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Il Teatro Massimo di Palermo

A Palermo, piazza Giuseppe Verdi fa da sagrato al tempio della musica più grande d’Italia: il Teatro Massimo. Intitolato a Vittorio Emanuele, è il terzo d’Europa per grandezza dopo l’Opéra di Parigi e la Stataatsoper di Vienna. Con i suoi 7730 metri quadrati domina la scena della città ed è, come il Colosseo per Roma e il Duomo per Milano, il simbolo di Palermo.

Fu fortemente voluto dal sindaco Antonio Starrabba, marchese di Rudinì, per il quale bandì un concorso aperto ad architetti italiani e stranieri “per provvedere alla mancanza di un teatro che stesse in rapporto alla cresciuta civiltà ed ai bisogni della popolazione”. Si impose il progetto dell’architetto palermitano Giovan Battista Filippo Basile il quale fece riattivare le cave di tufo di Solanto e Aspra e tenne personalmente corsi di taglio della pietra allo scopo di riformare gli antichi scalpellini, ormai scomparsi, e dare maestosità e magnificenza all’edificio. Morto prematuramente, continuò la sua opera il figlio Ernesto che aggiungendo alle linee neoclassiche della struttura la leggerezza e la sinuosità della neonata Art Nouveau, in diffusione in tutta Europa e della quale fu uno dei maggiori esponenti, riuscì a conferire al teatro l’unicità ed il grande fascino che ancora oggi possiede.

Eretto al confine delle vetuste mura, in un’area posta tra l’antico nucleo della città e la nuova espansione settentrionale, sancisce continuità storica tra le due zone. Maestoso e monumentale per dare prestigio alla città, con funzione di fulcro della vita sociale degli illustri cittadini, è tempio indiscusso della lirica e della musica. Un’imponente scalinata, affiancata da due grandi leoni bronzei cavalcati dalle allegorie della lirica e della tragedia, opera degli scultori Mario Rutelli e Benedetto Civiletti, conduce ad un pronao di sei colonne con capitelli corinzi sovrastato da un timpano triangolare scolpito, delineato alle estremità da due suggestive maschere tragiche. Sull’architrave d’ingresso la scritta: “L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire” il cui autore rimane ancora un mistero fitto che giunge al finale pirandelliano tanto comune a questa terra: “uno, nessuno e centomila”.

La struttura architettonica, molto armoniosa e articolata, con parti rientranti e semicilindri uscenti, si sviluppa attorno ad un asse centrale. I corpi si ripetono simmetricamente e gli spazi tra le semicolonne sono riempiti da ampie finestre ad arco. Sui tetti, dalle altezze diverse, si erge una grande cupola coperta da squame in bronzo sulla cui sommità svetta un imponente vaso in stile corinzio.

All’interno dopo il foyer, locale dalle calde tinte autunnali che accoglie gli spettatori per condurli attraverso scale laterali al secondo ordine di palchi, è la stanza degli specchi così detta per la presenza di otto grandi specchi alle pareti. Minuziosamente decorata ed illuminata con applique a delicati bouquet di fiori, dà accesso lateralmente alle scale interne che conducono ai palchi superiori e proseguendo alla sala grande.

A forma di ferro di cavallo, sbalordisce per dimensioni e magnificenza essa contiene 3000 posti tra platea, palchi e loggione. Progettata per garantire massima visibilità e acustica perfetta, in questa sala si respira Art Nouveau, opera dell’architetto Ernesto Basile affiancato dallo straordinario produttore di arredi Vittorio Ducrot e da diversi eccellenti artisti dell’epoca. Le raffinate tappezzerie in velluto rosso e le boiserie intarsiate in legno di castagno si propagano riflettendosi nei grandi specchi decorati in foglia oro, al contempo decorazioni in stucco raffiguranti ghirlande con agrumi e maschere, incorniciano le porte d’accesso ai lunghi corridoi circolari che conducono ai cinque ordini di trentuno palchi ciascuno ed al loggione. Al centro del secondo ordine campeggia il palco reale. Realizzato per accogliere il re d’Italia Umberto I di Savoia, contiene 27 posti tra divani e poltrone in elegante broccato rosso, le pareti sono rivestite in pregiatissimo mogano e al centro spicca uno splendido lampadario di Murano.

L’antisala è un’estensione del palco reale dove il mogano e i broccati dominano. Composta da quatto piccoli ed eleganti salotti, altrettante colonne sormontate da capitelli ionici dividono gli ambienti. Particolarissimo il soffitto che si presenta a cassettoni all’interno di ognuno dei quali è rappresentata l’allegoria della primavera, opera del pittore Ettore De Maria Bergler.  L’esterno del palco, creazione dello scultore ed intagliatore Salvatore Valenti, è di grande effetto scenico: con stemma reale centrale è incorniciato da panneggi, aquile e raffinatissimi decori in legno e stucco rivestiti in oro zecchino, ai lati due leggiadre figure femminili reggono ognuna un maestoso candelabro.

