All’estremità meridionale del continente americano, incastonato tra i ghiacciai delle Ande e la steppa patagonica giace uno dei parchi nazionali più emblematici e spettacolari del Cile. Stiamo parlando del parco nazionale Torres del Paine, il fiore all’occhiello delle aree protette della Patagonia cilena. Occupa una superficie di poco più di 2400 chilometri quadrati, area equivalente ad una provincia italiana media, ed è situato ai confini tra il Cile e l’Argentina. Delimitato ad ovest dalle Ande Patagoniche e dai ghiacciai del Campo de Hielo Patagonico Sur che lo proteggono dai forti venti occidentali (i westerlies) che soffiano dal Pacifico, fa parte dei quaranta parchi nazionali del Cile e dal 1978 è stato dichiarato Riserva della Biosfera dall’UNESCO.
A cavallo tra il XIX e il XX secolo l’estremo meridionale del continente americano diventa il più grande produttore ed esportatore di lana e carne di pecora. Nemmeno le zone limitrofe al massiccio del Paine sfuggono all’arrivo dei migranti europei, alla ricerca di una nuova vita e in fuga dal conflitto bellico. Decine di migliaia di ettari vengono dati in concessione dallo stato cileno ai nuovi arrivati; nascono così le prime basilari vie di accesso e le prime infrastrutture. Verso la fine degli anni Sessanta il modello di sviluppo inizia a cambiare e vengono create le prime aree protette nel paese. È nel 1959 che si gettano le fondamenta per la creazione di quello che diventerà il Parco Nazionale Torres del Paine, oggigiorno il più visitato e ammirato tra le riserve naturali della Patagonia Cilena. Durante gli anni Settanta il parco si estende e nel 1978 raggiunge l’attuale estensione grazie a un’ultima donazione di 12.500 ettari da parte del filantropo italiano Guido Monzino.
La steppa e le colline circondanti il massiccio del Paine tornano, nel giro di qualche decennio, a recuperare il loro stato naturale. Assieme a loro torna la fauna patagonica come i guanacos (i camelidi selvatici della Patagonia), gli armadilli, i nandù (gli struzzi del Sudamerica) e con l’aumentare degli erbivori arrivano i predatori naturali come le volpi e il puma. Oggigiorno l’abbondanza di fauna selvatica del parco permette di osservare con sempre maggiore facilità la presenza del puma o leone di montagna; il predatore all’apice della catena alimentaria dell’ecosistema patagonico. Un esempio e un modello da seguire nel lungo e difficile processo di conservazione ambientale che dovremo intraprendere durante questo XXI secolo se non vogliamo perdere la biodiversità di flora e fauna della nostra amata Terra.
di Marco Rosso – guida escursionistica