Nella seconda metà del XVIII secolo la ricerca di regole che caratterizzano l’essenzialità del neoclassicismo non attenua assolutamente lo spirito competitivo dell’aristocrazia nelle corti europee. In questo periodo, ad esempio, le magnifiche residenze vengono ulteriormente arricchite da mobili meccanici. Uno in particolare fa la sua eccellente comparsa: la “tavola volante” o “matematica”.
Don Benedetto Lombardo, primo proprietario della Casina cinese di Palermo, rimase affascinato da questa novità che Caterina II di Russia, Luigi XV di Francia e ancora i genitori di Maria Carolina d’Austria avevano fatto realizzare nelle proprie residenze. Da un brano del Diario di un architetto francese scritto a Palermo da Léon Dufourny si evince l’intento del Lombardo a farne realizzare un prototipo dal noto architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia: “Si costruirà una tavola mobile che sale e scende imbandita, come quella immaginata dal signor Loriot per Choisy”. Il Marvuglia, infatti, nella relazione tecnica del 21 gennaio 1799, data che precede l’acquisto della Casina da parte dei Borbone, scrive: “Nel pianterreno, ritrovatosi in rustico altra stanza a cantonera di levante e mezzogiorno senza mattonato e con uno sportello nella volta reale […] più in detto piano nobile a cantonera di levante e mezzogiorno, la camera a mangè di palmi 24 e palmi 18 con sua volta e mattoni ed uno sportello nel pavimento per la buffetta di mangiare che dovrà farsi”.
Saranno però i reali borbonici che ne daranno commissione al suddetto architetto, in quanto la Casina era divenuta dal 1799 una delle loro residenze in Sicilia. Così Rocco Zappulla falegname, Raffaele La Colla fabbro e Nicola Fia vetraio, con la direzione del Marvuglia realizzano la tavola matematica. Installata nella sala da pranzo è comunicante con il vano sottostante attraverso un foro già esistente nel pavimento. Detto vano, a sua volta, è collegato da un tunnel sotterraneo alle due cucine poste appena fuori la Casina, oggi sede del Museo Etnografico Siciliano “Giuseppe Pitrè”.
È un sistema di macchine semplici: carrucole, contrappesi di piombo e un verricello legati da corde in canapa azionano un meccanismo di parti fisse e mobili. Una ricevuta di pagamento del 17 marzo 1800 testimonia che il maestro Zappulla riceve onze sessanta come acconto per atto e maestria della “tavola a mangiare” che deve salire e scendere, da situarsi nella casina di Sua Maestà. La struttura consente il movimento di elevazione e discesa di cinque montavivande con vassoi di diversa forma: quattro circolari e uno centrale quadrato che, sollevato dal peso di quattro piombi legati da altrettante corde, raggiungono il piano orizzontale della tavola. La discesa verso il basso avviene per mano di un uomo che, servendosi di un verricello, avvolge la corda collegata alla parte inferiore del montavivande centrale. Entro guide scavate lungo i pilastri della struttura centrale scorrono altri quattro montanti che muovono i puntoni sormontati da vassoi circolari rivestiti di lastre d’argento.
La privacy era così assicurata. La libagione veniva fatta salire sul vassoio centrale in tavola e i commensali si servivano da soli, alla francese. Solo la mescita delle bevande – la cui richiesta avveniva per mezzo di gruppi di quattro nastri distinti per colore posti lungo il bordo della tavola e comunicanti con la servitù nel vano inferiore –, veniva fatta da un maggiordomo e un paggio.
Oggi le tavole matematiche ancora esistenti, oltre a quella appena ristrutturata e funzionante della Casina cinese di Palermo, si trovano in Russia nel padiglione Ermitage, nel Grande Palazzo di Carskoe Selo (vicino a San Pietroburgo), nel padiglione Marli a Peterhof (di fronte al Golfo di Finlandia) e in Francia nel castello di Choisy. Il tavolo progettato per Trianon non fu mai realizzato mentre nel sito di Carditello si può osservare sul pavimento la traccia di un foro circolare ormai chiuso dove era allocato il mobile; nel castello di Luneville in Lorena, un altro esemplare è stato completamente distrutto da un incendio il 2 gennaio del 2003, e purtroppo non se ne conserva traccia. Quello di Palermo era un piccolo palcoscenico dove portate e piatti apparivano e scomparivano magicamente, fiore all’occhiello dei riservatissimi pranzi dei Borbone ai quali neppure la servitù era ammessa. Oggi rimane quale testimonianza ancestrale della moderna domotica.
di Catia Sardella – Fotografie di Manfredi Manfre’
Illustrazione in copertina di Catia Sardella