La Casa di Anna Frank al 263 di Prinsengracht è un luogo imperdibile di Amsterdam. Qui Anne ha vissuto nascosta con la sua famiglia dal 6 luglio 1942 al 4 agosto 1944. Camminando lungo questa via, a qualunque ora del giorno, si scorge una lunghissima fila di persone in attesa di poter visitare la casa, un museo con una storia.
Anna proviene da una famiglia di ebrei tedeschi residenti a Francoforte che, con l’avvento dal nazismo, nel 1934, scappano ad Amsterdam vivendo serenamente fino al giugno 1940, quando la Germania conquista i Paesi Bassi. La vita per gli ebrei diventa insostenibile e così la famiglia Frank, con l’aiuto della segretaria di Otto Frank, Miep Gies, si rifugia in un appartamento nascosto, creato al di sopra del magazzino e degli uffici delle due aziende dei Frank, la Opekta e la Pectacon, che producono addensanti alimentari e spezie. Le spezie devono rimanere al buio, così le finestre sono dipinte: con questo escamotage si rende invisibile l’alloggio segreto. Oltre alla famiglia Frank, composta da Anne, i suoi genitori Edith e Otto e la sorella Margot, si nasconde anche la famiglia van Pels e Fritz Pfeffer. Gli otto clandestini sopravvivono grazie all’aiuto degli impiegati dell’azienda Miep Gies, Johannes Kleiman, Victor Kugler e Bep Voskuijl che acquistano per loro il cibo al mercato nero; i magazzinieri invece non sanno della presenza dell’alloggio segreto. Nel luglio 1942 quando la famiglia Frank si nasconde, oltre 20.000 campi di concentramento sono in fase di costruzione.
Si accede all’alloggio segreto o achterhuis (casa sul retro) attraverso una libreria girevole realizzata con lo scopo di celare l’ingresso, le finestre che danno sul canale sono coperte di carta incollata ai vetri. Passare attraverso la libreria girevole vale il viaggio ad Amsterdam, ripercorrere i passi di quella straordinaria scrittrice che era Anne è davvero emozionante. Una volta all’interno dell’alloggio si comprende quanto le condizioni siano state dure per i clandestini: trascorrere ogni giornata in silenzio, evitando di usare la toilette e far scorrere l’acqua, convivere a stretto contatto in spazi angusti, poco areati, senza mai vedere la luce del sole.
Allard Bovenberg ©Anne Frank Huis
Le giornate trascorrono tra litigi, difficoltà, studio e lettura. Con l’inasprimento della guerra, la penuria di cibo diventa il problema maggiore. Anne si innamora di Peter, il figlio dei van Pels, ma successivamente i suoi sentimenti mutano e si allontana da lui. In clandestinità Anne scrive il suo diario, con la copertina a quadretti rossi, che le era stato regalato per il suo tredicesimo compleanno. Quando il diario è pieno continua a scrivere su dei quaderni e, dal 20 maggio 1944, riscrive il diario su fogli liberi dimostrando di essere una scrittrice e regalando al mondo una testimonianza straordinaria. Il Diario di Anne Frank è il diario per eccellenza, uno dei libri più letti al mondo.
La motivazione iniziale che la porta a scrivere è il discorso alla radio del Ministro dell’Educazione olandese in esilio con cui si invitano gli olandesi a scrivere le testimonianze delle sofferenze subite durante l’occupazione nazista: le migliori saranno pubblicate a guerra finita. La notizia dello sbarco in Normandia, il 6 giugno 1944, fa ben sperare i clandestini, ma una soffiata alla Sicherheitsdienst, il servizio segreto nazista, porta all’arresto di tutti gli inquilini il 4 agosto 1944. La cattura viene effettuata da poliziotti olandesi e un solo nazista. Nell’Europa invasa da Hitler la gente collaborava con i conquistatori e l’Olanda non faceva eccezione. Il 3 settembre vengono tutti deportati nel campo di stermino di Auschwitz-Birkenau. Moriranno nei campi: Anne, Margot ed Edith Frank; Peter, Auguste ed Hermann van Pels; Fritz Pfeffer. Otto Frank è l’unico sopravvissuto. Torna ad Amsterdam il 3 giugno 1945, sa della morte della moglie, ma spera di trovare ancora in vita le figlie, morte entrambe a Bergen-Belsen di tifo, nel marzo 1945 pochi giorni prima della liberazione.
Dopo la guerra sono state condotte molto inchieste al fine di trovare i delatori dei clandestini, ma non è mai stato trovato il traditore. Nel gennaio 2022 una nuova inchiesta ha attirato nuovamente l’interesse mondiale: secondo un gruppo di ricercatori capitanati da un ex agente Fbi, sarebbe stato il notaio ebreo Arnold van de Bergh ad aver rivelato il nascondiglio ai nazisti in cambio della sua salvezza. Tuttavia in Olanda numerosi esperti sono cauti e hanno bollato questa notizia come “una delle tante teorie” emerse nel corso degli anni.
Il diario di Anne è stato salvato dall’oblio dai benefattori Bep Voskuijl e Miep Gies che, dopo l’arresto dei loro protetti e lo sgombero dell’alloggio, trovano in un nascondiglio le carte che compongono il prezioso scritto. Miep Gies le conserva gelosamente senza mai leggerle e, solo dopo aver appreso della morte di Anne, le consegna a Otto. Questi, superate le esitazioni iniziali, decide di pubblicare il diario, dedicando il resto della sua vita alla lotta contro le discriminazioni. Fino alla sua morte, nel 1980, risponde personalmente alla migliaia di lettere dei lettori del diario. Nel 1960 il nascondiglio viene trasformato in museo e per volontà di Otto Frank l’appartamento è completamente spoglio: dopo l’arresto dei clandestini i locali erano stati sgomberati per ordine dei nazisti. L’alloggio segreto privo di mobili e suppellettili è il simbolo del vuoto lasciato da milioni di persone deportate che non sono tornate mai più. Le stanze sono state arredate temporaneamente, nel 1999, per un servizio fotografico a cura di Allard Bovenberg (di cui vi proponiamo alcuni scatti).
