale romano di alto livello. La donna, identificata ad una prima analisi come Livia, madre dell’imperatore Tiberio e vedova di Augusto, è dei quattro personaggi quello meglio conservato. Tra i dettagli che hanno contribuito alla datazione vi è l’acconciatura, di derivazione ellenistica, particolarmente in auge tra le matrone romane della seconda metà del I secolo a.C. Sull’anulare della matrona spicca un anello d’oro che segnala l’appartenenza all’Ordine Equestre e conferma quindi l’altissimo rango dei personaggi. Anche i due cavalli sono riprodotti in atteggiamento maestoso, con il collo eretto, con una zampa anteriore sollevata e una posteriore avanzata ad accennare il passo. Le ricche decorazioni delle teste riproducono divinità della religione romana. Gli uomini che li cavalcano potrebbero essere dei comandanti vittoriosi in qualche campagna d’Oriente, a motivo delle gualdrappe (ornamenti tessili) presenti sui cavalli e che erano in uso presso i Persiani. Secondo un’altra ipotesi sarebbero invece i due fratelli Nerone e Druso III, figli di Agrippina Maggiore e adottati da Tiberio. Probabilmente la distruzione e l’occultamento di queste statue è addebitabile alla damnatio memoriae inflitta ai due fratelli accusati di ribellione. Ciò potrebbe spiegare anche perché il gruppo scultoreo sia stato sepolto in quella Cartoceto che in epoca romana era terra “sconsacrata”.
Oggi questi capolavori sono conservati nel Museo dei Bronzi dorati di Pergola, che si articola in quattro sezioni: archeologica, formata dai bronzi dorati e da altri reperti rinvenuti in zona; storico-artistica; numismatica; e d’arte contemporanea, dedicata all’artista pergolese Walter Valentini. Nel 2019 la sala espositiva è stata arricchita dall’installazione multimediale di Paco Lanciano sicché il visitatore viene accolto in una sala immersiva in cui i bronzi dorati, grazie all’ausilio delle più moderne tecnologie, sono raccontati attraverso parole, suoni, luci e immagini.
Nei dintorni merita una visita la Gola del Furlo, una Riserva Naturale di 3.600 ettari di boschi e pascoli attraversata dal fiume che si insinua tra pareti e cime rocciose. La gola è situata lungo il tracciato originario della Via Flaminia, e furono proprio i Romani che compresero l’importanza strategica di questo luogo, e per questo motivo scavarono la galleria del passo ancor oggi percorribile.
di Roberto Besana – Fotografie di Roberto Besana, su concessione del Ministero della Cultura – Soprintendenza ABAP delle Marche