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“La fragile meraviglia. Un viaggio nella natura che cambia” è un reportage fotografico di Paolo Pellegrin dedicato al tema del cambiamento climatico con la curatela di Walter Guadagnini e il contributo di Mario Calabresi. Dal 17 maggio è in mostra a Torino nel nuovo museo delle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo, palazzo Turinetti, in piazza San Carlo; edificio appena ristrutturato per ospitare la collezione permanente dell’Archivio Publifoto di proprietà della Banca giacché questo nuovo museo è dedicato alla fotografia e si propone di diventare uno spazio che interroga sul futuro e agisce come testimone del proprio tempo: da qui la scelta di mettere in mostra progetti inediti che indagano i temi caldi dell’attualità. Il lavoro – in esposizione fino al 4 settembre 2022 – rappresenta una committenza originale che ha visto impegnato Pellegrin in Paesi come Namibia, Islanda, Costa Rica, Italia per fornire una personale lettura per immagini del rapporto tra l’uomo e il suo ambiente naturale, tema cruciale della contemporaneità.
Paolo Pellegrin è uno dei maestri indiscussi della fotografia contemporanea internazionale. Nel corso della sua lunga carriera, ha saputo documentare la realtà della nostra epoca con una rara consapevolezza del duplice ruolo della fotografia: da un lato testimonianza del reale e dall’altro strumento di indagine della soggettività. Paolo Pellegrin ha viaggiato per oltre un anno alla ricerca di immagini che immortalassero la grandiosità della natura: dall’Islanda alla Groenlandia, dalla Sicilia al Trentino-Alto Adige, dalla Namibia al Costarica, i suoi scatti si raccolgono attorno alla presenza dei quattro elementi naturali (terra, acqua, aria e fuoco), sui quali l’umanità si interroga da sempre, in una sorta di interpretazione metaforica e spirituale che scavalca le rigidità delle conoscenze scientifiche. Un viaggio per il mondo che accomuna il vicino e il lontano nelle implicazioni che derivano dal cambiamento nel nostro ecosistema.
Se in uno dei suoi lavori precedenti, un reportage pubblicato sulla rivista «Time» nel 2018, Pellegrin puntava l’obiettivo sui ghiacciai dell’Antartide in via di scioglimento, affrontando in maniera diretta il tema del cambiamento climatico, questa volta il fotografo si rivolge alla natura con uno sguardo memore delle poetiche del «sublime», dove il fascino nasce dalla dismisura, il bello dalla paura.
Nei suoi scatti coglie le diverse manifestazioni della natura, individuando come caratteristica primaria e costante quella «fragile meraviglia» che dà il titolo alla mostra e all’intero progetto. Allontanandosi dunque dall’idea di reportage classico, a cui Pellegrin è stato fedele per molto tempo, la sua fotografia si traduce in visioni di superfici e paesaggi che celebrano la forza dirompente dell’elemento naturale, provocando nell’osservatore una reazione ambivalente: in bilico tra fascino e timore, è inevitabile che esso si trovi a riflettere sul proprio ruolo nel mondo e sul proprio rapporto con l’ambiente.
Se è vero che l’immagine fotografica trova il suo massimo grado di completezza solo nello sguardo dell’osservatore, come piace pensare a Pellegrin, in questo caso il punto di vista di chi guarda diventa ancora più cruciale, perché per la prima volta nella sua lunga carriera il fotografo rinuncia pressoché totalmente alla presenza dell’uomo nelle sue immagini: benché compaia come figura sfuggente in alcuni scatti, l’essere umano si materializza da un lato come osservatore, meravigliato e sopraffatto dalla maestosità del naturale, e dall’altro come agente di una trasformazione che ha conseguenze irreversibili sulla vita della Terra.
Soprattutto nella produzione più recente, la fotografia di Pellegrin trova una corrispondenza simbolica nell’idea del processo sottrattivo tipico della scultura: dove il blocco di marmo viene scavato per arrivare al fulcro della propria visione, allo stesso modo Pellegrin toglie per aggiungere significato; l’assenza della figura umana si traduce dunque nella presa di consapevolezza del suo ruolo. Fotografare un iceberg, un ghiacciaio o gli alberi bruciati negli incendi in Australia (unica serie nata prima della committenza entrata a far parte di questo progetto) significa parlare dell’uomo e della sua azione, ponendo l’accento su quello che è il suo rapporto con lo spazio in cui abita e, allo stesso tempo, con il grado più primitivo di sé stesso.
In mostra ci sono immagini, video e installazioni che trasformano lo spazio delle Gallerie d’Italia di Torino in un luogo di apparizioni, più che di semplice esposizione. Il pubblico è invitato a osservare la maestosità della natura nella sua versione più pura e meditativa, confrontandosi con immagini che come la Terra subiscono mutazioni visive e materiali: abbandonano così la pretesa di raccontare verità assolute a favore di una narrazione visionaria ed enigmatica.
Immagine di copertina: Parco Nazionale di Etosha, Namibia, 2022Paolo Pellegrin/Magnum Photos