Il più grande sogno di Anne era diventare una scrittrice famosa – “Voglio continuare a vivere anche dopo la mia morte!” – e il suo desiderio si è avverato: il diario è uno dei libri più letti al mondo con oltre trenta milioni di copie vendute, tradotto in oltre sessanta lingue. Anne è diventata il volto della speranza trionfando sulla morte con le sue parole. La sua storia e quella del suo diario gettano luce sulla morte di oltre un milione e mezzo di bambini: la perdita della vita umana significa perdita di possibilità perché non sapremo mai quali straordinari talenti siano stati uccisi dal nazismo.
Amsterdam e gli Ebrei
Gli ebrei hanno svolto, nei secoli, un ruolo centrale nella crescita di Amsterdam. I primi documenti che ne testimoniano la loro presenza in città risalgono al XII secolo, ma la prima vera comunità vi si insedia a partire dal 1580, quando gli ebrei sefarditi spagnoli e portoghesi furono espulsi da questi due paesi trovando rifugio ad Amsterdam nella zona di Nieuwmarkt che poi divenne il quartiere ebraico. Ad Amsterdam le gilde monopoliste, che riunivano i lavoratori in categorie, vietarono l’accesso agli ebrei, ma i sefarditi furono molto abili e aprirono attività che non richiedevano di appartenere a delle corporazioni come il commercio di tabacco, di diamanti, la finanza, la stampa. Inoltre Amsterdam era la più liberale delle capitali europee, gli ebrei non erano confinati in un ghetto e potevano muoversi liberamente e acquistare proprietà. Durante il Secolo d’Oro olandese (XVII secolo) una nuova ondata di ebrei ashkenaziti giunse in città in fuga dai pogrom dell’Europa orientale. Amsterdam divenne il maggior centro ebraico europeo. I precedenti divieti furono aboliti e gli ebrei poterono prosperare contribuendo, con il loro lavoro, al successo della capitale olandese fino al XIX secolo. Quello che accadde nel Novecento è storia drammaticamente nota: ad Amsterdam vivevano oltre novantamila ebrei su centoquarantamila presenti nell’intero paese. I Paesi Bassi furono invasi dalla Germania nel maggio 1940. Dopo la fine della guerra gli ebrei sopravvissuti erano appena cinquemilacinquecento.
La sinagoga portoghese israelita – Esnoga in portoghese significa appunto sinagoga – fu costruita nel 1675 ed era il tempio ebraico più grande d’Europa. L’architetto che l’ha progettata, Elias Bouman, si era ispirato al Tempio di Salomone a Gerusalemme, tuttavia l’influenza olandese è evidente. La sinagoga è orientata in direzione della Città Santa. Le settantadue finestre la illuminano durante il giorno, l’unica luce artificiale era prodotta dai candelabri in ottone con circa mille candele. Esnoga oggi come allora non dispone di alcun tipo di impianto di illuminazione e di riscaldamento. Inoltre è una delle cinque sinagoghe al mondo ad avere un pavimento in sabbia, sotto le assi di legno, per assorbire rumori ed umidità. Al piano inferiore si trova Ets Haim, la più antica biblioteca ebraica al mondo, inclusa nel Registro della Memoria del Mondo dell’Unesco. La sinagoga, restaurata dopo la fine della seconda guerra mondiale, è la più antica di Amsterdam ed ancora in uso.
Joods Historisch Museum
Lo Joods Historisch Museum è una testimonianza preziosa della storia degli ebrei olandesi. Uno dei più importanti musei ebraici fuori da Israele. Si trova all’interno del complesso di quattro sinagoghe aschkenazite del XVII secolo. Il Museo fu inaugurato nel 1932, la collezione iniziale era modesta, ma si andò ampliando nel giro di pochi anni. Nel 1940 durante l’occupazione nazista dei Paesi Bassi, sia il museo che il complesso di sinagoghe fu prima depredato dai tedeschi ed infine chiuso. Nel 1955 il Joods Historisch Museum venne riaperto, ma solo nel 1987, dopo un importante restauro volto a collegare, attraverso passaggi pedonali in vetro e metallo, le quattro sinagoghe, fu inaugurato alla presenza della regina Beatrice. Le mostre esposte al suo interno trattano dell’ebraismo e delle sue tradizioni. Nella Nuova Sinagoga si racconta la storia degli ebrei dal 1900 ad oggi. Un’importante e significativa testimonianza dell’Olocausto in Olanda.
La statua Dokwerker
Proprio accanto alla Sinagoga si trova la statua del Portuale, realizzata nel 1952 da Mari Andriessen, per commemorare lo sciopero con cui il 25 febbraio 1941 i portuali di Amsterdam protestarono contro i provvedimenti antisemiti. La prima deportazione di massa era avvenuta qualche giorno prima, proprio dove si trova la statua in piazza J.D. Meijerplein. I nazisti risposero con violenza uccidendo nove manifestanti e ferendone molti altri. Mari Andriessen durante l’occupazione nazista era stata una voce forte: rifiutò di unirsi al sindacato degli artisti guidato dai nazisti e nascose diversi amici ebrei a casa sua, rischiando la vita.
di Paola Vignati – Fotografie: Allard Bovenberg ©Anne Frank Huis