La strada statale 106 jonica unisce Reggio Calabria a Taranto. Lunga 480 chilometri percorre la costa jonica della Calabria, Basilicata e parte della Puglia. Su questo tratto di strada si trova Sellia Marina, un borgo, in provincia di Catanzaro, noto per le sue acque cristalline e le sue dune di sabbia. Compiendo una deviazione di tragitto e addentrandosi in una delle aree interne del paese, si trovano la casa natale e lo studio di Massimo Sirelli. Ad accogliere il visitatore, una natura ricca di luce e incontaminata. Campi arati, uliveti, greggi di animali, distese di alberi fanno da contorno a quel luogo che ha visto nascere e crescere questo artista. Percorrendo una rampa di scale si raggiunge lo studio dell’artista. Grandi vetrate mettono in relazione l’interno con l’esterno in un dialogo magico e silenzioso, fatto di luce, natura e creatività. Si rimane immediatamente rapiti dal linguaggio multiplo che riempie questo grande spazio. Tele, sculture, opere grafiche, banconote reinventate accolgono il visitatore, facendo emergere quella fucina di idee in movimento che contraddistingue la mente dell’artista.
Massimo Sirelli nasce a Catanzaro nel 1981. Si accosta alla Street Art, attraverso il graffitismo, in età adolescenziale. È per lui una necessità, questa, per riempire alcuni vuoti personali e sociali. Sellia Marina, insieme alla vicina Catanzaro, sono stati il primo teatro del suo linguaggio. Sin da piccolo ama prendersi cura degli oggetti che trova intorno a sé: dai giocattoli ai rottami ritrovati in giro, l’artista, ancora bambino, custodisce questi piccoli reperti, collezionandoli o assemblandoli. Questa necessità così radicata viene esplicitata anche in età adulta. Sirelli ragazzo e successivamente uomo, si rende conto di quanto l’arte possa essere cura, memoria, custodia delle persone che questo mondo lo hanno percorso o lo stanno percorrendo. Gli oggetti di recupero suscitano nell’artista grande fascino. Va in giro per il mondo ed entra in contatto con i luoghi che si rivelano a lui anche attraverso i loro mercatini delle pulci. Così facendo, scopre l’essenza dei posti visitati, in una ricerca etnografica della memoria. Latte provenienti da molte parti del mondo, cucchiai, bulloni, utensili da cucina, tappi, catenelle e tanti altri elementi diventano il suo più grande tesoro. Oggetti dimenticati, rimessi in vendita, custoditi all’interno di luoghi polverosi casalinghi o nascosti dalla terra delle campagne limitrofe al suo luogo di nascita, diventano punto di partenza per storie che possono essere elaborate solo da occhi capaci di togliere la polvere dell’abbandono.
Nelle mani del creativo tutti questi oggetti smettono di essere tali e si trasformano in esseri che appaiono quasi come animati: ecco che assistiamo alla nascita dei suoi Robot. Queste opere d’arte non hanno nulla a che vedere con il mondo dell’automa o della robotica, ma sono esseri che rappresentano ciò che di limpido si è perduto durante la crescita. Il lavoro che porta alla gestazione di questi esseri così speciali è lento, meticoloso, attento, paziente e, a volte, perdura per anni. Se le opere realizzate attraverso il linguaggio del graffitismo vivono di una genesi fulminea, quelle create attraverso la tecnica dell’assemblaggio vengono assaporate con lentezza, quella necessaria a donare l’anima e la memoria a chi l’ha perduta.
Massimo Sirelli compie un viaggio ogni volta in cui decide di realizzare un robot. Ognuno di questi ha una propria storia, una propria anima e una propria essenza. Ognuno di loro è figlio del proprio creatore, che unisce con attenzione i pezzi, affinché l’uno sia parte integrante dell’altro, nonostante le provenienze così tanto lontane tra di loro. Attraverso i robot l’artista è ritornato alla purezza dell’infanzia, al senso dello stupore, al tempo lento. Questo esercito bonario – negli anni ha realizzato oltre duecento pezzi – rappresenta il suo alter-ego. I robot sono stati lo strumento inconsapevole utilizzato dall’artista per far entrare il mondo nella sua vita. Di fronte a tali manufatti si rimane colpiti perché pregni di quella essenza che rende vivida la loro natura. Sono risorti loro, dalla perdita della memoria che costella il nostro oggi, smettendo di essere sordi e ciechi, ma quell’anima ritrovata la usano per mettersi in relazione con noi.
