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La caduta del muro di Berlino

La sera del 9 novembre 1989 migliaia di berlinesi esultanti cominciarono a picconare quel muro che per ben ventotto anni aveva separato la città di Berlino diventando il simbolo fisico e percettibile della divisione del mondo in due zone: quella comunista sovietica e quella liberal-democratica.

picconate sul muro di berlino

Il trascorrere del tempo ha modificato certamente la comprensione di ciò che quel muro ha rappresentato per molte generazioni, vissute sotto la paura e la minaccia di un olocausto nucleare che incombeva a causa della divisione ideologica ed economica. Oggi è ancor di più necessario ricordare le ragioni di quel muro al centro di una Europa divisa e distrutta da una guerra fratricida, per comprendere meglio l’importanza di vivere in una Europa delle Nazioni, unita nei valori della libertà e della pace. L’artificiale divisione dell’Europa in sfere di influenza, alla fine della Seconda guerra mondiale, comportò la spartizione del territorio tedesco, come previsto nella Conferenza di Yalta, e, con i successivi accordi di Postdam, la divisione della Città di Berlino in una zona Est controllata dall’Unione Sovietica e una zona Ovest assegnata ad americani, britannici e francesi. Calava così quella che Winston Churchill definì una “cortina di ferro”.  

Conferenza di Yalta, febbraio 1945. Winston S. Churchill ,Franklin D. Roosevelt, Josef Stalin
Conferenza di Yalta, febbraio 1945. Winston S. Churchill ,Franklin D. Roosevelt, Josef Stalin

Iniziarono così per i berlinesi anni tragici in cui la parte occidentale della città, grazie alla dottrina Truman e agli aiuti economici del Piano Marshall, iniziava una ricostruzione basata sulla libertà ed il benessere mentre la parte orientale si chiudeva sempre più verso un sistema di stampo sovietico. La situazione si modificò ulteriormente con la nascita della Repubblica Federale Tedesca prima e della Repubblica Democratica Tedesca dopo. Berlino Ovest si ritrovò circondata territorialmente dalla Germania Est diventando la meta agognata per tutte quelle persone che non volevano vivere in una società orwelliana controllata in tutte le sue attività.  Iniziò così una inarrestabile fuga di massa di popolazione dalla parte orientale verso Berlino ovest, agevolata dalla mancanza di un confine fisico tra le due parti, soprattutto dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria. È per fermare questa fuga di massa  che Krusciov  autorizzò l’operazione Rose che ebbe inizio all’una di notte del 13 agosto 1961, quando vennero stesi 43 chilometri di reticolato e 116 posti di vedetta e più di 7300 cubi di cemento che di fatto resero impossibile raggiungere il versante occidentale della città.

Carri armati sovietici e statunitensi si fronteggiano al Checkpoint Charlie, durante la crisi di Berlino del 1961
Carri armati sovietici e statunitensi si fronteggiano al Checkpoint Charlie, durante la crisi di Berlino del 1961

Quando, qualche anno più tardi, nel 1963, il presidente statunitense Kennedy si recò in visita a  Berlino, sintetizzò in maniera ineccepibile la situazione venutasi a creare: «Noi non abbiamo mai dovuto costruire un muro per tenere dentro il nostro popolo, per impedirgli di andarsene». Ci sono voluti decenni per l’abbattimento di quel muro, anni in cui la vita quotidiana di una città venne modellata attorno a un confine artificiale che divideva interi nuclei familiari, quartieri, cimiteri e centinaia di uomini, donne e bambini furono falciati lungo il muro. Un muro che, con la sua insensata natura, suggestionò anche il mondo dell’arte entrando in film, reportage fotografici, libri e canzoni.

 

Con l’arrivo sulla scena politica internazionale di uomini animati dal desiderio di concludere un’epoca di conflitti mondiali, iniziò una fase di distensione tra il blocco sovietico e il blocco occidentale, durante la quale statisti come Margaret Thatcher, Ronald Reagan, Helmut Kohl, George H.W Bush, per ricordarne solo alcuni, ciascuno con una propria strategia e visione di politica estera, riuscirono a dialogare con Mikhail Gorbaciov che, con la sua perestroika, voleva essere portatore di una nuova visione politica all’interno del blocco sovietico. Naturalmente tante furono le cause della caduta del Muro di Berlino: dalla crisi economica che colpì l’Unione Sovietica al fallimento dell’invasione dell’Afghanistan negli anni Ottanta, al divario tecnologico tra i due blocchi, ma soprattutto la presa di coscienza di molti, nel blocco orientale, della necessità di opporre una nuova resistenza contro il potere liberticida che da anni controllava le loro vite.

Piastra a memoria del muro di Berlino

Sicuro artefice di questa rivoluzione delle coscienze fu papa Giovanni Paolo II, il Papa venuto dall’Est e proprio per questo ben consapevole d cosa significasse vivere in un paese sotto il totale controllo del comunismo sovietico. La sua azione, iniziata in Polonia con il sostegno dato a Lech Walesa e a Solidarnosc, continuata con le sue Encicliche ed i suoi innumerevoli viaggi apostolici, ha pian piano costruito la visione di una società che al centro ha la persona e non le ideologie né le visioni economiche, instillando la consapevolezza che nessun muro può resistere quando al centro di tutto vi è l’uomo, libero nelle sue prerogative esistenziali.

Il muro di Berlino, oggi, visto dall’alto:  fortunatamente è solo una bellissima scia luminosa
Trabant che sfonda il muro di berlino
“Test the best” dell’artista Birgit Kinder è uno dei murales più iconici realizzati dopo l’abbattimento del muro di Berlino. Rappresenta una Trabant, automobile simbolo dell’ex Germania Est, nell’atto di sfondare il muro e giungere ad Ovest. Ma si tratta di uno sfondamento senza violenza che indica, anzi, l’unione ritrovata e la pace.

di Salvatore Scalise – politologo

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