Sinus Pisanus: la laguna scomparsa. Storicamente le lagune sono state sfruttate dalle popolazioni costiere per l’insediamento di scali portuali protetti, evitando in tal modo di dover realizzare opere impegnative se non impossibili. La più celebre, potremmo dire per antonomasia, lungo le coste italiane è senz’altro la laguna veneta, essendo oltretutto ancora navigabile. Ma l’oblio della memoria ha sepolto un’altra importante struttura portuale, situata sulla costa del Mar Ligure, e ospitata anch’essa in un sistema di golfi e lagune collegati: quella del Portus o Sinus Pisanus.
La repubblica marinara di Pisa è stata meno longeva della Serenissima, ma anch’essa aveva esteso la propria influenza su una vasta parte del bacino del Mediterraneo per un periodo di tempo prolungato, lasciando una impronta ancora oggi rilevabile su molte coste del Mare Nostrum.
Parimenti alla laguna veneta, il sistema portuale pisano interessava un’area vasta che coinvolgeva anche altre località oggi sviluppatesi in città a sé stanti. È il caso di Livorno, che da fortificazione nata attorno ad un villaggio di pescatori, è divenuta dal XVI secolo una città autonoma e sempre più importante nel sistema mediceo prima e del Regno d’Italia poi, fino ad essere uno dei principali porti dell’Italia contemporanea.
L’utilizzo storico della laguna come approdo portuale è testimoniato dagli importantissimi ritrovamenti delle navi di San Rossore, località alle porte di Pisa, che hanno permesso la ricostruzione di moltissimi aspetti dell’area, del suo utilizzo e delle sue vicende a partire dall’epoca etrusca. Il ritrovamento di imbarcazioni in legno, assieme a una serie notevolissima di altri reperti, tutti esposti oggi nello splendido museo ospitato nell’Arsenale Mediceo di Pisa, ha permesso di riscoprire e ricostruire il funzionamento di questo scalo portuale che con Luni aveva, sin dall’antichità, un ruolo strategico sulle coste toscane. Gli studi in corso non escludono inoltre un’attività di scambio commerciale risalente ancora più indietro nel tempo proprio con l’Adriatico e precisamente con Spina, l’odierna Comacchio. Approfonditi studi geologici, hanno poi affiancato le attività di indagine archeologica permettendo di completare le ricerche, riportando alla luce un’affascinante e ricca storia che si era persa nel tempo.
Anche le testimonianze letterarie, dagli scritti di Cicerone, di Strabone e Namaziano, e quelle archeologiche con gli scavi di Santo Stefano ai Lupi e San Rossore, e quelle iconografiche presenti in Piazza dei Miracoli, hanno tramandato parte di queste informazioni consentendo agli studiosi di ricostruire lo scenario andato perso. Certo non è semplice oggi, neanche per chi è nativo dei luoghi, rendersi conto di quella che doveva essere molti secoli fa l’aspetto dell’area e la collocazione, il ruolo e il significato di alcune permanenze che tutt’ora insistono in questa zona vasta. All’apparenza la zona costiera attuale non presenta evidenti segni dell’antica laguna, fatta di stagni, paludi, barene, canali e addirittura isole. Ma la presenza delle foci di due fiumi, l’Arno e il Serchio, e la permanenza di alcuni toponimi e manufatti consentono agli studiosi di ricostruire questo ecosistema antropizzato dando nuovamente significato a questi luoghi.
Aree ora confinate come la tenuta di Coltano, una volta isola all’interno della laguna insieme a quella di Migliarino, o l’affascinante basilica romanica di San Piero a Grado, presso lo scalo fluviale adiacente la città di Pisa, gradus appunto, costituivano insieme al villaggio livornese all’imboccatura sud, presidiata dalle torri del Magnale, del Marzocco e dalla Torre Rossa, il complesso sistema di approdi e vie di comunicazione che permettevano alla Repubblica marinara pisana di esercitare la propria attività sui mari.
Storicamente queste torri costituivano il riferimento più notevole dell’accesso a questa laguna e in particolare presso la principale, quella del Magnale, doveva essere collocata la catena che chiudeva l’imboccatura del porto o scalo marittimo, ora visibile all’interno del Camposanto di Piazza dei Miracoli. Di queste solo la torre del Marzocco è sopravvissuta pur trovandosi all’interno dell’area del porto industriale di Livorno in un’area attualmente non accessibile al pubblico. Risalente al primo quarto del XV secolo, indicata come opera del Brunelleschi o del Ghiberti, oggi ipotizzata anche come progetto di Leon Battista Alberti, testimonia con le sue splendide forme e decorazioni, ispirate alla torre dei venti di Atene, la straordinaria erudizione del suo ideatore e la gloria della famiglia Medici.
Alcune mappe storiche mostrano come i fenomeni geologici alla base della profonda trasformazione territoriale siano sostanzialmente iniziati tra i secoli XI e XIII per poi accelerare a partire proprio dal XV secolo in poi, determinando il completo interramento della laguna e l’avanzata della linea di costa. Da questo momento in poi il Portus Pisanus smetterà di essere quel complesso sistema di acquitrini, lagune e stagni e sopravviverà solo l’attuale città di Livorno, sviluppata attorno all’antica Fortezza Vecchia. I Medici approfitteranno di questa evoluzione ambientale per prevalere nella storica disputa con Pisa che perderà, a favore della “new town” livornese, il suo ruolo di principale scalo marittimo toscano.
di Doina Ene – storica dell’arte
Immagine di copertina: Biblioteca Abbazia San Giovanni Evangelista, Parma