La Velarca è una houseboat sul lago di Como, di fronte all’Isola Comacina, nel comune di Ossuccio. Costruita tra il 1959 e il 1961, racconta una straordinaria storia di cultura e amicizia. Un’importante testimonianza dell’architettura e del design moderno. Ed è un nuovo bene FAI da poco aperto al pubblico.
La Velarca nasce nel 1911, costruita dal cantiere Galli di Lecco; al primo varo si chiamava Corriera Tremezzina. Una tipica imbarcazione da trasporto del lago di Como: lunga diciannove metri e larga sei, con lo scafo quasi piatto per approdare sulle spiagge lacustri; le estremità rialzate ricordano una gondola: la gondola lariana che si muoveva a remi e navigava a vela. Ai primi del Novecento la navigazione era un’attività fondamentale per il trasporto. Un servizio imprescindibile, vista la mancanza di strade, per gli abitanti lacustri e le piccole imprese locali, oltre che per il nascente turismo e gli alberghi, appena inaugurati, che accoglievano il primo turismo internazionale d’élite. La corriera effettuava servizio giornaliero da Lecco a Como e viceversa, trasportando non solo persone, ma anche carichi pesanti come cemento e calce e, in rare occasioni, vacche verso la transumanza.
Nel 1946 il nuovo armatore, Nava, aggiunse il motore, ma nel frattempo vennero realizzate due importanti strade statali: Regina e Spluga. Il trasporto di merci e persone si spostò su gomma. Le gondole lariane inefficienti e troppo costose da mantenere vennero distrutte per farne legna ad ardere o affondate. Per una casualità la corriera Tremezzina si salvò. Fu ceduta al sindaco di Domaso. Nel 1956 trasformata in una galea medievale, con il nuovo nome Camoscio, per gareggiare in una regata storica-folkloristica (i primi eventi pensati per i turisti), che rievocava le battaglie navali combattute per il possesso dell’Isola Comacina al tempo di Federico Barbarossa.
Dal dopoguerra, il Lago di Como, ed in particolare la zona costiera vicina all’Isola Comacina, divenne un luogo, non solo turistico, ma anche di incontro dell’alta borghesia milanese. Un nutrito gruppo di intellettuali, scrittori e artisti scelse questo angolo del lago come luogo d’elezione, alcuni di loro soggiornando sull’isola nelle case-studio dell’accademia di Brera. Molti comprarono ville su queste sponde, incontrandosi nella storica locanda dell’isola; tra loro, i coniugi Norsa, Emilio e Fiammetta. Emilio Norsa, un ingegnere chimico con una fiorente attività nel settore delle vernici, ebreo milanese di origine triestina. La moglie Fiammetta Jabès una donna colta, con una cultura cosmopolita e una grande passione per l’arte. A Milano frequentava intellettuali ed artisti del calibro di Gillo Dorfles, Umberto Eco, Eugenio Montale, Cesare Musatti, Gio Ponti, Ernesto Nathan Rogers socio dello studio BBPR. I coniugi Norsa, alla ricerca di una casa sul lago, acquistarono un terreno a Ossuccio, di fronte all’isola Comacina. Un piccolo orto con cinque ulivi e una stretta spiaggetta sassosa per un totale di trecentoventicinque metri quadri non edificabili. Roberto Sambonet, amico di famiglia, consigliò di comprare una barca, per creare un houseboat. Fu così che i Norsa, nel 1959, acquistarono per settecentomila lire la barca Camoscio.
