L’opera d’arte è un evento che si compie nel suo darsi, è dialogo, partitura immaginativa, distesa di un racconto sempre nuovo, viaggio dispiegato nel più profondo sentire, nel fluire di pensieri ispirati, di segni e concetti. Essa può implicare tenera nostalgia di un colore, persistente memoria di un accordo formale, fragile verità di una struttura plastica o compositiva, elementi linguistici che rimandano ad altre opere, alla loro tessitura generativa di significati e di storia; può comportare per l’artista suggestioni e associazioni col patrimonio di segni, con i motivi concettuali, con i tracciati creativi di altri artisti con cui si è rapportato o che, col proprio lavoro, ne hanno sollecitato correlativi oggettivi, rivelato affinità estetiche e irrinunciabili valori di bellezza, che lo hanno coinvolto nel fascino di ineffabili e incerti sentieri tentati dalla luce.
Antonio Saladino, raffinato scultore e ceramista che affonda il proprio linguaggio erratico nella profondità del tempo storico, nella stratificazione archeologica dei vissuti, è artista che si interroga sul corpo dell’opera, sulla sua più intima essenza, consapevole di come bisogna rigenerarne costantemente il tessuto linguistico in sempre nuove declinazioni espressive. Egli, vagando nel vasto repertorio di forme, di motivi plastici, di segni, di tracce che costituiscono il suo patrimonio di memorie, come in un gioco di specchi, ripete se stesso e la memoria dilaga, assume e alimenta la sua biologia immaginativa, generando la trama ideativa, ossia carne e corpo per nuove opere, e implementando di nuovi accordi formali e linguistici il suo lessico. La creta è la materia duttile, sensibile, cedevole che si offre alle sollecitazioni operative cui, lentamente, dà forma e consistenza d’immagine il suo gesto plastico. Rimodula le sue forme mutili affiorate dalle lontananze temporali della grecità, ne prolunga le volumetrie del modellato, creando uno spazio piatto su cui operare, un riquadro modulare, quasi l’equivalente di una tela bianca, su cui sviluppare l’idea, su cui dare risoluzione al suo interrogarsi analitico. La tridimensionalità Saladino la vuole ottenere sulla superficie del suo torso, definendo risalti e profondità la cui sostanziale leggerezza e armonia figurale non siano interrotte da forme inutilmente aggettanti. In una graduale riformulazione della sintassi plastica, i suoi busti diventano torsi, originali silhouette su cui la figurazione è risolta nello spessore della superficie, determinando nuovi accordi strutturali, nuovi valori formali. Una superficie piatta, dunque, su cui l’artista modella le sue forme realizzando rilievi bassi o scavandone l’interna spazialità, della quale indaga la densità di una materia che si offre anche alla luminosa pienezza del colore. Così Saladino dà inizio ad una preziosa commistione di alfabeti sviluppando una serie scultorea che si propone come un singolare unicum linguistico. Le sue forme mutili incontrano le vibrazioni cromatiche e plastiche, le partiture segniche di un altro artista, di volta in volta diverso, compenetrandosi nell’unicità dell’opera, nella sua essenza eterea e durevole e, per conseguente definizione, duale. Nasce uno straordinario attraversamento delle estensioni e delle diversità di linguaggio di alcuni tra i più importanti artisti contemporanei calabresi: Cesare Berlingeri, Angelo Savelli, Carmelo Savelli, Nik Spatari, Mimmo Rotella, Antonio Marasco, Giuseppe Gallo, Antonio Violetta, Francesco Guerrieri, Max Marra. Un affascinante viaggio esplorativo in cui l’opera, diventata luogo di confluenza tra repertori stilistici differenti, delineando segni e concetti all’origine di un’insolita ibridazione, mette in campo valori umani fondamentali, in un omaggio che va ben al di là dell’opera stessa.
In ogni opera si condensa l’essenza creativa di due artisti e, in questo, l’operazione compiuta da Saladino, oltre ad avere una chiara matrice concettuale, risulta più propriamente di natura metalinguistica, perché è il linguaggio l’oggetto ed è sulla sostanza del linguaggio che si interroga. Per certi versi, essa presenta tratti metonimici per cui la definizione retorica pars pro toto, ossia la parte per il tutto, ben traduce la singolarità del suo intervento creativo. In fondo, l’insieme dei torsi, che egli offre alla visione, propone frammenti elettivi della ricerca e dell’unicità espressiva di ciascun artista di cui rimemora e ricapitola, in quella che è una ripetizione differente, la sostanza linguistica. Pertanto, in una singola parte, ossia in una singola opera, si può leggere l’interezza di un cammino creativo, in una speciale sincresi che comunque la rende riconoscibile nella sua realtà di frammento di un tutto più ampio e articolato cui rimanda.
Ogni incontro per Saladino è una preziosa occasione di analisi, di scavo conoscitivo fin alle radici immaginative di ciascun artista, per costruire un’identità che è luogo del racconto dell’arte. Con moto attento e delicato del pensiero, entra nella dimensione creativa di ogni artista che sceglie, sia pure per un tratto, come suo compagno di cammino, per dare corpo e sostanza al vero dell’opera e scoprire nuove possibili congiunzioni tra verità e bellezza. Egli costruisce ogni singola opera come identità di uno spazio comune che la rapporta alle altre opere del suo progetto, come astri di una costellazione. Definisce ogni opera nella sua unicità espressiva, all’interno di un oggetto scultoreo che è allo stesso tempo forma e modello linguistico-plastico carico di valenze significanti, di reminiscenze delle proprie memorie la cui definizione simbolica viene ripetuta per ogni singola opera, per ogni parte del tutto. La sua azione creatrice propone un destino diverso per le singole parti, indicandone, nella loro riscrittura e rimodulazione, non solo la leggibilità di modello, ma anche la sua stessa interpretazione e il suo autore.
In questa serie di opere, l’artista traduce l’essenza mutevole di universi artistici differenti, in un continuo flusso ideativo da cui s’origina l’essenza generativa dell’opera, che diventa, in questo caso, dimora di bellezza condivisa, ovvero “essenza duale”.
di Teodolinda Coltellaro – critico d’arte
Fotografie di Generoso Arpaia e Fabio Butera