Sirelli concepisce questi manufatti come esseri da adottare e nel 2014 decide di presentarli al mondo attraverso il primo sito di adozione dedicato a dei robot: www.adottaunrobot.com. Qui si trovano le peculiarità fisiche e caratteriali di ogni piccolo nuovo nato. Sbirciando nella sezione dei robot adottati si scoprono le prime creazioni, come Ruga, Osvaldo, Gino o Massi, tutti pezzi nati nel 2006. Piccoli elementi assemblati che racchiudono una grande storia. Insieme a loro tanti altri amici, che nel corso del tempo vivono di una gestazione sempre più complessa. La scelta di creare un sito di adozione di robot da compagnia evidenzia, ancora di più, la valenza di recupero della memoria e di attenzione, che spesso si perde nella nostra epoca fatta di velocità e fuggevolezza. Decidere di adottare è un atto di amore e non può essere semplicemente espresso attraverso un’offerta di denaro. Viene richiesto un ingaggio diretto, una lettera di adozione con la quale spiegare le ragioni del gesto. Attraverso questo scambio, che genera una vera relazione con il padre creativo dei robot, si inizia ad intessere un legame tra richiedente e opera d’arte. Così facendo, il manufatto artistico perde del suo valore venale per accedere a quello della cura.
Con il tema del recupero del materiale, l’artista si colloca nel solco della ricerca creativa avviata già con le Avanguardie del Novecento. Molti maestri, all’inizio del secolo scorso, avevano subito il fascino di materiali extra pittorici come fonte di un nuovo linguaggio. Tra i molti, venne sedotto dall’oggetto anche Pablo Picasso, che realizzò numerose sculture create proprio attraverso l’assemblaggio. Il maestro spagnolo aveva l’abitudine di fondere l’opera in bronzo, celando, al primo sguardo, la vera essenza degli oggetti. La sua volontà era quella di innalzare il valore dell’elemento povero, usando un materiale nobile in ambito scultoreo. Sirelli si riaggancia alla tradizione delle Avanguardie e alla natura di nuovi linguaggi ma a differenza del maestro spagnolo, ad esempio, sublima la semplicità dell’oggetto ritrovato. In lui non vi è la volontà di nascondere l’assemblaggio, ma di farlo risaltare, facendo emergere come ogni elemento, se riabilitato, possa essere esso stesso opera d’arte. In questo sguardo sembra richiamare la lirica di Duchamp, per il quale ogni elemento “ready made”, se sottratto dal luogo per il quale era stato concepito, può diventare altro. È l’idea a dar vita ad una nuova formulazione del fare artistico.
La visione di Sirelli prende forma dalla ricerca di ciò che si è perduto nel tempo. In tutti i suoi robot si vive l’essenza più profonda della vita unita alla creatività. Gli incontri, l’infanzia, i giochi, i luoghi di origine, quelli visitati per la prima volta, si fondono in quel magico mondo chiamato arte. In questo spazio, passato, presente e futuro non hanno paura di unirsi, di diventare storia e proiezione per coloro che osserveranno. Tutti gli elementi che si ritrovano nei robot di questo artista sono parte di una storia, quella che riesce a tirare fuori come da un cilindro magico. Di fronte a queste piccole creature si ritorna bambini e comprendiamo che si possa essere, noi come loro, dei sopravvissuti del tempo, solo se intrisi di memoria e nella memoria. Per mantenere saldo il ricordo bisogna ritornare a prendersi cura delle persone tanto quanto delle cose, rifiutando l’usa e getta tipico del nostro tempo e aprendoci all’amore, anche nei confronti di ciò che è precario.
È un urlo alla vita, all’amore, alla cura, alla memoria, quello che Sirelli lancia da sempre. È un messaggio ad accogliere l’imperfetto, a ricercare nell’altro l’unicità che contraddistingue ognuno di noi. È un viaggio nel mondo personale e globale attraverso tanti pezzi che, unendosi, creano la bellezza dell’irripetibile. I suoi Robot ci “pungono”, ci proiettano, aprendoci alle tante strade del possibile che solo l’arte possiede.
Massimo Sirelli al lavoro (Fotografia di Davide Bonaiti)
di Maria De Giorgio – storica dell’arte