La progettazione venne affidata all’amico Ernesto Nathan Rogers dello studio BBPR di Milano. Lo studio BBPR, all’epoca, era impegnato in due progetti importanti: il Museo del Castello Sforzesco e la Torre Velasca, ma per amicizia Rogers accettò l’incarico. Dando vita ad un piccolo capolavoro della storia dell’architettura e del design moderno: la Velarca. Tutto era eccezionale, a partire dalla scelta del nome che, volle rievocare le vele delle gondole lariane, ma anche l’arca di Noè, un rifugio galleggiante di una civiltà da preservare oltre a giocare d’assonanza con la Torre Velasca. I lavori vennero affidati al cantiere Cranchi a Brienno, subito rimosse le decorazioni medievali e il motore perché la Velarca non avrebbe mai più navigato. Il cilindro è l’anima e il perno della houseboat. Il fulcro dell’intera imbarcazione trasformato in una scala a chiocciola che dal ponte conduce sotto coperta, è l’ingresso di casa, il vano attorno al quale si dispongono i vari ambienti. Due cabine chiuse, tre passanti, due bagni, una cucina e un salotto-sala da pranzo, per un totale di dieci posti letto. Lo studio BBPR coniugò lo stile nautico con le innovazioni delle case moderne già utilizzate nei complessi residenziali milanesi. Un altro interessante richiamo a Milano sono le finestre saliscendi che ricordano quelle dei tram cittadini. Tutto è studiato: dal pavimento in linoleum blu Cina, al telefono a muro in bachelite. Le cabine sono ristrette ed essenziali, ma non mancano gli armadi per accogliere la biancheria cifrata come nelle migliori case borghesi dell’epoca.Lo spazio maggiore è riservato alla convivialità e agli ospiti: il grande ponte con il tendalino, bianco da un lato e arancio dall’altro pensato per ombreggiare meglio, che ricopre il ponte è un’anticipazione di una moderna tensostruttura. Ancora, lo spazioso salotto interno con gli stipi colmi di piatti e bicchieri e il passavivande. Infine il giardino, parte integrante del progetto, con terrazzi pensili coltivati a piante aromatiche e verdure, e un grande barbecue per pranzi improvvisati.
Fiammetta sognava la barca come il luogo per viaggi immaginari, suscitati dalle conversazioni degli amici sul ponte, un luogo separato, ma non isolato, un concentrato di condivisione. Lo spirito del luogo creò un vero e proprio ritrovo di intellettuali e artisti a partire dal secondo dopoguerra. Per questo motivo la Velarca è un houseboat progettata per stare, per accogliere. Stare non come il contrario di navigare: stare all’ormeggio prevede un continuo movimento tra terra e acqua, in cui si sposa “la teoria di costruire nelle preesistenze ambientali” di Ernesto Nathan Rogers. La Velarca lasciò il cantiere di Brienno, trainata al suo approdo definitivo di Ossuccio nel 1961.
Nel 2011, a cinquant’anni dal varo, Aldo, il figlio dei coniugi Norsa, decise di donare la Velarca e il giardino al Fai, “per aprirla al pubblico e renderla fruibile nel suo ambiente naturale e culturale”.
Il restauro iniziò nel 2013, lo scafo era estremamente degradato e impossibile da restaurare, il rivestimento in vetroresina, aggiunto negli anni Settanta, aveva soffocato e fatto marcire il fasciame. La houseboat partì per il cantiere Ernesto Riva specializzato in barche di legno d’epoca. Il nuovo fasciame, assi di castagno e rovere, giunse da Valdobbiadene ricavato da vecchie botti da vino. Lo scafo è stato ricostruito identico all’autentico, lo stesso vale per il ponte. Le parti originali sono la struttura prodiera in mogano e il vano della scala a chiocciola. Gli interni erano in buone condizioni: le lampade originali a tartaruga e a gabbietta sono state preservate, gli ottoni lucidati, alcuni ricostruiti. Lo stesso per le panche della sala da pranzo, gli armadietti della cucina sono nuovi, ma autentiche le ante, restaurati i letti e preservato il colore blu Cina del pavimento e delle tende. Completamente rinnovati gli impianti con l’obiettivo di mantenere la Velarca non solo un luogo da visitare, ma da vivere. Ogni fase del restauro è stata pianifica con cura e attenzione per rispettare i disegni originali. Il progetto si è concluso il 9 settembre 2024, e il 10 settembre la Velarca è ritornata a Ossuccio come bene Fai aperto al pubblico.
Testo e fotografie di Paola Vignati