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Il porto sepolto. Storie di mare nel Mediterraneo antico

Durante la centoottantesima Olimpiade, tra il 60 e il 56 a.C., lo storico Diodoro, originario di Agira in Sicilia, si recò ad Alessandria per consultare i libri della ricchissima biblioteca della città, non ancora distrutta dall’incendio del 48 a.C. La leggenda di Alessandria nacque tra il I e il II secolo d.C., grazie soprattutto alle splendide descrizioni fatte dagli storici greci. La città era stata fondata nell’inverno del 332 a.C., quando Alessandro incaricò l’architetto Deinokràtes di pianificare l’impianto urbano di una nuova città, che avrebbe portato il nome del sovrano macedone. La città doveva sorgere sulla costa, per essere aperta agli scambi culturali che animavano il Mediterraneo. Alessandro, inoltre, da ammiratore di Omero, volle che sorgesse vicino all’isola di Faro, menzionata nel IV canto dell’Odissea.

Veduta con il Faro di Alessandria, stampa smarginata di Van Heemskerck Marteen Jacobsz, primo quarto XVII secolo

La realizzazione del progetto di Alessandro richiese molto tempo e, in un primo momento, la capitale del regno fu stabilita a Menfi. Solo in un secondo momento Tolomeo I spostò il trono ad Alessandria, dove fu portato anche il corpo di re macedone, il quale era morto a Babilonia ma aveva lasciato la volontà di essere sepolto in Egitto. Per il sovrano fu edificato un grandioso mausoleo, detto Soma, situato all’interno della cinta muraria, dove saranno collocate anche le tombe dei successivi sovrani della dinastia tolemaica. Durante il regno di Tolomeo II, Alessandria fu abbellita con edifici più imponenti, divenendo la capitale culturale del Mediterraneo, dove confluivano intellettuali e artisti. In un tempo in cui i viaggi in mare nascondevano sempre delle grandi insidie, il porto di Alessandria rappresentava un punto di riferimento fondamentale per i viaggiatori.

Il Faro di Alessandria in un’acquaforte di Andrea Rossi, da T. Salmon, Lo stato presente di tutti i paesi, e popoli del mondo naturale, politico e morale, Venezia 1738 – 1740, vol. VI

All’estremità esterna dell’isola di Faro, che separava il porto dal mare di Levante ed era collegata alla terraferma dall’Heptastadion, fu edificata una costruzione imponente che doveva garantire la sicurezza del traffico marittimo, reso pericoloso dalla presenza di numerosi banchi di sabbia in tutto il mare prospiciente il porto. I lavori iniziarono verso il 300 a.C. e si protrassero per circa venti anni. L’edificio fu dedicato a Zeus Σωτήρ (“Salvatore”), per la sua funzione di guida dei marinai. Un ruolo importante nella costruzione del Faro lo ebbe Sostrato di Cnido, che viene ricordato in un’iscrizione e che sarebbe stato il finanziatore dell’opera o l’architetto. In base a quanto è stato possibile ricostruire, partendo dallo studio delle fonti letterarie, il Faro era dotato di specchi di bronzo lucidato che potevano riflettere la luce del sole a lunghe distanze per le segnalazioni diurne, mentre di notte si ricorreva all’uso di fuochi. Non abbiamo, purtroppo, delle descrizioni che ne illustrino il funzionamento, probabilmente per la riservatezza che si dava a strutture che avevano una notevole importanza nella difesa della città. Possiamo solo ipotizzare che il funzionamento del Faro fosse legato alle conoscenze matematiche note negli ambienti scientifici alessandrini.

Secoli di distruzioni, in particolare i terremoti del 1303 e del 1323, hanno cancellato ogni traccia del grande porto di Alessandria. Nel 1326, il viaggiatore arabo Ibn Battuta descrisse quanto rimaneva del Faro in questo modo: «Durante quel viaggio andai a vedere il faro: uno dei lati era caduto in rovina, ma lo descriverei comunque come un edificio quadrato che si staglia nel cielo. La porta è in alto rispetto al terreno e di fronte, alla stessa altezza, c’è un edificio: fra questo e la porta vengono messe delle assi di legno a mo’ di passerella e quando le tolgono non vi è più modo di entrare. Dentro la porta c’è una nicchia dove il guardiano può starsene seduto e all’interno si aprono diversi locali. Il passaggio di entrata misura 9 spanne, il muro 10 e ognuno dei quattro lati, 140. Sorge su un’alta collina a una parasanga da Alessandria, al termine di una lunga striscia di terra che ospita il cimitero, circondata per tre lati dal mare – il quale giunge sino alle mura della città, sicché solo partendo da Alessandria si può arrivare al faro via terra. Quando feci ritorno nel Maghreb, nel 750 (1349), andai a rivederlo e lo trovai in un tale stato di rovina che non si riusciva più non solo a entrare ma nemmeno a raggiungere la porta.» Nel 1968, le ricerche archeologiche subacquee dirette da Honor Frost, finanziate dall’UNESCO, portarono alla scoperta dei resti della struttura del Faro. Solo nel 1994 le ricerche condotte da una missione di archeologi francesi, guidata da Jean-Yves Empereur, portarono alla scoperta di grandi blocchi di granito, sfingi, obelischi, colonne con incisioni risalenti al regno di Ramses II (XIII secolo a.C.) e una statua colossale di Tolomeo II.

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di Giancarlo Germanà – archeologo

Immagine in copertina: Veduta del porto di Alessandria in una stampa J. Roux, Livorno 1764

 

 

 

 

 

Autore

  • Archeologo, docente ordinario di Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Palermo, si è laureato in Lettere Classiche e si è specializzato in Archeologia Classica con una tesi sulle ceramiche attiche a Creta, Cipro e nel Vicino Oriente. Ha seguito vari scavi archeologici in Sicilia, a Roma e a Cipro. Nel 2013 ha ricevuto il Premio “Leo Longanesi” per la sua attività di ricerca nell’ambito dei beni archeologici. È docente ordinario di Storia dell’arte antica e medievale e ha insegnato pres...

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