Sulla platea è disposta una copertura costituita da una grande ruota dai raggi dorati, che contrasta con lo sfondo azzurro, ideata e dipinta dal pittore e scenografo Rocco Lentini. È il famosissimo soffitto mobile che, illuminato da una miriade di piccole lampadine, mediante un meccanismo di funi e carrucole, solleva verso l’alto undici pannelli trapezoidali, i “petali”, per una naturale ventilazione della sala. I petali in tela, dipinti con figure femminili, puttini e strumenti musicali, opera dei pittori Luigi Di Giovanni, Michele Cortegiani ed Ettore De Maria Bergler autore anche del tondo centrale dove spicca l’allegoria del Trionfo delle Musica, incantano per la splendida sensazione di fresca primavera che emanano.

Un immenso sipario (12×14 metri) capolavoro del pittore Giuseppe Sciuti, dispiega una scena di grande respiro: Ruggero II con il suo corteo da Palazzo Reale si avvia verso la Cattedrale per l’incoronazione avvenuta a Palermo nel 1130. Qui è lampante una coesione strettamente voluta dall’artista con equilibri classici tra spazi, pieni e ombre per il trionfo della luce. Ampie scalinate conducono nelle stanze laterali dell’edificio che sono le due strutture semicircolari sporgenti all’esterno. Quella a mezzogiorno, la Sala Pompeiana attribuita ad Ettore De Maria Bergler, è un trionfo di colori e sfrenata fantasia. A pianta circolare la progettualità segue un ordine in cui il numero sette, simbolo di perfezione, e i suoi multipli sono determinanti: quattordici sono le porte che si aprono sulla sala tra le quali decori di candelieri circondati da viticci confluiscono ciascuno in una delicatissima applique con lampade a corolla, su ogni apertura un soprapporta con chimera. In successione una fascia con putti e strumenti musicali su fondo azzurro. A seguire, stucchi avorio su fondo rosso pompeiano di festoni e bucrani, opera dello scultore Salvatore Valenti, arricchisce la decorazione. Seguono ventotto medaglioni raffiguranti teste maschili e femminili intervallati da coloratissimi putti ed uccelli su fondo oro. Quindi una fascia su fondo avorio con baccanti che danzano. Sulla sommità quattordici spicchi dorati accolgono altrettanti medaglioni ottagonali dove sono raffigurate figure allegoriche e grottesche intervallate da strumenti musicali e putti. Conclude la cupola un eptagramma culminante con un lucernario composto da sette spicchi. Celebre per l’incredibile acustica, voluta dal Basile, i suoni della stanza vengono sempre più amplificati man mano ci si dirige verso il centro di essa, mentre all’esterno risulta insonorizzata.

Nella struttura opposta vi è la Sala ONU, così intitolata perché sede nel 2000 della Conferenza Mondiale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sulla criminalità organizzata. È la più grande sala accessoria del teatro, accoglie fino a 1300 persone. A pianta circolare è elegantemente adornata da quattordici colonne con capitelli corinzi in legno di ciliegio come il loggiato che reggono, questo divide in due ordini la sala arricchita ad intervalli regolari da porte, il tutto sovrastato da uno splendido soffitto a vetrate.

L’imponente intervento artistico che investe ogni particolare dell’edificio, offre una narrazione senza soluzione di continuità, conducendo dalle grandi pitture parietali, ai gruppi scultorei e ai più piccoli particolari architettonici e di arredo, esaltando così, con il contributo dei maggiori artisti attivi in quel periodo sia nell’isola che in tutto il territorio nazionale, la capacità comunicativa che la composizione possiede per i suoi valori simbolici. Il Teatro Massimo Vittorio Emanuele di Palermo aprì le porte al pubblico la sera del 16 maggio 1897, con la prima del Falstaff di Verdi diretto da Leopoldo Mugnone, a ventidue anni dalla solenne cerimonia della posa della prima pietra. Dopo un lunghissimo periodo di chiusura, iniziato nel 1974 dovuto a interminabili lavori di restauro, nel 1997 il Teatro riprese finalmente il suo posto nell’Olimpo della lirica europea e ancora oggi rappresenta una grande attrazione, nonché un importantissimo polo culturale internazionale.

Testo e illustrazioni di Catia Sardella

 

Autore

  • Donna dalla forte personalità, cultrice della perfezione estetica anche nella vita quotidiana, vive una metamorfosi durante l'ispirazione artistica, cogliendo quell’attimo d’intuizione che con profonda emozione trasferisce nelle sue creazioni. Le sue opere sono il frutto della sinergia di passione, ispirazione e tecnica. La tecnica, acquisita durante i suoi studi accademici per le formative esperienze maturate nel corso di pittura, l’ha plasmata. La passione per i colori caldi, accesi e decisi...

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