In una fredda e tempestosa serata del giugno del 1816 a Villa Diodati, nei pressi del lago di Ginevra, un gruppo di amici, riuniti in salotto, si dilettava a raccontarsi storie da brivido. Ospiti del celebre Lord George Gordon Byron si ritrovarono insieme in Svizzera, in un esilio più o meno volontario, Percy Bysshe Shelley, in fuga dall’Inghilterra, John William Polidori, medico personale di Byron, e due donne, Claire Clairmont, da poco incinta di Byron, e Mary, sorellastra di Claire, presto moglie di Shelley, per il momento nota come la figlia della prima scrittrice femminista Mary Wollstonecraft e del filosofo William Godwin. Erano tutti così coinvolti dalle bizzarre storie soprannaturali di Fantasmagoriana, un’antologia tedesca di genere gotico, da farsi tentare da una sfida, lanciata proprio dal padrone di casa Lord Byron, che consisteva nella produzione di un racconto terrificante.
Leggenda vuole che quella notte nacque il moderno romanzo dell’orrore. Bisogna però sottolineare che nulla si produsse quella notte, che rappresenta la sintesi di un arco di tempo ben più lungo. Fu un punto di partenza da cui scaturirono le creature immaginate da Mary Shelley, Polidori e Byron e che crebbero dentro di loro in modo progressivo. Il Frankenstein, Il vampiro e il frammento La sepoltura presero vita non solo dal talento e dall’inventiva dei loro scrittori ma anche da alcuni eventi fortuiti e incredibili che furono il risultato di un incrocio straordinario di circostanze fuori dal comune. A cominciare dal clima. Infatti, nel 1815 l’eruzione del vulcano Tambora, in Indonesia, emise nell’atmosfera un’enorme quantità di polveri, che si diffusero per tutto il globo provocando temperature molto rigide per diverso tempo. Per questa ragione il 1816 venne ricordato come “l’anno senza estate” e non solo. La rivoluzione industriale, le scoperte scientifiche e il Congresso di Vienna avevano diffuso in Europa la convinzione che l’uomo fosse perfettamente in grado di ricostruire la società e di controllarla. Ma nulla in realtà era sotto controllo. La Rivoluzione Francese e il periodo napoleonico avevano dimostrato che dietro a una società fondata su solidi principi, sono soliti agitarsi mostri e fantasmi. Come scrisse Oscar Wilde ne Il ritratto di Dorian Gray, è nella mente umana che avvengono i più grandi eventi del mondo e anche i peccati dell’umanità. Per estensione, è dalla mente umana che sorgono i mostri.
A causa del tempo inclemente che impediva loro di uscire, il gruppo di amici, per ingannare il tempo, decise di sfidarsi a scrivere storie dell’orrore. Il cielo lampeggiante di quei giorni d’estate rappresentò forse al meglio quell’abisso nascosto di mondi profondi e inconsci che, una volta fuoriusciti, non vollero più rientrare. Ma quali circostanze portarono i cinque amici a incontrarsi a Villa Diodati? Per iniziare il suo esilio dall’ingrata patria, Lord Byron affittò la suggestiva e incantevole Villa Diodati, già famosa per la presenza di John Milton, il celeberrimo autore del Paradise Lost, all’epoca ospite di Gabriel Diodati. Dappertutto Byron era idolatrato come il genio letterario e poetico del suo tempo, la cui vita non aveva fatto mistero delle più trasgressive inclinazioni. Di lui si raccontava tutto e il contrario di tutto: amante focoso e persino incestuoso, pare avesse avuto un’intesa con la sorellastra Augusta Leigh, figlia di un precedente matrimonio del padre, e persino la sua andatura claudicante – era zoppo per colpa di un piede equino – contribuiva alla sua fama dannata e al clamoroso successo delle sue opere. La villa sembrava proprio la cornice perfetta dell’uomo romantico, ricca di stanze evocatrici di illustri memorie e con un paesaggio pittoresco e sconfinato che ricordava i tipici tratti del “sublime”.
Byron intraprese questo viaggio in Europa in compagnia del giovane John William Polidori, suo medico personale, figlio di Gaetano, che era stato il primo traduttore in italiano di The Castle of Otrant di Horace Walpole e anche romanziere, già al servizio di Vittorio Alfieri come segretario personale. Polidori aveva iniziato gli studi nel 1804 all’Ampleforth College e nel 1810 si era trasferito all’Università di Edimburgo per completare gli studi in medicina, laureandosi molto giovane nel 1815 con una tesi molto interessante sul sonnambulismo. Durante la preparazione dell’elaborato, aveva però scoperto di amare più la letteratura della medicina e così, terminati gli impegni universitari, iniziò a scrivere. In poco tempo era riuscito a farsi pubblicare un pamphlet contro la pena di morte, all’epoca elargita con disinvoltura anche per reati di piccola entità. Subito dopo, grazie alla frequentazione della buona società londinese, Polidori fu presentato da Sir Henry Haldord a Lord Byron, che rimase colpito e divertito dalla spavalderia e dall’irruenza di quel giovane e lo volle con sé nelle sue peregrinazioni, dato che un medico al seguito era quasi d’obbligo per la nobiltà del tempo.
