Iuravit in mea verba tota Italia sponte sua [trad.: Tutta l’Italia di sua iniziativa ha prestato giuramento nelle mie parole]. Con queste parole, nelle Res Gestae, resoconto delle sue imprese, Ottaviano Augusto riporta con fierezza la volontà dei suoi cittadini di combattere insieme a lui la guerra civile che lo vedeva contro Marco Antonio e Cleopatra.
Questa battaglia – combattuta nel golfo davanti ad Azio nel 31 a.C. – era solo l’ultima di un lungo processo di unificazione iniziato addirittura nel 509 a.C., quando, dopo numerosi scontri, dall’età monarchica si passò alla res publica. Le parole di Augusto, tuttavia, vanno più a fondo e sanciscono l’esistenza di una nuova entità autonoma e indipendente: l’Italia. Primo imperatore di Roma, egli, infatti, fu in grado di riorganizzare e unificare il territorio che ancora oggi chiamiamo Italia, non solo dal punto di vista politico, sociale e amministrativo, ma anche (e soprattutto) da quello culturale, religioso e linguistico. Augusto divise l’Italia in 11 regioni amministrative, alle quali diede il vantaggio di godere di benefici come l’esenzione fiscale, che permetteva la produzione di prodotti agricoli a prezzi molto più bassi di tutti gli altri territori.
Le 11 regioni amministrative dell’Italia in età augustea (Atlante storico di William R. Stepherd, edizione 1911)
Prima dell’unificazione esisteva una grande varietà di lingue, che si differenziavano non solo per le parole ma anche per la sintassi, la grammatica e lo stesso alfabeto. L’etrusco, l’osco, l’umbro, le lingue celtiche e quelle latino-falische (solo per citarne alcune), si indebolirono progressivamente man mano che il latino prendeva il sopravvento durante quella che comunemente viene chiamata “romanizzazione”. Questi idiomi, tuttavia, rimasero a lungo nell’uso quotidiano dei popoli assorbiti nella nuova organizzazione statale unificata di Roma e ne rimangono testimonianze nei testi scritti, alcuni dei quali giunti fortunatamente sino a noi. Non solo le lingue erano molto diverse tra di loro, ma anche le religioni: le divinità, i luoghi, le modalità di venerazione e le pratiche votive, infatti, avevano enormi differenze. L’unificazione dell’Italia non portò necessariamente la fine dei culti precedenti ma vide delle modifiche sostanziali. Alcune delle divinità locali furono “assorbite” dagli dei romani: si pensi, ad esempio, a Reitia, sostituita da Minerva, o a Veiove, una divinità forse etrusca – non ne è ancora certa l’origine – strettamente connessa a Giove.
Ma prima di questa “storia”, in cui abbiamo visto i processi che hanno portato all’unificazione, c’è un’altra storia: da dove viene il nome Italia? Prima di tutto bisogna considerare ciò che i Greci intendevano con questo nome: per “Italia”, infatti, inizialmente si intendeva solo una particolare zona della Calabria centro-meridionale, quella cioè verso la punta dello stivale, e poche altre località (Medma, Locri, Caulonia, Crotalla, e, secondo Erodoto, anche Taranto, Metaponto, Siri e Sibari). Antioco di Siracusa tramanda che il primo popolo a essere chiamato “italico” erano gli Enotri, e che il loro territorio si chiamava Italia dal loro re Italo; questa gente avrebbe poi man mano conquistato molte altre città e da qui sarebbe anche stato esteso il nome. Aristotele conferma questa teoria dicendo che “Italo divenne re dell’Enotria e dopo di lui gli Enotri cambiarono il loro nome in Itali, e prese il nome di Italia tutto il promontorio d’Europa che si estende a Sud della linea che congiunge il golfo Scilletico a quello Lametico”.
«L’intiera terra fra i due golfi di mari, il Nepetinico [S. Eufemia] e lo Scilletinico [Squillace], fu ridotta sotto il potere di un uomo buono e saggio, che convinse i vicini, gli uni con le parole, gli altri con la forza. Questo uomo si chiamò Italo che denominò per primo questa terra Italia. E quando Italo si fu impadronito di questa terra dell’istmo [di Catanzaro], ed aveva molte genti che gli erano sottomesse, subito pretese anche i territori confinanti e pose sotto la sua dominazione molte città». (Antioco di Siracusa, V sec. a.C.)
