Nei Musei Civici di Treviso si può ammirare un ciclo di affreschi con una storia molto particolare: si tratta delle “Storie di Sant’Orsola”, di Tomaso da Modena, in origine provenienti da una cappella della chiesa di Santa Margherita degli Eremitani, sempre a Treviso, collocati su dei supporti lignei. La chiesa di Santa Margherita infatti, costruita a partire dal 1282, era stata sconsacrata dopo i decreti napoleonici del 1806, usata come stalla e maneggio militare, e a fine Ottocento era ormai in via di demolizione. L’abate Luigi Bailo, collezionista e fondatore del Museo Trivigiano, primo nucleo degli attuali Musei Civici (tanto che una delle sedi museali porta tuttora il suo nome originario), prese a cuore le sorti delle opere pittoriche presenti nella chiesa e nel 1882 riuscì a staccarle e trasferirle sui telai in legno in modo da poterle trasportare altrove prima che andassero distrutte per sempre. Si tratta di ben 120 metri quadrati di affresco, una vera impresa considerati anche i pochi mezzi e aiuti a sua disposizione.
La tecnica applicata, in modo empirico, dall’abate, è quella dello stacco: consiste nell’asportare l’affresco insieme all’intonaco su cui è dipinto, ed eventualmente anche parte del muro sottostante, per trasferirli poi su un supporto che sia trasportabile. È stata usata nei secoli sia per proteggere opere d’arte dalla distruzione, sia per fare razzia di opere altrimenti inamovibili. La sorte ha voluto che questi affreschi siano poi stati posti in un’altra chiesa sconsacrata, quella dedicata a Santa Caterina d’Alessandria, anch’essa utilizzata dopo il 1806 a scopo militare, come magazzino e caserma, insieme all’annesso convento. A differenza di quella di Santa Margherita, il complesso di Santa Caterina riuscì a resistere al passare del tempo e perfino ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, venendo infine restaurata da Mario Botter, che riportò alla luce gli affreschi che anch’essa conteneva.
Per il visitatore è possibile quindi entrare nella chiesa di Santa Caterina, facente parte dell’omonimo Museo che ospita anche interessanti collezioni archeologiche, una Pinacoteca e mostre temporanee, e ammirare sia gli affreschi conservati in loco, sia gli undici telai con le “Storie di Sant’Orsola” salvati grazie all’opera dell’abate Bailo. Il tema degli affreschi, dipinti intorno al 1355, deriva da un testo agiografico medievale, la “Legenda Aurea” di Jacopo da Varazze, che tra le varie biografie di santi ci narra anche la storia di Orsola, la figlia del re di Bretagna, di religione cristiana, che venne chiesta in sposa dal figlio del re d’Inghilterra, pagano.
La principessa accettò il matrimonio a patto che il principe si facesse battezzare e che lei potesse organizzare un pellegrinaggio di vergini a Roma, con ben 11.000 compagne al suo seguito. Al corteo si unì il Papa Ciriaco in persona, ispirato da un sogno, e si diressero verso la città di Colonia per convertire gli Unni che la stavano occupando.
Qui Orsola venne notata dal principe unno, che la volle per sé: al suo rifiuto, la giovane venne uccisa, martirizzata insieme al Papa e alle vergini sue compagne. Altra curiosità su questa storia è che probabilmente il numero “undicimila” riferito alle vergini, deriva da un errore di trascrizione: a partire da un’antica iscrizione ritrovata a Colonia, il numero romano XI riferito all’età di Orsola o di una compagna (undici anni) con accanto un segno oppure una lettera m potrebbe essere stato interpretato come il numero “undicimila”; oppure l’espressione latina ad undecim milia cioè “a undici miglia” (di distanza) potrebbe essere stata erroneamente trascritta come et undecim milia, “e undicimila”. Le vergini uccise insieme a Orsola e al Papa potrebbero essere state insomma “solo” undici.
di Susanna Cavallin
Fotografie: Musei Civici di Treviso
Immagine in copertina: Il congedo di Orsola – Musei Civici di Treviso