Prendiamo in esame un bel dipinto raffigurante San Giuseppe con il Bambino della bottega di Guido Reni (1575-1642), conservato nella Basilica di San Giovanni e Paolo a Venezia, in corrispondenza dell’altare di sinistra. La pala seicentesca dai colori smaglianti, inserita in un’edicola cinquecentesca sormontata da un elegante timpano curvilineo, le cui linee ondulate convergono al centro in un vasetto di stile classico, e con inserti di marmo nero venato di bianco, è stata eseguita dalla bottega di Guido Reni, pittore bolognese tra i maggiori del ‘600: trattasi di una copia di un originale reniano eseguito su un supporto in seta probabilmente nel 1630 e conservato attualmente presso l’Arcivescovado di Milano.
La copia veneziana presente a S. Giovanni e Paolo ricalca fedelmente il prototipo milanese tranne che in alcuni dettagli tutt’altro che marginali e trascurabili: se nel dipinto originale eseguito dal Reni nella sua piena maturità artistica sono presenti le tipiche pennellate filamentose in corrispondenza del volto di San Giuseppe nonché il tipico incarnato dorato dei personaggi, nella copia veneziana, ben fatta ma a mio avviso eseguita in maniera meccanica e fredda, è presente una campitura maggiormente piatta sui volti dei personaggi sacri di cui le stoffe e i panneggi delle vesti, dai colori sgargianti e raffinati, mostrano una resa materica più semplificata e senza un particolare risalto chiaroscurale.
Guido Reni è stato un grande artista bolognese, attivo prevalentemente a Bologna, Roma e a Napoli nella prima metà del Seicento, il cui stile si arricchì di stimoli diversi provenienti, da un lato, dalla dolcezza e dall’equilibrio formale espressi dai dipinti di Raffaello Sanzio, dall’altro, dal chiaroscuro fortemente drammatico, memore della pittura caravaggesca. Tuttavia, nonostante il calo di popolarità che il pittore sortì dopo il grande successo riscosso dalle mostre dedicate al Caravaggio a partire dagli anni ’50 del ‘900, egli elaborò uno stile assolutamente originale permeato di una bellezza ideale che preannuncia il Neoclassicismo. Il Reni visse a Roma, anche se con frequenti interruzioni, dal 1601 al 1614, e vi ritornò per brevi periodi nel 1621 e nel 1627: venne inviato nella città eterna dal cardinale Paolo Sfrondato per eseguire una serie di dipinti nella chiesa di S. Cecilia della quale il cardinale era il titolare. Proverbiale fu la rivalità che il pittore bolognese ebbe con il Caravaggio agli inizi del ‘600. Quest’ultimo accusò il Reni di rubargli lo stile e il colore. Al 1614 risale l’Aurora, affresco realizzato per il Casino Pallavicini Rospigliosi su commissione di Scipione Borghese (1577-1633).
A proposito dell’eco che l’arte di Guido Reni produsse in Veneto, non si può fare a meno di citare il pittore Michele Desubleo (1601-1676), tra i maggiori collaboratori del Reni, detto anche il Fiammingo, il quale lavorò molto a lungo a Venezia e di cui si conserva una bellissima pala d’altare a S. Zaccaria raffigurante Cristo nell’orto. Il Desubleo, che era il fratellastro del grande pittore caravaggesco Nicolas Regnier (1591-1667), fonde lo stile di Guido Reni con le suggestioni fortemente drammatiche dei tenebrosi veneziani della fine del ‘600, influenzati dal Caravaggio, tra i quali sono degni di nota soprattutto il Langetti ed il Loth.
di Francesco Caracciolo – storico dell’arte