Pur considerandolo un sodale compagno di viaggio, oltre che medico personale, Byron lo sbeffeggiava pubblicamente chiamandolo “Polly Dolly”, una storpiatura del suo cognome, mentre Polidori lo considerava un modello da seguire e agognava la stessa fama individuale e artistica, anche se in lui si manifestava contemporaneamente un crescente desiderio di rivalsa per le continue umiliazioni patite sin dall’inizio del loro Grand Tour in Europa. Tra i due si instaurò un rapporto di amore e odio: Byron si riteneva vittima di Polidori che cercava di imitarne l’abbigliamento e i successi amorosi e tentava, senza riuscirci, di replicarne gli atteggiamenti e lo stile artistico, mentre Polidori dal canto suo subiva il fascino del maestro, ma soprattutto i suoi scherzi spesso tremendi. Polidori, sempre più impacciato e seccato per il disprezzo che Byron gli riversava contro senza farne mistero, non si sentiva affatto all’altezza della compagnia di amici. Soltanto Mary dimostrava di apprezzarlo, mentre invece Byron lo trattava sempre peggio, giungendo a dichiarare di fronte a tutti i suoi ospiti che, se non fosse stato per la presenza di “Mrs. Shelley”, non si sarebbe fatto il minimo scrupolo a scaraventarlo in acqua.
Polidori tentò di frequentare l’ambiente sociale di Ginevra, nella quale vivevano pure molti inglesi, ma anche qui si sentiva sempre oscurato dall’ombra del suo ingombrante maestro. Lord Byron invece amava trascorrere la maggior parte del suo tempo in barca con Percy B. Shelley per evitare non solo il suo medico ma anche Claire, sua recente amante e madre di Allegra, la creatura che stava crescendo nel suo ventre. Claire era la sorellastra di Mary, figlia di primo letto di Mary Jane Clairmont, seconda moglie del padre William Godwin, filosofo e teorico di politica, nonché romanziere di un certo interesse. Claire, appassionata di teatro e aspirante attrice, aveva conosciuto il poeta al Drury Lane Theatre e gli si era gettata tra le braccia, estasiata dal fascino e dal mito già straripante del suo genio. Mary e Percy, già innamorati da due anni, si imbarcarono a Dover nel maggio 1816, insieme al piccolissimo William, nato a gennaio e chiamato così in onore del padre di Mary, e accompagnati da Claire, con l’intento di raggiungere Ginevra. Si trattava del loro secondo viaggio nel continente, il primo era avvenuto nel 1814, e i tre avevano pianificato di trascorrere un indeterminato periodo di tempo con il poeta Lord Byron. Gli Shelley si stabilirono a Maison Chappuis, una villa circondata da vigneti che si estendevano sino a Cologny.
Ora torniamo a quella notte e al lancio della sfida. Il 16 giugno si aprì con un timido sole, ma nel pomeriggio si scatenò un’autentica tempesta. Non potendo uscire, proprio a causa della pioggia torrenziale e dei tuoni impressionanti, gli astanti accolsero con entusiasmo l’iniziativa di Byron e si misero subito all’opera. Le ispirazioni non mancavano di certo: dai toni sovrannaturali del poema Christabel di Samuel Taylor Coleridge, alla misteriosa creatura vampiresca tratteggiata da Byron nel suo Giaour. Lo stesso Shelley non era del tutto estraneo alle atmosfere orrorifiche, abbozzate nel racconto, già molto evocativo nel titolo, The Nightmare. Nel salotto di Villa Diodati, quella notte e le sere successive, vennero evocate creature fantastiche e terrificanti: fantasmi, vampiri, assassini, streghe e forse anche incredibili esperimenti scientifici, come quelli di Luigi Galvani che con l’elettricità aveva provato a rianimare i muscoli di esseri privi di vita. È interessante precisare, a proposito di questi esperimenti, che la sera antecedente avvenne una sorta di casuale riunione preparatoria alla “sfida”, durante la quale Mary ascoltò una conversazione tra Byron e Shelley sul “principio” della vita e sui poteri in grado di ridare la vita a un corpo inerte. Complici magari le luci dei lampi che si succedevano senza sosta, il discorso sfiorò appunto il galvanismo, ovvero quelle teorie del famoso scienziato italiano sulle contrazioni indotte dall’elettricità sui muscoli inerti e la rianimazione dei cadaveri. Una volta rientrata a Maison Chappuis, Mary non riuscì più a prendere sonno.
L’episodio sembra essere un significativo preludio alla leggendaria notte stregata, una fonte di ispirazione per la fantasia di Mary, da cui cominciò a prender forma una creatura terribile nata dagli esperimenti scientifici di un certo Dottor Frankenstein. Byron inventò sul momento una storia che parlava di un personaggio misterioso, di un viaggio in terre lontane e di eventi inesplicabili e, in un angolo, Polidori prendeva appunti per scrivere quella storia che Byron aveva appena abbozzato e lasciato senza una conclusione. Dalla penna di Polidori nacque così Lord Ruthven, il personaggio che divenne l’archetipo di ogni vampiro a venire, a cui si ispirarono Bram Stoker per Dracula e Joseph Sheridan Le Fanu per Carmilla.
Successivamente, come se non bastasse, un destino di morte precoce accomunò purtroppo quasi tutti i personaggi riuniti quella sera a Villa Diodati. John William Polidori si suicidò nel 1821: rovinato dai debiti di gioco, si uccise all’età di ventisei anni con l’acido prussico, un veleno di sua composizione. Percy Bysshe Shelley morì annegato durante un naufragio al largo di La Spezia nel 1822 e due anni dopo Lord Byron, colpito da violenti febbri, troverà la morte in Grecia. Grazie all’incontro fatale di quell’estate svizzera, due dei miti orrorifici che più infesteranno l’immaginario occidentale, quello della creatura forgiata dall’uomo e quello del vampiro che con un morso succhia via la vita, trovarono la loro forma decisiva e stregarono sin da subito i lettori di tutto il mondo.
Testo e disegni di Sheila Gritti