«E sembra essere pure d’antica data l’istituzione dei comuni banchetti, che in Creta ebbero principio regnando Minosse; ma molto più antico ne è il costume in Italia. Intorno alla quale dicono gli eruditi nella storia dei suoi primi abitatori, che un certo Italo divenne re dell’Enotria; onde ne seguì che gli Enotri, cangiato nome, indi innanzi si chiamarono Itali, e che tutta quella costa d’Europa prese nome d’Italia, la quale si stende dal golfo scilletico al lametico; che sono due punti a mezza giornata di cammino l’uno dall’altro» (Aristotele, IV sec. a.C.)
Un’altra leggenda, tramandata da Ellanico, riporta invece che mentre Eracle attraversava l’Italia per portare il gregge di Gerione in Grecia, perse uno degli animali e, nel cercarlo, apprese che nella lingua del luogo era chiamato “vitulus”; per questo, egli, chiamò tutta la regione “Ούιταλίαν: Ouitalian”. La perdita della “v” iniziale si deve, probabilmente, al passaggio di questa parola dai popoli della Magna Grecia ai romani. Da altri autori sappiamo che alla fine del IV secolo a.C. il nome “Italia” già era utilizzato per indicare anche la Campania e poco dopo, man mano che la dominazione romana si estendeva, l’Italia andava dalla Toscana allo stretto di Messina. A metà del II secolo a.C. Catone scriveva che “le Alpi proteggevano l’Italia come un muro”, frase che lascerebbe intendere come già a quest’epoca il Settentrione fosse in qualche modo considerato “Italia”. Nello stesso secolo Polibio descrive l’Italia con una forma triangolare, includendo quindi anche la parte alpina. Nel corso dei secoli, dunque, il termine è passato dal designare una piccola area dell’attuale Calabria a indicare una nazione, quella che Augusto, anche con tante diverse culture, è poi riuscito a unificare: la radice comune che ancora oggi ci lega da nord a sud e dall’entroterra alle isole.
«Col volger degli anni fu detta Italia per un uomo potentissimo, Italo nominato. […] uomo destro e filosofo, il quale convincendo molti popoli col dire e molti colla forza, ridusse in poter suo quanto v’è tra ‘l golfo Nepetinico e lo Scilletinico: e quel tratto fu il primo che Italia da Italo si dicesse. […] divenuto più forte, fece che molti altri gli ubbidissero; perocché mise il cuore su’ confinanti, e ne prese molte città» (Dionigi di Alicarnasso, I sec. a.C.)
La nostra nazione, dunque, non nasce 160 anni fa ma molti secoli prima, grazie proprio all’unità e alla memoria comune che abbiamo sin dall’epoca di Augusto. L’Italia aveva nel suo centro Roma, una città grandissima e piena di meraviglie provenienti da ogni parte del mondo conosciuto, abitata da genti di ogni razza e colore e non era certo destinata a fermarsi: le esplorazioni oceaniche, sulla scia di quanto fatto dai Cartaginesi, dai Fenici e forse anche dagli Etruschi, avevano condotto i cittadini romani anche in quella parte di mondo sconosciuto. L’Urbs (e l’Italia) erano veramente diventati Orbis.
“Est locus, Hesperiam Grai cognomine dicunt, terra antiqua, potens armis atque ubere glaebae; Oenotri coluere viri; nunc fama minores Italiam dixisse ducis de nomine gentem. Hae nobis propriae sedes”: Esiste un luogo, i Grai lo chiamano con il nome di Esperia, terra antica, potente per armi e ricchezza della terra; gli uomini enotri la abitarono; ora è fama che i discendenti abbiano chiamato Italia il popolo dal nome del capo. Questa è la terra destinata a noi” (Virgilio, Eneide, libro III, versi 163-167).
di Maria Grazia Cinti – archeologa
Le fotografie della mostra “Tota Italia. Alle origini di una nazione” (Scuderie del Quirinale, Roma, 14 maggio-25 luglio 2021) sono di Maria Grazia Cinti